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Piccole scosse nella politica francese

di Franco
Ferrari

Il sistema politico francese è sempre più costruito attorno alla figura del Presidente della Repubblica. Dopo il dominio di De Gaulle che l’aveva pensato a sua immagine e somiglianza era succeduto un periodo più complesso che aveva visto l’alternarsi degli schieramenti, con la vittoria di Mitterrand, ma anche periodi di convivenza tra un presidente e una maggioranza parlamentare di segno diverso. La decisione di ancorare l’elezione per il parlamento a quella del Presidente ha portato ad una diminuzione del ruolo del primo, la cui composizione subisce l’effetto di trascinamento del risultato presidenziale. Il problema nasce quando il Presidente entra in crisi di consenso e non ha più alle sue spalle una forza politica o uno schieramento solidi. Inoltre il sistema è talmente concentrato sulla figura del Presidente della Repubblica che tutti i sommovimenti interni alle forze politiche risentono di questo passaggio anche quando la scadenza del suo rinnovo è ancora molto lontana.

Questa premessa è necessaria per capire alcune evoluzioni in corso nei vari campi politici francesi anche se il prossimo appuntamento presidenziale è fissato per il 2022. Ma la presidenza Macron si è rivelata molto fragile.  Anche nella gestione della pandemia da Covid19 il suo consenso è stato molto basso, mentre in altri paesi si è registrato almeno nella prima fase una certa convergenza unitaria dell’opinione pubblica a favore del governo, anche nei casi in cui questi hanno dato prove tutt’altro che brillanti.

Macron aveva già dovuto scontare la ribellione dei Gilet Gialli che per quanto contradditoria e fragile nella sua struttura aveva dato voce ad un malessere sociale assai diffuso e ne aveva fissato l’immagine di Presidente dei ricchi. Poi è venuto lo scontro, molto più classico nelle sue forme e nei suoi protagonisti, ma non meno duro nel suo sviluppo, sulla riforma delle pensioni. Approvata con una forzatura istituzionale è stata poi annullata con il pretesto dell’esplosione della pandemia. Ora Macron prova a rilanciare sul terreno che aveva scelto di privilegiare in contrapposizione al nazionalismo sciovinista della Le Pen: la dimensione europea. Il recente accordo con la Merkel per una proposta comune che rilanci il progetto europeista non può che essere visto anche la luce delle possibile ricadute in politica interna.

Il terreno sul quale si muove Macron, in vista delle elezioni del 2022, resta fragile. Ne è un segnale lo smottamento nel suo gruppo parlamentare, con una scissione (per ora di piccole dimensioni) che ha però l’effetto simbolico di far scendere “La Republique en Marche” sotto la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale. Il gruppo macroniano aveva già subito un lento esodo di dissidenti motivati dalle più diverse ragioni. Non viene messo in discussione il controllo complessivo del Presidente perché può contare sui partiti alleati centristi: Modem e Agir. Ma resta comunque un segnale che Macron non ha ripreso quella spinta propulsiva (aiutata da settori importanti dell’establishment) che gli aveva permesso di imporsi nel 2017. Il nuovo gruppo parlamentare, dall’ambizioso nome di “Ecologie, Democratie, Solidarité”, tre qualità che sono completamente mancate alla gestione macroniana, critica la maggioranza presidenziale perché spostata troppo a destra rispetto alle premesse e promesse (retoriche) della campagna elettorale.

Il progetto macroniano di costruire un nuovo asse politico di neoliberismo modernizzatore che superasse la tradizionale divisione destra-sinistra ha per ora inasprito piuttosto che risolvere la crisi del sistema politico francese. Se inizialmente il suo elettorato aveva intercettato parte del malessere della componente più moderata del vecchio blocco socialista, nel corso del suo mandato ha cominciato a “pescare” molto di più nel voto di destra per la contemporanea crisi del progetto gollista. Presentandosi come unica alternativa “progressista” ai nazional-sciovinisti poteva contare alla fine di raccogliere anche molti voti di chi decide turandosi il naso che è in fondo meglio avere alla guida del paese un tecnocrate liberista piuttosto che gli eredi di collaborazionisti di Vichy. Ma questo meccanismo si sta logorando e non è più scontato che funzioni nel 2022.

Per questo si stanno muovendo altri personaggi della scena politica. Fra i promotori del nuovo gruppo vi sono parlamentari vicini a Nicolas Hulot, tornato sullo scena con grande clamore mediatico nelle settimane scorse con le sue proposte per il dopo epidemia. Hulot rappresenta una visione ecologista eco-compatibile con gli interessi del grande capitale. Era entrato nel primo governo di Macron per poi uscirne rapidamente dato che anche l’ecologismo “compatibile” era risultato incompatibile con le linee di un governo improntato al liberismo tecnocratico e autoritario. Ora non c’è dubbio che Hulot si sia messo sui blocchi di partenza in vista della corsa del 2022, per rappresentare un piano B del progetto macroniano. Più digeribile per l’elettorato di centro-sinistra grazie alla facciata ecologista. Ma perché trovi spazio bisogna che risulti più esplicito il fallimento del Piano A e che Macron arrivi sfiatato alle elezioni come avvenne per il suo predecessore Hollande.

Hulot andrebbe a turbare i progetti, non ancora bene definiti, del campo ecologista che in grande maggioranza non si era integrato nel progetto macroniano. Anche qui cominciano a prepararsi i contendenti. Il più titolato è Yannick Jadot, capolista alle elezioni europee per EELV. I verdi hanno ottenuto un successo alle europee e buoni risultati nel primo turno delle elezioni municipali con presentazioni e alleanze piuttosto variabili. Jadot all’interno di EELV rappresenta l’ala realos, dell’ecologismo di governo, non del tutto ostile ad alleanze a sinistra ma piuttosto scettico su qualsiasi riedizione di “gauche plurielle”. Probabilmente amerebbe andare da solo ma è consapevole che l’attenzione alle tematiche del cambiamento climatico che hanno favorito una piccola onda verde potrebbe non essere sufficiente per  inserirsi nella partita Macron-Le Pen, soprattutto se ci fosse concorrenza a sinistra. Per questo emerge con una certa forza la possibile candidatura del sindaco di Grenoble, Eric Piolle,da poco riconfermato ed eletto già nelle precedenti elezioni con un’alleanza anomala che vedeva il diretto coinvolgimento di France Insoumise.

A sinistra sono in corso vari tentativi di ricomposizione unitaria. Attualmente nessuna forza politica è in condizioni tali di potersi imporre da sola. Né i socialisti, né il PCF (che pure ha già eletto più di mille consiglieri comunali e mantiene una presenza territoriale significativa), ne Generations di Hamon e così per altri raggruppamenti e sigle. Un recente appello per una “iniziativa comune” firmato da politici, intellettuali ed esponenti delle strutture di movimento, cerca di delineare le linee fondamentali di un possibile nuovo programma comune fondato su una trasformazione sociale ed ecologica. Per l’autunno si spera di arrivare ad una Convenzione, ma siamo ancora alle prime battute ed è difficile prevedere se si creerà una dinamica tale da modificare in meglio il quadro di frammentazione esistente.

Resta il problema di France Insoumise. Il movimento di Melenchon non ha più la spinta iniziale ma resta un soggetto dal quale non si può prescindere per una riaggregazione a sinistra. Resta scettico rispetto a tutte quelle forme unitarie che si presentano come una “macedonia di sigle” o una riedizione delle vecchie esperienze di unità a sinistra. Ha lanciato l’idea di una “federazione popolare” che, in teoria, dovrebbe guardare al di là delle forze politiche, puntando ad una costruzione dal basso che possa andare a conquistare consensi anche in una parte dell’elettorato popolare che guarda alla Le Pen. Esigenza condivisibile ma che finora non ha dato i risultati sperati. Inoltre France Insoumise resta un movimento molto fluido costruito attorno al suo leader e ad un gruppo di fedelissimi e questo non ha aiutato il suo allargamento. Non è ancora chiaro se Melenchon pensi ad un terzo tentativo di assalto alla Presidenza della Repubblica. Una scelta che ad oggi sembra piuttosto rischiosa perché apparirebbe a molti elettori come un eccesso di personalismo. Anche nella presidenza di stile monarchico che caratterizza la Francia, se all’estrema destra non crea problemi l’ennesima candidatura della Le Pen, a sinistra si resta ancorati all’idea di una soggettività collettiva e plurale non riducibile all’uomo (o la donna) soli al comando.

Una qualche verifica di quanto tutti questi piccoli movimenti siano percepiti dagli elettori lo darà il secondo turno delle elezioni municipali, rimasto in sospeso per effetto della pandemia. Forse si voterà entro giugno, nel qual caso varranno i risultati del primo turno. Se invece si dovesse andare all’autunno allora si dovrà rifare anche il primo turno, almeno dove i sindaci non siano già stati eletti. La percezione dei sondaggisti è che le vicende di queste settimane abbiano creato uno spirito favorevole ai sindaci uscenti ma in molte città importanti (a partire da Parigi e Marsiglia) l’esito dello scontro resta molto incerto.

Franco Ferrari

 

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