L’andamento dell’economia globale, le dinamiche della formazione sociale globale in tutte le sue dimensioni, vengono descritte in modo sintetico col termine di policrisi, soprattutto a partire dall’esplosione della pandemia da Sars-Cov-2 (Covid) che ha esaltato contraddizioni e squilibri esistenti, sul piano economico, finanziario, logistico, sociale, geostrategico e direttamente militare. Una volta affievolita la virulenza della pandemia, la guerra russo-ucraina -con la scelta della Federazione Russa di invadere l’Ucraina per ribaltare i rapporti di forza che si sono via via instaurati a partire dal crollo dell’Unione Sovietica, passando per la guerra del 2014- ha dato un tremendo scossone a tutti i precari equilibri che caratterizzavano i rapporti tra la Federazione Russa ed il resto del mondo, sul piano delle forniture energetiche, delle produzioni e delle tecnologie militari e delle risorse finanziarie distribuite nei principali centri finanziari. I processi inflazionistici effetto del blocco della logistica mondiale causato dalla pandemia e del blocco delle forniture delle materie prime energetiche di origine russa, hanno a loro volta indotto le banche centrali ad alzare i tassi, con conseguenze in tutti i paesi, in particolare in quelli con l’equilibrio finanziario più precario ed il livello di indebitamento più alto.
Nel frattempo la Cina, che a suo tempo ha affrontato la pandemia con drastiche misure di quarantena, attraversa, come ogni altro paese, una lunga fase di transizione tecnologica, digitale, energetica, climatica ed ambientale, ma ciò avviene mentre esplode la crisi del settore immobiliare e di quello finanziario ad esso collegato, in particolare il cosiddetto Shadow-Banking. Alla straordinaria trasformazione interna corrisponde lo sviluppo dell’iniziativa cinese sul piano globale, che implica l’accaparramento di fonti di materie prime, quote di suolo fertile, costruzione di infrastrutture, comprese quelle militari, in concorrenza con la storica presenza degli Stati Uniti e dei paesi europei un tempo potenze coloniali. Sul piano politico una tale complessità, carica di contraddizioni ha prodotto uno straordinario processo di centralizzazione e concentrazione del potere impersonato da Xi Jinping, con cui si cerca di tenere assieme caratteri che possiamo definire di arretratezza -come l’enorme, disordinato sviluppo del settore immobiliare1- e di sviluppo tecnologico avanzato, tutte le contraddizioni tra le diverse componenti delle formazione sociale e dei suoi processi trasformativi, sul piano socio-demografico con l’invecchiamento della popolazione -frutto della passata politica del figlio unico- e di contro la disoccupazione giovanile ad alta scolarizzazione1.
La Federazione Russa, che pure ha da parte sua un gigantesco arsenale nucleare e missilistico, sul piano dei rapporti di forza globale, come una appendice della potenza cinese; da parte sua il governo cinese può certamente utilizzare la questione di Taiwan, dichiarando a più riprese l’obiettivo di ricongiungerla alla madre patria2, come un fattore di coagulo del consenso interno e di intervento sugli equilibri dell’area.
La definizione della trasformazione della formazione sociale globale è focalizzata sulle dimensioni della crisi climatica e della innovazione digitale; l’esito della COP 28, sostanzialmente fallimentare, non fa che dare una ulteriore conferma della frammentazione dei processi di globalizzazione. Il campo della crisi climatica è quindi occasione di forme deboli di cooperazione globale quindi inevitabilmente strumento di competizione e conflitto, entrando a pieno titolo come elemento determinante nella misura degli equilibri geostrategici e delle strategie. L’instabilità del quadro attuale non può che aumentare man mano che le conseguenze del riscaldamento globale si accentuano e con esse si accentuano le diseguaglianze tra i diversi paesi e regioni del globo, in conseguenza delle diverse condizioni socio-economiche di partenza e della divergenza degli effetti sul clima tra le diverse regioni del globo. A questa crescita delle diseguaglianze e contraddizioni a livello regionale globale non suppliscono se non minimamente flussi di aiuti finanziari verso i paesi più colpiti e deboli economicamente, viceversa si accentua la competizione anche sul piano per stabilire una qualche influenza ed egemonia su aree peraltro instabili sino a forme di guerra civile, come sta accadendo nella regione del Sahel. Vi sono aree dove guerra e guerra civile si sono reciprocamente alimentate con carestie e lunghi periodi di siccità, vale per tutti l’esempio del Corno d’Africa, le cui vicende influenza pesantemente i paesi vicini, dove l’ultimo capitolo vede l’accordo tra Etiopia e il Somaliland3 con cui l’Etiopia si garantisce uno sbocco al mare con l’accesso al porto di Berbera, aprendo un ulteriore conflitto con la Somalia. L’Etiopia a fine dicembre è entrata nello stato di default per il mancato pagamento di una cedola da 33 milioni di dollari su un’obbligazione da un miliardo. È il terzo paese africano a finire in insolvenza per il suo debito estero dopo la crisi del Covid, dopo Zambia (2020) e Ghana (2022) che hanno avviato percorsi di ristrutturazione del debito attraverso il Common Framework4, iniziativa coordinata dal G20 per accordare soluzioni «sostenibili» ai paesi con reddito basso e alti livelli di indebitamento. La gestione del debito da anni è elemento di competizione tra gli Usa -ed i loro alleati all’interno di FMI e Banca Mondiale- e Cina5. Il Common Framework costituisce una iniziativa tendente ad integrare paesi come Cina ed India nella gestione del debito globale6.
Secondo gli ultimi dati di Banca mondiale, ripagare il debito – interessi inclusi – è costato ai 75 Paesi più poveri circa 88,9 miliardi di dollari nel solo 2022, una cifra che ci si aspetta dovrebbe ulteriormente aumentare di circa il 40% nel biennio 2023-2024, anche a causa dell’aumento dei tassi di interesse, andando a drenare risorse che potrebbero essere invece dirette a servizi di base come la sanità, l’educazione e l’adattamento al cambiamento climatico. Per questi Paesi, i soli interessi sul debito sono quadruplicati dal 2012 fino a 23,6 miliardi di dollari7.
Il continente Africano continua ad essere terreno di conquista da parte delle principali potenze, senza che questo garantisca la stabilità politica ed il progresso economico e sociale diffuso ovvero, sia pure attraverso una crescita delle diseguaglianze, è comunque in corso una trasformazione straordinaria della struttura economica e sociale dei paesi africani. Particolarmente significativa nel nuovo secolo è la penetrazione della Cina attraverso la costruzione di infrastrutture a cui corrisponde l’erogazione di prestiti8; l’Etiopia in particolare costituisce un partner fondamentale per la Cina9.
Nell’analisi dell’andamento delle trattative e delle conclusioni della COP28 e del contesto che l’ha prodotto abbiamo evidenziato come le esigenze dei diversi paesi rendano frastagliata la linea che definisce l’orizzonte temporale nel quale i diversi paesi prevedono di poter abbandonare l’uso dei combustibili fossili; può valere per tutti l’esempio del Brasile dove, con il ritorno alla presidenza di Ignacio Lula, si è ridotta di molto l’azione di deforestazione della foresta amazzonica, ma contemporaneamente si incrementa l’estrazione di petrolio dagli ingenti bacini scoperti negli ultimi anni10, fattore ineliminabile dello sviluppo economico del paese per molti anni, anzi decenni a venire. In un quadro di collaborazione strategica la conservazione della foresta pluviale amazzonica meriterebbe da sola un supporto economici sostanziale per tutti i paesi che la comprendono nei propri confini, il Brasile ovviamente per primo, in realtà sinora si è premiata l’esportazione di soia coltivata nelle aree deforestate. Il Brasile ha aderito all’alleanza OPEC+ dei paesi produttori di petrolio11. D’altra parte nello stesso ambito dell’alleanza gli equilibri appaiono piuttosto instabili “Il vertice è stato un fallimento anche sul fronte della querelle con i Paesi africani: l’Angola «produrrà più della quota determinata dall’Opec», ha dichiarato il governatore Estevao Pedro solo poche ore dopo il comunicato del gruppo, in cui si citava una quota di 1,11 mbg per Luanda, di 1,5 mbg per la Nigeria e di 0,277 mbg per il Congo, lasciando intendere che la questione fosse risolta. «Non è questione di disobbedire all’Opec – ha insistito Pedro – Abbiamo presentato la nostra posizione e l’Opec dovrebbe tenerne conto»12. Di certo nella coalizione allargata dell’Opec+ gli equilibri sono comunque destinati a cambiare. L’ingresso del Brasile è davvero uno sviluppo importante, che era del tutto imprevisto. Il Paese sudamericano vanta già adesso una produzione di greggio di 3,7 mbg, superiore a quella di qualsiasi altro membro del gruppo ad eccezione di Arabia Saudita, Russia e Iraq. E grazie a importanti investimenti (effettuati con diversi partner stranieri) l’output sta crescendo a ritmi velocissimi, in linea con l’obiettivo – ritenuto realistico dagli analisti – di arrivare a ben 5,4 mbg di capacità a fine decennio13.
Il Brasile con questa mossa entra ancora più profondamente nel confronto globale a cui aveva già dato un notevole contributo con la fondazione dei BRICS. L’ulteriore allargamento dei BRICS, dopo la loro fondazione, dal primo gennaio dell’anno in corso, a Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, mostra nell’eterogeneità politica, sociale, storica e culturale di questa nuova configurazione la ricerca di nuove alleanze ed equilibri, su tutti i piani, suscettibile di portare ad esiti del tutto imprevedibili. In generale l’orizzonte degli eventi prevedibili sul piano globale, nelle traiettorie che può prendere la formazione sociale globale in tutte le sue articolazioni, ebbene tale orizzonte è vicinissimo, forse è domani, ci si può quindi dilettare e discettare applicando ed approfondendo la disciplina che tratta dei sistemi complessi e delle dinamiche non lineari. Valga per tutti la questione degli equilibri nei mercati finanziari e monetari dove il dollaro costituisce ancora la principale moneta di scambio e quindi anche di misura, ma la sua egemonia nel medio periodo appare messa in discussione, così come quella delle due principali istituzioni chiamate a regolare l’economia mondo il Fondo Monetario Internazionale, e la Banca Mondiale creato nell’accordo di Bretton Woods14, mentre per quanto riguarda il WTO ormai, nella guerra commerciale globale, gli USA da guardiani dell’ortodossia ne sono diventati i principali trasgressori.
In buona sostanza le classi dirigenti di tutti i paesi si muovono in questa configurazione geostrategica a geometria variabile per cercare una rotta nel mare in tempesta di una trasformazione radicale dei rapporti sociali di produzione. Nella tensione tra crisi climatica ed innovazione tecnologica trainata dal digitale ed in questo dalle tecnologie dell’Intelligenza Artificiale (I.A.), le diverse formazioni sociali -in tutte le dimensioni che sono loro proprie, dove il termine composizione sociale a fronte di queste dinamiche richiede uno sforzo straordinario di analisi- manifestano in maniera crescente la propria obsolescenza all’interno e nella propria collocazione nel contesto globale.
Obsolescenza ed imprevedibilità nel contesto di trasformazioni radicali rendono particolarmente instabili le istituzioni politiche, le costituzioni materiali dei diversi paesi, gli orientamenti, le dinamiche e le stratificazioni culturali che si esprimono poi nelle varie forme di consenso politico, dove l’orientamento nei confronti del contesto interno è strettamente connesso con le scelte operate verso il contesto esterno entro il quale i governi operano scelte che hanno profonde influenze sulle condizioni materiali dei cittadini che governano e la loro visione del mondo. L’accettazione o meno dell’accoglienza verso i migranti, che si ammassano sempre di più ai confini dei paesi più ricchi, la partecipazione alle guerre in termini diretti o indiretti in termini di sostegno militare e politico, sono fattori sempre più critici nel determinare l’orientamento delle ‘opinioni pubbliche’ e degli elettorati, passivi e attivi. Gli orientamenti una volta espressi nelle tornate elettorali determinano poi scelte che influenzano profondamente le dinamiche locali e globali, retroagiscono sulle condizioni che li hanno generati: è ciò che sta accadendo e accadrà negli Stati Uniti ed in Europa. I governi stanno reagendo in maniera diversa, con diversa prontezza e disponibilità di mezzi finanziari e tecnologici all’obsolescenza di infrastrutture logistiche, produttive, amministrative e formative che deriva dalle radicali trasformazioni in corso nel modo di produzione. Negli USA i provvedimenti degli ultimi anni, in risposta anche al crollo dell’economia in conseguenza della pandemia, sono intervenuti a rilanciare il ciclo economico, intervenendo contemporaneamente a sostenere il processo di innovazione e ed il rinnovamento di infrastrutture costruite nel periodo d’oro del ciclo fordista alcuni decenni or sono, in un contesto nel quale coesistevano obsolescenza, arretratezza ed innovazione.
Diverso è il caso dell’Unione Europea, in particolare della Germania che da locomotiva d’Europa sta rischiando di diventarne il grande ammalato, proprio per il ruolo sino ad ora giocato, siamo di fronte ad una crisi strutturale ben tratteggiato nell’articolo di Alessandro Scassellati in questo stesso numero della nostra rivista. La specializzazione dell’apparato produttivo tedesco in filiere ormai mature, investite da processi di innovazioni radicale, come accede per il ciclo dell’auto e della logistica in generale, assieme alla cambiamento del mercato del lavoro in cui queste filiere si erano espanse nell’Europa centro-orientale, la fine della fornitura di materie prime energetiche da parte della Russia e la riduzione di sbocchi per le proprie merci in mercati come la Cina, richiedono straordinari investimenti in grado di rivoluzionare l’intera architettura dell’apparato produttivo nel senso più ampio del termine, dei servizi e degli apparti che lo sostengono, che sostengono e strutturano la riproduzione sociale complessiva. Qui nasce la contraddizione poiché la logica di controllo della spesa pubblica che la Germania impone a sé stessa ed impone all’Europa, impedisce di avviare sostenere quel processo profondo, radicale prolungato necessario ad uscire dalla stagnazione.
In realtà quel disorientamento, spaesamento, mancanza di certezze sul proprio futuro che investe globalmente tutte le società in particolare quelle più avanzate, in un contesto di crescenti disuguaglianze, mina alla radice gli equilibri politici sia dei paesi europei che degli Stati Uniti, con la crescita delle destre dell’AFD in Germania e la possibile vittoria di Trump alle presidenziali di quest’anno negli USA. La Francia che celebra la nomina a primo ministro Gabriel Attal, gay e il più giovane di sempre, vede questa nomina, dopo aver sfiduciato il predecessore la signora Élisabeth Borne, da parte del presidente Macron per contrastare la crescita nel consenso misurato dai sondaggi della destra di Marine Le Pen.
Negli USA il mantenimento, anzi la crescita delle diseguaglianze sociali, nonostante l’iniezione straordinaria di mezzi finanziari nell’economia del paese, il sostegno ad Israele nonostante il massacro perpetrato a Gaza, il mantenersi del blocco sociale reazionario che sostiene Trump e che porta quest’ultimo a rivendicare l’assalto a Capitol Hill, sembra portare allo sgretolamento dell’aggregazione che elesse Biden nel 2020 mentre dà forza ad un candidato che rivendica esplicitamente la volontà di stravolgere le regole del cosiddetto ‘gioco democratico’, la costituzione materiale del paese e di cambiare il ruolo degli USA a livello internazionale; su quest’ultimo terreno pesa il costo sempre più gravoso del sostegno all’Ucraina nello scontro con la federazione Russa.
Da queste brevi considerazioni si apre una riflessione, si pongono domande per ora senza risposta -a parere di chi scrive- sulla natura della democrazia, sulla sua possibilità di esistere come regime di partecipazione sociale, profonda allargata ovvero quanto oggi parlare di democrazia implichi sostanzialmente un discorso rivoluzionario in dinamiche e forme tutte da innovare, partendo in realtà da interrogativi che scavano a fondo in termini antropologici sulla natura dell’essere umano, della società umane a fronte e nel contesto della dinamiche trasformative che stiamo vivendo. L’illusione passata, figlia del ruolo della classe e della lotta operai nella fase fordista del capitalismo, di individuare nuove figure sociali egemoni dall’operaio sociale al cognitariato in grado di assumere il medesimo ruolo nei nuovi rapporti social credo sia definitivamente morta, come una semplificazione a cui non potremo più accedere, siamo in presenza di una sorta di trasfigurazione delle rappresentazioni dei caratteri umani, a cui ci costringe ad esempio il dibattito sull’intelligenza Artificiale, i cui toni talvolta apocalittici, in realtà celano angoscianti interrogativi sulla natura ed il ruolo dell’umanità, quali caratteri l’essere possa e debba ancora esprimere, con tutte le protesi tecnologiche di cui è in grado di dotarsi. All’opposto la distruzione degli ecosistemi, l’avvio di una possibile sosta estinzione di massa nella storia della vita sul nostro pianeta, rimanda ad una riflessione -non tanto sulla pericolosità della nostra specie, ormai assodata, per sé e le altre forme di vita-quanto sulla sua originalità, sull’esclusività dei caratteri che la definiscono, una riflessione sul confine tra animali ed umani, una riflessione fondamentale che attraversa da secoli le società occidentali in particolare dall’epoca dell’esplorazione degli altri continenti e la scoperta delle nuove specie di primati, ben descritta nel testo di Raymond Corbey ‘Metafisiche delle scimmie’. Nel frattempo viviamo immersi in cronache quotidiane di morte, a cui sembriamo in grado restare indifferenti, se non sviluppando una sorta di necrofilia nella società dello spettacolo virtuale.
Dal mondo della vita, passando, per i primati sino all’Intelligenza Artificiale, attraversando la crisi delle forme di coesistenza delle società umane, un compito straordinario ci attende, incombe quindi su di noi tutti, alla ricerca di nuove forme di liberazione, nella riscoperta anche di forme di cui si è persa memoria, sull’orlo dell’abisso.
Roberto Rosso
- ***[↩][↩]
- vedi il discorso di capodanno 2024 https://www.china-files.com/taiwan-files-il-discorso-di-xi-il-dibattito-tv-e-la-campagna-elettorale/[↩]
- https://ilmanifesto.it/lexit-strategy-delletiopia-in-default-il-mar-rosso-via-somaliland [↩]
- https://www.imf.org/en/Blogs/Articles/2021/12/02/blog120221the-g20-common-framework-for-debt-treatments-must-be-stepped-up [↩]
- https://africa24.it/2023/12/27/il-default-del-debito-delletiopia-mostra-che-i-creditori-occidentali-seguono-lesempio-della-cina/ [↩]
- https://www.sace.it/studi/dettaglio/il-common-framework-all-esame-zambia-un-nuovo-standard-per-le-ristrutturazioni-del-debito-sovrano [↩]
- https://www.avvenire.it/economia/pagine/anche-l-etiopia-va-verso-il-default-l-africa-piega [↩]
- https://www.wired.it/article/cina-africa-internet/ Il focus principale, in un continente dove molti paesi non hanno sbocco sul mare, è quello su infrastrutture e trasporti. Stando ai dati rilasciati dal ministero degli Esteri cinese nel novembre 2021, la Cina ha costruito in Africa più di 10.000 chilometri di ferrovie e autostrade, quasi 100 porti e 1000 ponti, più di 80 centrali elettriche su larga scala, oltre 130 strutture mediche, 45 stadi e 170 scuole. “La Cina ha raggiunto la quota del 19,6% di tutti i finanziamenti nelle infrastrutture, piazzandosi solo dopo gli stessi governi africani e con largo distacco da qualsiasi altro partner bilaterale. Dove finiscono esattamente i capitali cinesi? Sinora hanno beneficiato nell’ordine: trasporti (52,8%), comparto energetico (17,6%), settore immobiliare industriale, commerciale e residenziale (14,3%) e mining (7,7%)”. Spesso questi investimenti hanno portato grandi vantaggi dal punto di vista occupazionale e, appunto, infrastrutturale. Ma anche conseguenze dal punto di vista economico. “In meno di dieci anni, il debito di Nairobi nei confronti di Pechino è più che triplicato, arrivando a contare quasi il 70% del totale delle passività accumulate. Ferrovie, strade, ponti hanno fatto salire il conto a 6,9 miliardi di dollari nell’aprile 2021. È il prezzo da pagare per la Nuova Via della Seta”, scrive Colarizi. [Africa rossa di Alessandra Colarizi L’Asino d’Oro Edizioni][↩]
- https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-partnership-strategica-tra-etiopia-e-cina-23937 https://africa24.it/2024/01/03/cina-un-prestito-da-1-3-miliardi-di-dollari-sbloccato-per-letiopia/ [↩]
- https://www.ice.it/it/news/notizie-dal-mondo/252410 https://www.agenzianova.com/news/brasile-uno-studio-mostra-un-ricco-giacimento-petrolifero-sulla-fascia-costiera-nel-nord-del-paese/ [↩]
- https://www.ilsole24ore.com/art/opec-taglia-altro-milione-barili-giorno-AFl9ZOrB [↩]
- ibid. [↩]
- ibid.[↩]
- https://www.treccani.it/enciclopedia/bretton-woods_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/ [↩]