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Patto di Stabilità: un triste epilogo

di Andrea
Amato

Con il voto del Parlamento Europeo nella mattinata di martedì 23 aprile 2024, si è consumato a Strasburgo l’ultimo atto politico – prima del passaggio formale, il 29 aprile, al Consiglio UE per la promulgazione – della vicenda relativa al nuovo Patto di Stabilità e Crescita, che ormai da molti anni, per pudore, tutti chiamano solo Patto di Stabilità. Non mi soffermerò sulla storia di questa “riforma” e sulla sua valutazione politica, avendone trattato a lungo in due articoli pubblicati sulla rivista “Alternative per il Socialismo” 1. Piuttosto, alcuni aspetti di quest’ultimo voto e delle soggiacenti dinamiche politiche, che esso ha messo in evidenza, meritano una certa attenzione, anche in considerazione del fatto che quella di questa settimana è l’ultima sessione plenaria di questo mandato del Parlamento Europeo, ed è importante capire qual è l’eredità politica che esso lascia a quello che si insedierà dopo le elezioni del prossimo giugno.

Innanzi tutto, su che cosa si è votato nella plenaria di martedì? Sono stati posti in votazione i testi legislativi oggetto del cosiddetto “accordo provvisorio” prodotto dal negoziato interistituzionale informale – il famoso “trilogo” tra Parlamento e Consiglio, con l’assistenza della Commissione – che si è svolto dal 17 gennaio al 10 febbraio 2024. In realtà si è trattato di una sorta di accordo leonino in cui le posizioni del Consiglio sono state predominanti, permettendo al Parlamento di introdurre al compromesso intergovernativo (Consiglio ECOFIN del 20 dicembre 2023) soltanto qualche elemento di maquillage dei testi e una serie di buone intenzioni sul rispetto del Pilastro europeo dei diritti sociali e del Green Deal. Sono state così approvate tre Risoluzioni che hanno confermato i testi prodotti dal trilogo relativi ai tre provvedimenti che compongono il pacchetto del Patto. Va precisato solo per quanto riguarda la Risoluzione relativa al “braccio preventivo” il voto del Parlamento ha potuto esercitare sino in fondo i suoi poteri di codecisione, perché sugli altri due provvedimenti esso ha soltanto potere consultivo. È quindi solo sul primo che conviene limitare le considerazioni politiche sull’operato del Parlamento Europeo.

Nel trilogo sono stati accettati dal Parlamento tutti i peggioramenti della proposta della Commissione, imposti dal Governo tedesco; in primo luogo, l’introduzione dei benchmark numerici, uguali per tutti gli Stati membri, che hanno decretato il ritorno all’austerità e prefigurato una prospettiva fosca per le economie dei Paesi più indebitati, a cominciare dall’Italia, con tutte le conseguenze che si possono immaginare sulle condizioni sociali e di vita dei cittadini.

Oltre ai motivi di subordinazione politica del Parlamento nei confronti del Consiglio, che sono stati evocati nel secondo articolo pubblicato su “Alternative per il Socialismo”, va sottolineato il fatto che la base negoziale da cui partiva il Parlamento Europeo, la Relazione elaborata nel novembre 2023 dalla sua Commissione per i problemi economici e monetari (ECON), comportava già una posizione debolissima e rinunciataria, che persino peggiorava la proposta della Commissione, anticipando clausole che sarebbero state, qualche settimana dopo, introdotte nel compromesso del Consiglio. Una posizione, gestita dalle due correlatrici (una del Gruppo del Partito Popolare Europeo-PPE, l’altra dei Socialisti e Democratici-P&D) e approvata in Commissione, nonostante i voti contrari dei Verdi, della Sinistra e delle Destre. In questo, oltre al ruolo guida del PPE, ha contato molto il comportamento del Gruppo dei S&D, in cui è prevalsa la fedeltà ai propri Governi ovvero la fuga dal voto di quelli i cui partiti sono all’opposizione, come nel caso dei “socialisti” italiani, che nella Commissione ECON sono solo due (e questo potrebbe già far nascere qualche interrogativo): un membro effettivo, l’economista Irene Tinagli, che è anche Presidente della Commissione e un membro sostituto, la politologa Elisabetta Gualmini. Ebbene nessuna delle due ha partecipato alla votazione che ha approvato quell’obbrobrio di Relazione.

Secondo la procedura in vigore nel Parlamento Europeo, un “accordo provvisorio” risultato dal negoziato nel trilogo può essere solo approvato o respinto in blocco. In effetti, un emendamento di reiezione globale è stato presentato dal Gruppo della Sinistra, ma ha ottenuto soltanto 164 voti a favore contro 423 contrari2. Oltre alla Sinistra, hanno votato a favore della reiezione i Verdi (in grande maggioranza), alcuni dissidenti del Gruppo dei Conservatori-ECR (tra cui quattro olandesi e il francese Bay di Reconquête!), i francesi del Rassemblement National e i tedeschi di Alternative für Deutschland (Gruppo Identità e Democrazia-ID), i deputati di 5 Stelle e Cozzolino (Gruppo Non Iscritti), alcuni dissidenti del PPE, dei S&D (tra cui Glucksmann) e di Renew (tra cui Castaldo).

Nella votazione successiva 3, la Risoluzione sul “braccio preventivo” è stata approvata con 367 voti a favore, 161 contrari e 69 astenuti. Il voto sulle altre due Risoluzioni consultive ha avuto pressoché le stesse proporzioni. È interessante il confronto tra questo voto e quello ben più decisivo del 17 gennaio 2024, che ha approvato il mandato al negoziato nel trilogo, assumendo come posizione del Parlamento quella espressa dalla Commissione ECON. I Gruppi principali, PPE e S&D (entrambi senza il voto degli italiani) nonché Renew, hanno mantenuto la loro posizione per il rispetto delle regole di Maastricht, anche se nella discussione che ha preceduto il voto hanno sostenuto che non si tratta di un ritorno all’austerità ma di affermare il principio della “responsabilità” nella gestione dei bilanci nazionali. A ben vedere, qualche elemento di incoerenza c’è stato; molti parlamentari appartenenti a questi tre Gruppi, nella discussione d’inizio mattinata sulle conclusioni dell’ultimo Consiglio Europeo e, in particolare sulla competitività europea, si sono sperticati in elogi a Mario Draghi, per poi votare un Patto che lo stesso Draghi ha giudicato inutile e superato.

La posizione più coerente è stata quella dei Verdi e della Sinistra, che hanno mantenuto la loro ferma opposizione. Anche il Gruppo dei Conservatori e Riformisti-ECR, a parte gli italiani di Fratelli d’Italia e i succitati dissidenti, ha mantenuto la sua posizione a favore del Patto. Il Gruppo ID ha confermato la sua spaccatura verticale; i non italiani (tutti meno la Lega) hanno continuato a votare contro. I cambiamenti di rotta più vistosi sono stati quelli della maggioranza dei deputati italiani. Quelli di Forza Italia, del PD, di Fratelli d’Italia e della Lega, che in gennaio avevano tutti votato a favore della posizione della Commissione ECON – e quindi di questo nuovo Patto – hanno tutti espresso un voto di astensione.

Nelle dichiarazioni rilasciate alla stampa, queste vistose incoerenze sono state giustificate da parte di chi in Italia è nella maggioranza di Governo “perché permangono molti punti di criticità”; da parte dei deputati del PD, con una motivazione di basso livello: “per non approvare un Patto negoziato dal Governo Meloni”. Più appropriato il commento del Commissario Gentiloni, lasciato in braghe di tela dal suo partito: “Immagino ci siano ragioni di politica interna” e poi, ironicamente: “Abbiamo unito la politica italiana”. Il che è vero solo parzialmente perché i deputati di 5 Stelle hanno votato contro, come a gennaio.

Tra tutti gli aspetti negativi della procedura di negoziato informale nel trilogo – primo fra tutti la non trasparenza – c’è anche una ipocrisia formale che ha un risvolto profondamente antidemocratico. Formalmente non si è votato favore o contro l’”accordo provvisorio” ma su due emendamenti alla proposta della Commissione. Un emendamento, che riproduce il testo uscito dal trilogo – 46 paragrafi di “considerando” e 38 articoli, volto, quindi, a modificare la proposta della Commissione – e un emendamento di reiezione, che la respinge in blocco. Si impedisce così la possibilità all’opposizione di presentare emendamenti puntuali, ma si uccide anche la dialettica democratica, basata sulla presentazione di emendamenti, che in generale è praticata in tutti i Parlamenti.

Questa procedura ha messo in luce un’altra incoerenza nella incoerenza del PD. L’”emendamento” votato a maggioranza è stato presentato da Irene Tinagli che poi non ha votato un testo da lei stessa presentato. È vero che l’emendamento è stato presentato a nome della Commissione ECON, ma quando ci si trova in un conflitto di questo genere, la decenza politica suggerirebbe di trovare altre soluzioni; e se queste non sono possibili ci sono sempre le dimissioni. Ma forse è chiedere troppo.

Riflettendo su quanto è accaduto in questi ultimi mesi, non ci si può non chiedere come sia stato possibile che un Parlamento Europeo in cui – nella fase finale della presidenza del compianto David Sassoli – da tutti i Gruppi si levava il grido “mai più austerità”, sia arrivato a riesumare il vecchio Patto di Stabilità.

E pensando al dopo elezioni di giugno, cosa ci si può aspettare da un Parlamento che continuerà a funzionare con queste regole e ad essere il riflesso del consociativismo intergovernativo?

di Andrea Amato

  1. Andrea Amato, La riforma del Patto di Stabilità: un’impresa a perdere. Alternative per il Socialismo n.70, 2023 e Andrea Amato, Il nuovo Patto di Stabilità: in realtà una riesumazione. Alternative per il Socialismo n.72, 2024[]
  2. cfr. Punto 25 – Am2 del Processo verbale []
  3. cfr.Punto 25 – Am3 del Processo verbale[]
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