editoriali

Per chi suona la campana

di Roberto
Musacchio

Nessun uomo è un’isola
Completo in se stesso
Ogni uomo è parte della terra
Una parte del tutto
Se una zolla è portata via dal mare
L’Europa risulta essere più piccola
Come se fosse un promontorio
Come se fosse una proprietà di amici tuoi
Come se fosse la tua casa
La morte di ciascun uomo mi sminuisce
Perché faccio parte del genere umano
E perciò non chiederti
Per chi suoni la campana
Suona per te

Così scriveva il poeta John Donne e si era tra il 1500 e il 1600.

Nella prima metà del 1900 Ernest Hemingway riprende un suo verso e lo pone a titolo del suo libro sulla guerra civile spagnola dopo aver chiamato Addio alle armi il romanzo sull’esperienza vissuta nella Grande guerra.

Hemingway è stato tra gli scrittori che ho più amato nella mia formazione. Mi viene da ridere quando si parla di antiamericanismo per chi come me ha amato tanti “autori yankees” come d’altronde Tolstoj o Dostoevskij.

Ha ragione Riccardo Petrella quando ci dice che ancora oggi da una parte ci sono i dominanti e dall’altra l’umanità.

Da una parte c’è l’orrore, dall’altra l’importanza che finisca, da dovunque venga. Certo c’è bisogno di giustizia per la pace. Ma la giustizia giusta è riconoscere il diritto di tutti e ciascuno ad una vita sicura, libera, appunto di ognuno insieme a tutti gli altri.

Un nuovo sistema sociale e un nuovo ordine mondiale, diceva Enrico Berlinguer.

Solo questa diversa prospettiva serve eccome per rispondere alla domanda che ci opprime, a che punto è la notte, per vedere uno spiraglio di luce.

Difficile fare il punto sul campo. Troppa propaganda come in tutte le guerre.

Si può tenere la contabilità dei morti. E ogni croce è una campana che suona. Si può ragionare su una guerra che ormai ha superato i 100 giorni, più gli anni precedenti del conflitto in Donbass. Aumentano le armi ma diminuiscono gli uomini che devono usarle. Cresce la parte di Ucraina in mano ai Russi. E crescono le sofferenze economiche della guerra per i popoli. Che è la parte mondiale di una guerra a pezzi che va avanti da oltre trent’anni. In cui gli aspetti “finanziari e geopolitici” contano quanto e più di quelli bellici. Petrolio e gas che transitano per borse, continenti e bollette. Grano che cresce in borsa e manca sulle tavole soprattutto quelle più povere. Mercanti di armi e criptovalute, fame e quarta settimana di stenti.

Non si sa chi vince la guerra, sicuramente la perdono le persone.

In Italia spread oltre i 200 punti, peggio c’è solo la Grecia. Inflazione al galoppo, PIL che si ferma, lavoro e salari giù.

Alla terza grande crisi il nostro Paese è ormai in ginocchio. Perse percentuali enormi di apparati produttivi (era il 25% del manifatturiero dopo la prima crisi). Milioni di ore lavorate in meno. Milioni di contratti precari in più.

Mentre la Spagna cancella le norme più precarizzanti della legge sul lavoro e vede crescere in breve i contratti stabili. Mentre in Germania si porta il salario minimo a 12 euro e i sindacati chiedono aumenti contrattuali medi del 12%. Mentre in Francia la NUPES chiede pensioni a 60 anni, salario minimo a 1400 euro e molto altro. Mentre tutto ciò accade altrove, in Italia le classi politiche ed economiche le più servili non hanno minimamente nel proprio orizzonte alcuna idea di rappresentanza ma solo di autoperpetuazione. Tutte, dal PD, ai Cinquestelle, alla Lega, a Fratelli d’Italia. La maschera di cera di Berlusconi che si addormenta mentre il suo Monza arriva per la prima volta in serie A salvo poi svegliarsi e promettere scudetto e coppa dei campioni è l’immagine del Paese. Roba che Breznev sembra un virgulto. Forse sarebbe ora di farla finita con lorsignori.

 

di Roberto Musacchio

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