“La cosa che conta davvero sono le politiche, la sostanza”. Lo ha detto il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel al Forum per la democrazia di Copenaghen rispondendo alla domanda se sarà possibile collaborare con le forze di estrema destra dopo le elezioni europee. “Al Consiglio Europeo c’erano dubbi e preoccupazioni prima delle elezioni di Stati membri e poi abbiamo visto che era possibile lavorare con i governi di quei Paesi anche se nella coalizione c’era un partito di estrema destra”, ha detto precisando di non voler dare “esempi specifici”.
Incalzato sul dopo elezioni europee, Michel ha chiarito che al “Parlamento Europeo la questione sarà quali saranno i partiti politici pronti a
cooperare per sostenere l’Ucraina”.
Leggi la nota di agenzia e tutto è più chiaro sul perché e come in materia di informazione siamo passati dalla “par alla war condition”.
Per completezza il Consiglio europeo è quello che alla vigilia della sua ultima riunione pubblicava la famigerata nota “Si vis pacem para bellum” che qui riportiamo a buona memoria.
La war condition è quella cosa per cui il “confronto” tra Meloni e Schlein non è che semplicemente viola le regole della parità nelle condizioni elettorali ma instaura il criterio della condivisione della guerra come fondamento di ciò che è ammesso alla ribalta.
L’Italia si sa è scesa ancora nella graduatoria dei Paesi sulla base di ciò che definisce la libertà di espressione massmediatica. Non si è capito se tra gli elementi valutativi ci sia, oltre a quelli di spazi per governo e opposizioni e, si spera, quelli delle concentrazioni proprietarie e pubblicitarie e della precarietà di chi fa informazione, quello del pluralismo sulla guerra. Se così fosse penso che l’Italia scivolerebbe ancora più in basso. Ma con noi tutto l’”Occidente”.
L’Occidente che tiene prigioniero Assange, il prigioniero di guerra per eccellenza. Quello che dovremmo fare di tutto per liberarlo.
Contro la guerra è difficile, quasi impossibile, riuscire ad esprimersi. Certo c’è un riduzionismo democratico che opera da tempo, alimentato dal pensiero unico economico, dal revisionismo storico, dalle logiche maggioritarie che servono in realtà a rendere più immediato non il governo ma l’obbedienza ai dominanti.
Se addirittura c’è chi usa i presunti sondaggi per definire chi ha diritto o no di esprimersi, e non sono solo i mass media ma addirittura alcuni associazioni, vuol dire che siamo oltre e fuori le regole ma anche le prassi di una normale vita democratica.
Ma la guerra rende tutto più drammatico. Si arriva all’incredibile che il governo tedesco, quello di socialdemocratici e verdi, vieta a Varoufakis (l’ex ministro delle finanze greco già massacrato dalla austerità a guida tedesca e UE) non solo di entrare in Germania per partecipare ad una iniziativa sulla Palestina per altro vietata ma di fare arrivare addirittura la sua voce financo per whatsapp.
In questa situazione il teatrino elettorale contro fascismi e nazionalismi è un cinico imbroglio. Non perché non bisogna combattere fascismi e nazionalismi ma perché bisogna stare attenti che, in tempo di guerra, il nemico in realtà, come ci ricorda Brecht, non cerchi di marciare alla tua testa.
Arriva la notizia che finalmente Ilaria Salis può andare ai domiciliari e uscire dal carcere. Siamo molto contenti per lei e per la sua famiglia. Colpisce che una qualche legalità ci sia anche in un paese come l’Ungheria, mentre nella democratica Gran Bretagna Assange continua a essere “prigioniero di guerra”.