L’aggressione della Russia all’Ucraina, ha mostrato al mondo oltre la brutalità della guerra, l’importanza in un mondo sempre più globalizzato di materie prime come petrolio, gas, ma anche se non soprattutto grano, mais, orzo, girasole alla base dell’alimentazione di milioni di persone nel mondo.
Per quando riguardo il grano, nel mondo si producono intorno a 780 milioni di tonnellate di grano tenero, alla base della farina e quindi dei prodotti da forno (pane, pizza, biscotti) mentre si producono circa 35 milioni di tonnellate di grano duro appena il 6% della produzione di grano, alla base della pasta.
Russia e Ucraina rappresentano circa il 15% della produzione mondiale di grano tenero e il 30% delle esportazioni, numeri estremamente importanti e da cui dipende spesso il futuro di milioni di persone soprattutto nella aree più povere del pianeta.
L’Italia è il secondo paese produttore al mondo di grano duro dopo il Canada e contemporaneamente è il primo paese importatore. In Italia si producono circa 4 milioni di tonnellate di grano duro per il fabbisogno dell’industria della pasta che si aggira intorno ai 6,5 milioni di tonnellate, quindi, ogni anno l’Italia importa circa 2,5 milioni di tonnellate di grano duro (circa 40%) Per il grano tenero, l’Italia produce circa 2,5 milioni di tonnellate e ne importa circa il 65%.
L’Italia importa grano duro soprattutto da Canada e Stati Uniti, mentre importa grano tenero da Francia, Ungheria, Austria, Germania, paesi comunitari, poiché l’Europa grazie alla Politica Agricola Comunitaria ( PAC) ovvero con forti interventi pubblici in Agricoltura, pur tra mille contraddizioni, riesce ad essere tendenzialmente autonoma nel campo dei cereali.
Come si vede, l’Italia importa pochissimo, intorno al 5% del proprio fabbisogno di grano da Russia e Ucraina che pure sono importanti esportatori di grano.
In Italia negli ultimi anni, si sono ridotti di molto le superfici coltivate a grano duro e grano tenero, soprattutto per i bassi prezzi pagati agli agricoltori, spesso costretti a lavorare sotto i costi di produzione.
Per sostenere i produttori di grano duro in Italia, materia prima fondamentale per un prodotto di eccellenza del made in Italy come la pasta, il Governo ha favorito un percorso di valorizzazione di materia prima nazionale come l’etichettatura obbligatoria pasta 100% di grano italiano, misure comunitarie con un contributo accoppiato alla produzione, un contributo legato ai contratti di filiera oltre al premio comunitario disaccoppiato spesso molto basso di cui beneficiano i produttori di cereali, insomma senza contributi pubblici comunitari e nazionali, la produzione di grano in Italia si sarebbe ridotta ancora di più e sarebbe aumentato in maniera indiscriminato l’import.
Negli ultimi anni si sono susseguiti record di produzione di grano su scala mondiale e contemporaneamente sono cresciuti i consumi soprattutto nell’area dei paesi BRICS, vi è stata una diminuzione delle scorte con forti fibrillazione sui prezzi.
Il grano alla pari della altre commodity , sempre più risente di prezzi mondiali, decisi su scala internazionale, spesso condizionati da eventi sempre più “ordinari” come siccità, cambiamenti climatici, aumenti dei costi di produzione ma soprattutto, lo scotto da pagare ad un processo di finanziarizzazione dell’economia che oramai sfugge a qualsiasi controllo. Cresce sempre di più “la speculazione sulla fame” con forme di investimento che si spostano sempre più dai mercati finanziari in difficoltà ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati «future» uno strumento su cui chiunque acquistando e vendendo grano virtuale senza nessun legame con il prodotto fisico.
La situazione rischia di farsi sempre più complicata nei prossimi mesi, la produzione mondiale di grano per il 2022/23 è prevista in calo per effetto della riduzione dovuta alla siccità sempre più costante in Canada, negli Usa, in India e ovviamente in Ucraina dove causa il dramma della guerra, il raccolto è stimato circa del 40% in meno rispetto ai 33 milioni di tonnellate previste. Pesano inoltre gli alti costi dei mezzi di produzione a partire dai i fertilizzanti, con la Russia primo paese esportatore e sotto sanzione, il gasolio e l’aumento dei costi di trasporto via nave oramai insostenibile. Una situazione particolarmente difficile e che rischia di stravolgere gli equilibri geopolitici mondiali con Paesi come Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran che acquistano più del 60% del proprio grano da Russia e Ucraina ma anche Libano, Tunisia Yemen, e Libia e Pakistan che sono fortemente dipendenti dalle forniture di Russia e Ucraina.
Da segnalare come il 90% del mercato globale dei cereali è controllato da appena quattro gruppi mondiali, che si ritrovano spesso sotto l’acronimo di ABCD … ovvero ADM ( Archer – Daniels – Midland) società statunitense, BUNGE, sempre una società Usa, la Cargill ancora USA e la Dreyfus Commodities che ha sede in Francia, queste quattro società di fatto decidono le sorti di milioni di persone nel mondo.