Le Olimpiadi di Parigi, che iniziano il 26 luglio, si svolgono, più che altre in passato, sotto l’incubo della guerra, delle guerre. Ma la storia dei Giochi, dall’età moderna, è stata perennemente influenzata da quanto avveniva nel pianeta: sull’evento si concentra gran parte dell’attenzione mondiale quindi come non ricordare, quelle di Berlino del 1936 quando Jessie Owens – mentre Hitler esaltava il potere nazista che avrebbe condotto alla Seconda guerra mondiale – umiliò le pretese della superiorità ariana. Un gesto passato alla Storia non solo sportiva. Ma già dal 1916, era scoppiata la “Grande guerra”, le Olimpiadi che si sarebbero dovute tenere a Berlino vennero annullate. La Germania aveva già invaso il Belgio, entrambe le nazioni facevano parte del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) la cui sede è ancora oggi nella neutrale Svizzera, a Losanna. Nel 1919 i giochi si tennero ad Anversa, l’Europa era ancora in macerie e gli odi non erano affatto sopiti. Con una decisione sofferta il CIO decise semplicemente di non invitare le potenze sconfitte: Germania, Austria, Ungheria, Bulgaria e Turchia. Un “non invito” che di fatto si tradusse in vero boicottaggio e che si ripetette nel 1924, 100 anni fa, ai giochi di Parigi. La Germania ebbe l’invito 4 anni dopo ad Amsterdam. Intanto a non partecipare, per scelta ai Giochi c’era l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche in cui al record si prediligeva la partecipazione. Ci furono le Spartakiadi, la prima in Russia nel1928 mentre la seconda venne vietata dalla polizia a Berlino nel 1931. Le Olimpiadi Operaie, ebbero maggior risonanza, la prima si tenne a Francoforte sul Meno. Poi a Vienna e ad Anversa. Solo l’URSS partecipava ufficialmente, altri atleti lo facevano a titolo personale e per convinzione politica.
La Seconda guerra mondiale fece saltare anche due edizioni dei Giochi. Si riprese nel 1948 a Londra, in un clima ancora scosso dall’immensità di quanto accaduto. Come tanti anni prima Germania e Giappone non vennero invitate, maggiore magnanimità venne accordata all’Italia che partecipò. Nel 1952 l’URSS che si era avvicinata al CIO, accettò finalmente, insieme ai Paesi che gravitavano alla sua orbita, di partecipare ai Giochi di Helsinki dove giunse, nel medagliere seconda dopo gli Usa. Boicottaggi allora non ce ne furono, ma è vero che gran parte delle atlete e degli atleti non coprivano buona parte del pianeta ancora sotto dominio coloniale. Nel 1956 i Giochi finalmente vengono assegnati ad un paese australe, prevale Melbourne di un voto su Buenos Aires. E forse il 1956 ci riporta ai nostri giorni. C’era stata l’invasione da parte di Israele del Sinai in Egitto e l’occupazione dell’Ungheria da parte delle armate sovietiche. Egitto, Libano e Iraq per decisero di boicottare i giochi per quanto accadeva in Medio Oriente; Olanda, Spagna e Svizzera per l’Ungheria. Si ricorda di quelle edizioni la rissa, nella finale di pallanuoto fra i giocatori di Ungheria e URSS. Anche la Repubblica Popolare Cinese non partecipò, in segno di protesta, ai Giochi dopo la decisione di ammettere anche Taiwan (la Cina Nazionalista), cui non veniva riconosciuta l’esistenza come Stato a se stante.
E se le Olimpiadi di Roma del 1960, rappresentarono un momento di grande partecipazione, anche degli Stati africani formalmente indipendenti, già con quelle di Tokio del 1964 tornano i problemi. L’anno precedente a Jakarta, Indonesia, si erano tenuti i Games of the new emerging forces (GAMEFO) da cui erano stati esclusi Israele e Taiwan. Gli atleti che avevano partecipato vennero esclusi dai Giochi di Tokio. Corea del Nord e Indonesia, non mandarono i loro atleti a tali Olimpiadi. Dai Giochi venne escluso per la prima volta anche il Sudafrica, a causa del regime di apartheid condannato da gran parte degli Stati africani, dei Non Allineati e del blocco comunista. Il Sudafrica venne riammesso ai Giochi nel 1992, quando l’apartheid ebbe fine ed anche questo è un dato di cui tenere conto.
Le Olimpiadi del 1968 si ritrovarono la guerra in casa. Un’immensa manifestazione studentesca in opposizione al governo che, durante una crisi economica senza precedenti, spendeva miliardi per i Giochi, venne repressa nel sangue con oltre 500 morti. Ma quei giochi segnarono anche immagini destinate ad entrare nella Storia. Mentre negli USA, il razzismo colpiva – non ha mai smesso – le persone afroamericane, la protesta montava e trovò la sua visibilità estrema quando Tommie Smith e John Carlos, primo e terzo nella finale dei 200 mt, si presentarono sul podio scalzi e, quando risuonò l’inno Usa, chinarono la testa e alzarono un pugno chiuso guantato di nero. Vennero cacciati dal villaggio olimpico e la loro carriera agonistica venne distrutta, come accadde anche all’oscuro atleta australiano, bianco, che giunse secondo, Peter Norman e avendo solidarizzato con il gesto dei compagni di corsa venne considerato un traditore nel proprio Paese. Si la guerra entrava nei Giochi, nel 1972 con un attacco terroristico nello stesso villaggio olimpico a Monaco di Baviera. L’organizzazione palestinese Settembre Nero, uccise due atleti israeliani e ne prese altri in ostaggio. Chiedevano la libertà, in cambio, di detenuti palestinesi, ma non ci fu nessun accordo. 11 atleti e numerosi palestinesi vennero uccisi. Ma i Giochi continuarono. A Montreal, 1976, altro boicottaggio: la Nuova Zelanda aveva ripreso le relazioni con il Sudafrica. Le nazioni africane decisero di boicottare le Olimpiadi canadesi. Nel 1980 le Olimpiadi di Mosca vennero boicottate dagli Usa, a seguito dell’invasione sovietica in Afghanistan. L’allora presidente Carter chiede ai Paesi NATO di astenersi dalla partecipazione, alcuni lo fanno, altri no, altri non partecipano unicamente alla cerimonia d’apertura. Si replica a Los Angeles 4 anni dopo a parti invertite. l’URSS annunciò la sua volontà di astenersi, per ‘motivi di sicurezza’, nel timore di una accoglienza non gradita in terra Usa, Stessa scelta fecero gli allora Paesi del Patto di Varsavia, tranne la Romania, nonché Cuba, Etiopia, Corea del Nord e Afghanistan. Nel 1988 la sede prescelta fu Seul, inevitabile la non partecipazione della Corea del Nord, con cui solidarizzarono: Cuba, Etiopia, Nicaragua e Albania. I Giochi del 1992, i primi dopo la Caduta del Muro, videro una partecipazione immensa, anche delle nuove nazioni che si erano formate, 169, con il ritorno di un nuovo Sudafrica, gli Stati che già stavano sorgendo nell’ex Jugoslavia, l’unica Germania. Da allora l’esclusione di uno Stato dai Giochi, sia per ragioni di business, sia d’immagine era considerata da scartare e così è stato per le ultime Olimpiadi ma ora?
Intanto di guerre che insanguinano il pianeta ce ne sono in continuazione, ma nessuno si era mai sognato di sanzionare le aggressioni con l’allontanamento dal CIO. Oggi accade che, anche con ragioni, l’invasione russa dell’Ucraina ha determinato, non solo nei Giochi, che non possa più sventolare in una competizione internazionale la bandiera di tale Paese. E neanche chi gareggia per la Bielorussia avrà tale opportunità. O si partecipa individualmente o si è fuori. Comprensibile? Ma a condizione che il principio valga per tutti. Ad esempio uno dei crimini concretamente commesso dal regime di Minsk è quello di ammassare richiedenti asilo in fuga alla frontiera con la Polonia, utilizzandoli come arma di ricatto verso l’Europa. La confinante Polonia li respinge con mezzi brutali, ma nessuno al CIO si sogna di punire simile crimine. Questo mentre a Gaza c’è un altro Stato che, sostenuto da partner occidentali, uccide una persona ogni 10 minuti, dopo aver occupato illegalmente, da oltre 75 anni un territorio, da 54 un’altra porzione (Cisgiordania e Gerusalemme) e che ora controlla l’80% delle terre e delle risorse di un altro Stato, riconosciuto da oltre 150 paesi ma mai divenuto realmente indipendente. Al di là delle opinioni sul massacro – credo in pochi si augurino un suo peggioramento – perché non pensare a come anche il CIO potrebbe dare un segnale?
E l’esempio dovrebbe venire dal Sudafrica. L’esclusione da tutte le competizioni sportive, durata 28 anni, creò un danno economico e di immagine infinito per il regime razzista. Venne isolato, socialmente e politicamente condannato e forse anche tali scelte contribuirono all’élite bianca di fare passi coraggiosi. Perché nessuno trova il coraggio e la dignità di chiedere l’esclusione di Israele dai Giochi Olimpici, almeno in attesa delle decisioni che dovranno prendere la Corte Penale Internazionale e la Corte di Giustizia, dell’Aja, la prima per genocidio, la seconda per crimini di guerra. Sarebbe il primo segnale esemplare da rivolgere a chi fa della guerra e di una pretesa impunità perenne, il proprio paradigma. Dovrebbe valere per tanti Paesi i cui governi si macchiano di crimini orrendi. Certo se questo accadesse, lo spirito olimpico negherebbe la partecipazione a gran parte del pianeta, ma se, per partecipare – al di là del business che i Giochi ormai rappresentano – si giungesse all’accordo per cui solo le bandiere rappresentanti governi da cui almeno giungono segnali di impegno a lottare per i diritti umani, che non praticano il terrorismo internazionale, che operano per migliorare le condizioni climatiche del pianeta, abbiano diritto a sventolare? Anche il tricolore nostrano, con i crimini commessi nel Mediterraneo, avrebbe non pochi problemi, viste le condanne internazionali già ricevute, sia ben chiaro. Ma data la gravità e l’urgenza del contesto, il primo segnale va dato ad Israele. Una vera condanna internazionale, privando i suoi atleti del diritto a correre per la propria bandiera, almeno simbolicamente, avrebbe un immenso significato che potrebbe incitare a percorrere quella lunga e non ancora conclusa maratona – è il caso di dirlo – intrapresa dal Sudafrica dell’indimenticabile Nelson Mandela
Stefano Galieni