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Portogallo: i socialisti hanno vinto la scommessa

Il completamento dello spoglio dei voti, nelle elezioni portoghesi di domenica 30 gennaio, richiederà ancora tempo a causa delle schede provenienti dagli elettori che si trovano all’estero. Verranno così assegnati gli ultimi 4 seggi rimasti, seggi che nelle elezioni del 2019 risultarono divisi a metà tra Socialisti (centro-sinistra) e Socialdemocratici (conservatori, centro-destra) ma il segno complessivo del voto non ne risulterà intaccato.

Il Partito Socialista del primo ministro uscente Antonio Costa hanno conquistato una, inaspettata, maggioranza assoluta. In un contesto di aumento della partecipazione elettorale, cresciuta del 3,5% per raggiungere il 57,96% (quindi con ben oltre il 40% di astensioni), il PS ha raggiunto il 41,68%, un saldo positivo di 5 punti percentuali rispetto al 2019. Non si tratta però del miglior risultato della storia del Portogallo democratico, perché in almeno tre occasioni ha ottenuto risultati migliori, con un picco di consensi del 45% nel 2005.

Dopo il successo delle elezioni del 2005, i socialisti hanno attraversato una fase di profonda crisi che li ha portati nel 2011 a crollare al 28,1%. Questa caduta di consensi è derivata principalmente dalla loro partecipazione alle politiche di austerità che hanno colpito duramente i ceti popolari portoghesi. Solo rimettendo, almeno parzialmente, in discussione questa impostazione il PS ha potuto progressivamente recuperare consenso e credibilità. Questo mutamento di indirizzo è stato solo parzialmente il frutto di un vero ripensamento interno, quanto, in misura decisiva, l’effetto di una pressione esterna, determinata dalla crescita dei due partiti della sinistra radicale: il Bloco de Esquerda e il Partito Comunista Portoghese.

Si è così realizzata l’esperienza della “geringonça”, ovvero un accordo di governo senza la partecipazione diretta all’esecutivo dei rappresentanti dei due partiti di sinistra, che ha permesso di allontanare le politiche di austerità e in qualche caso ancora limitato di provare a rimettere in discussione alcune politiche derivate dal paradigma liberista (privatizzazione, precarizzazione del lavoro, riduzione del welfare).

Il Portogallo ha potuto godere così di una certa ripresa dell’economia e di una riduzione della disoccupazione anche se non mancano problemi sociali irrisolti che hanno portato tra l’altro alla ripresa dell’emigrazione giovanile e al permanere di ampie zone di bassi salari. Anche la crescita del turismo, significativa almeno fino all’esplosione del Covid, se ha portato benefici all’economia ha creato forti tensioni sul mercato delle case. Resta quindi un problema strutturale di modello di sviluppo che rimane periferico rispetto alle aree trainanti del capitalismo europeo.

Il governo socialista di Antonio Costa punta sulle risorse derivanti dal Next Generation EU per avviare un processo di aggiornamento del sistema produttivo piuttosto che a rimettere in discussione, in senso egualitario, quel modello. Non dovendo più contrattare le proprie politiche economiche e sociali con le forze di sinistra (anche se Costa ha promesso di un “abusare” della nuova posizione di maggioranza assoluta in Parlamento) sarà facilmente tentato di diluire ulteriormente i propri indirizzi. Questo è già avvenuto tra il 2019 e il 2021 dopo che i socialisti si sono rifiutati di sottoscrivere un nuovo patto programmatico con le sinistre e hanno fatto ricorso al sostegno dei conservatori quando le loro scelte venivano osteggiate dal Bloco e dal PCP.

L’indubbio successo socialista non deve nascondere un certo spostamento a destra dell’elettorato portoghese. Nel loro insieme le forze di centro-sinistra, sinistra ed ecologiste, raccolgono il 53,61%, con un arretramento del 3,9%. La destra cresce quindi nel complesso, ma non riesce a sfondare e attraversa una fase di ridefinizione. Tradizionalmente basata su un partito impropriamente chiamato socialdemocratico e un partito cattolico-populista (CDS/PP) ha visto in queste elezioni affermarsi Iniziativa Liberale (con tematiche classicamente liberiste e una retorica modernizzatrice) e l’estrema destra populista e xenofoba di “Chega! (Basta!). La destra è ancora contrassegnata negativamente dall’aver aderito entusiasticamente alle politiche di austerità e la sua crescita è più dovuta alla capacità del partito di André Ventura di incanalare aree di protesta che non dalla formulazione di una proposta credibile di governo.

Pesante la sconfitta elettorale delle formazioni politiche che si collocano a sinistra dei socialisti (con l’unica eccezione di Livre, un piccolo partito nato da una scissione del Bloco che sale di due decimali arrivando all’1,28% e conservando il suo unico deputato).

Il Bloco de Esquerda, guidato da Catarina Martins, si ferma al 4,46%, pari a 240.000 voti, ed esce più che dimezzato rispetto al dato del 2019. L’arretramento è accentuato dal sistema elettorale, che è sì proporzionale ma solo a livello di singolo distretto senza recupero nazionale dei resti. Per questo scende da 19 a 5 seggi. Avevamo già rilevato nell’articolo della scorsa settimana la tendenza del voto “bloquista” a procedere per grandi oscillazioni e quindi ad essere molto sensibile al contesto politico nel quale avviene il voto. Una buona parte dell’elettorato del Bloco de Esquerda è voto di opinione che tende ad oscillare tra la sinistra e i socialisti.

Il limite strutturale di questa formazione è di non essere riuscita a trasformare il voto di opinione in voto di appartenenza. Nel contesto elettorale di queste elezioni c’è stato un netto trasferimento di voti verso il Partito Socialista. L’impressione che si andasse verso un testa a testa con la destra ha spinto verso il cosiddetto “voto utile”, secondo un riflesso che ben conosciamo anche in Italia. Questo è stato favorito da un lato dal fatto che effettivamente i socialisti hanno (moderatamente) spostato a sinistra la propria politica (e qualche volta la propria retorica), dall’altra che lo stesso Bloco ha fatto fatica a giustificare presso i propri elettori la decisione di votare contro il Bilancio statale del 2022 in assenza di elementi di rottura particolarmente caratterizzanti.

La scelta di votare contro era infatti motivata non tanto da ciò che era contenuto nel progetto di Bilancio, quanto piuttosto da ciò che mancava, ovvero dall’assenza di politiche caratterizzate in senso distributivo. Non sufficiente evidentemente a mobilitare gli elettori nella propria direzione. Tanto più che l’unica strategia offerta era quella di tornare ad un accordo con i Socialisti subito dopo il voto. La proposta in extremis lanciata da Catarina Martens di incontrarsi con Costa già il giorno dopo le elezioni non è stata sufficiente a far uscire il partito da una posizione sostanzialmente difensiva. Il noto sociologo di sinistra Boaventura Sousa Santos ha accusato la leader del Bloco, chiedendone le dimissioni, di aver passato la prima metà della campagna elettorale a giustificare la decisione di votare contro il Bilancio e la seconda metà a dare l’impressione di chiedere scusa per averlo fatto. Critica probabilmente eccessiva ed ingiusta ma che sottolinea la difficile campagna elettorale che il Bloco de Esquerda ha dovuto affrontare. Un arretramento era messo nel conto, ma non lo scivolamento a quinto partito e una riduzione a forza di fatto marginale almeno a livello istituzionale.

Anche se meno rilevante in termini quantitativi (237.000 voti otenuti, 4.39%, meno 2,1%), è persino più significativo il calo della Coalizione Democratica Unitaria, formata dal Partito Comunista Portoghese e dai Verdi (questi con un ruolo del tutto marginale nella coalizione e che per la prima volta non hanno ottenuto eletti). Il partito ha dovuto subire l’allontanamento del leader, Jeronimo De Sousa, da gran parte della campagna elettorale per ragioni di salute, ma non sembra che questo fatto abbia giocato un ruolo decisivo.

Il PCP, a differenza del Bloco, ha sempre potuto contare su un voto di appartenenza più che di opinione. In alcune aree del paese aveva finora mantenuto le caratteristiche di un partito di massa con percentuali molto significative. Queste caratteristiche, gestite con un mix di continuità ideologica e di pragmatismo politico, si stanno via via logorando e il partito si è progressivamente ristretto attorno alle proprie roccaforti, che sono poi quelle degli insediamenti operai della periferia di Lisbona e le aree della riforma agraria seguita alla caduta del regime fascista.

I comunisti ottengono parlamentari nelle regioni di Beja (1 col 18,4%), Lisbona (2 col 5,2%) Porto (1 col 3,3%), Setubal (2 col 10,1%) mentre per la prima volta non eleggono a Evora, dove pure raccolgono il loro secondo miglior risultato col 14,6%. Il confronto con i dati del Bloco mostra come quest’ultimo abbia un elettorato più o meno equivalente in tutti i distretti elettorali e ottenga i suoi seggi nei due distretti maggiori, ovvero Lisbona (2) e Porto (2) ai quali si aggiunge un eletto a Setubal, senza superare in nessun distretto il 6%.

Se il Bloco può sperare di recuperare parte dei voti persi per effetto dell’oscillazione di un elettorato si sovrappone con quello socialista, per il Partito Comunista la situazione è più complicata perché si trova in presenza di un declino di lungo periodo che si innesta su una situazione contingente e che aveva già trovato conferma nelle recenti elezioni amministrative con la perdita di alcune storiche roccaforti a favore dei socialisti.

Che cosa ci dice il voto portoghese sulle tendenze in atto a livello europeo? Mi pare eccessivo vedere nel successo socialista una ripresa generalizzata di consenso per le socialdemocrazie. È vero che queste hanno riconquistato alcune posizioni di governo importanti (prima di tutto in Germania ma anche nei paesi scandinavi), ma in generale con livelli di consenso molto più bassi di quelli registrati in altre fasi storiche. Inoltre è ancora da dimostrare che i partiti socialdemocratici possano determinare una reale discontinuità non solo con le politiche di austerità più aggressive del decennio scorso (opzione sulla quale oggi convergono gran parte delle classi dominanti) ma di rimessa in discussione del paradigma liberista. Né al momento si vede una reale capacità della socialdemocrazia di proporre un progetto coerente in grado di rilanciare la dimensione europea e di delineare un ruolo autonomo in uno scenario globale che sta diventando sempre più complicato e carico di tensioni.

Per quanto riguarda la sinistra radicale è bene tener presente che, malgrado la sconfitta, in Portogallo quest’area si colloca attorno al 10%, un livello non dissimile da quello di altri Paesi. Uno dei problemi che la sinistra portoghese ha davanti a sé è quello di costruire un certo livello di intesa e di convergenza tra bloquisti e comunisti. Obbiettivo certamente non facile, per ragioni ideologiche e storiche, ma senza il quale viene indebolita l’azione politica di entrambi i partiti. L’essersi mossi separatamente in questi anni non ha certo giovato. Negli anni della “geringonça” comunisti e Bloco trattavano separatamente coi socialisti senza dialogare tra loro. Anche nella scorsa legislatura si sono mossi separatamente. Il Bloco aveva già votato contro al Bilancio del 2021 ma allora, dato che i comunisti si erano astenuti, non si andò alla crisi. Nell’ottobre scorso invece la decisione di entrambi di votare contro ha portato alle elezioni ma senza che i due partiti potessero offrire una strategia comune per il dopo voto.

Anche il sistema elettorale dovrebbe spingere ad una qualche forma di collaborazione. In molte circoscrizioni elettorali la divisione dei voti tra Bloco e CDU porta all’impossibilità per entrambi di eleggere e molti voti vanno dispersi.

La questione di fondo per la sinistra resta però quella di come ricostruire un radicamento sociale (che si traduca in un rafforzamento del voto di appartenenza e non solo del voto di opinione che resta molto volatile), obbiettivo che implica la capacità di competere in termini di egemonia sui ceti popolari con la socialdemocrazia da un lato e con le formazioni populiste dall’altro. Per questo non basta presentarsi come strumento di pressione per spostare la socialdemocrazia a sinistra. Il punto debole di una simile strategia è che presuppone che ci sia innanzitutto un governo socialdemocratico sul quale fare pressione. Questo conduce una parte del proprio elettorato a pensare che la priorità sia innanzitutto garantire che ci sia un governo socialdemocratico evitando il ritorno della destra.

Senza una propria autonoma strategia, che implica anche una certa coerente “concezione del mondo”, difficile sopravvivere al dilemma tra lo spirito di setta e l’accomodamento subalterno, di cui, come ben sappiamo, abbondiamo a casa nostra.

Franco Ferrari

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