editoriali

C’è un giudice a L’Aia 

di Giovanni
Russo Spena

Il procuratore della Corte Internazionale ha compiuto un atto inedito e, a suo modo, storico. E’ la prima volta che viene chiesto l’arresto non solo per i dirigenti di Hamas ma per i governanti di un paese che ritiene di essere l’unico paese democratico dell’intero Medio Oriente. E che tale viene ritenuto dall’intero Occidente.

In verità, la maggior parte dei costituzionalisti ritiene da decenni che non può dirsi democratico uno Stato che occupa militarmente i territori di un altro popolo. Oggi su quei territori imperversano crimini di guerra e genocidio. Se penso all’Unione Europea, comprendo la rilevanza del provvedimento del procuratore Khan: la Spagna assume un atteggiamento positivo, coerente con la sua volontà di riconoscimento dello Stato Palestinese; Francia e Belgio sono favorevoli. Gli altri paesi europei, compresa la serva Italia, si allineano sulla sprezzante ed illegittima posizione di Biden.

La posizione del governo italiano è particolarmente grave, per la posizione storica dell’Italia e per la sua collocazione nel Mediterraneo. Una semplice osservazione: mentre il mondo corre verso il conflitto globale, disconoscendo e sabotando l’ONU ed ogni organismo internazionale, è rilevante che la Corte Penale Internazionale abbia la lucidità e la forza di porre il problema della illegittimità delle guerre di sterminio. So bene che i capi di Hamas e di Israele non andranno in carcere, ma vanno ricordate le importanti novità: l’attuale procedimento si aggiunge al processo che vede Israele difendersi davanti alla Corte di Giustizia Internazionale, richiesto dal Sudafrica e ritenuto già giuridicamente ricevibile, per violazione della Convenzione per la Prevenzione e Repressione del crimine di genocidio. Israele ha firmato quella convenzione; invece, insieme ai paesi più potenti del mondo, non ha sottoscritto il Trattato di Roma che istituisce il Tribunale Penale Internazionale. E’, ormai, solo il Sud globale che sembra riconoscere e mettere in moto gli organismi della giustizia internazionale.

Del resto, le reazioni rabbiose di Tel Aviv dimostrano che il provvedimento del procuratore Khan apre una pagina nuova. Potenzialmente. Gli stati occidentali, USA in testa, tenteranno immediatamente di cancellarla. Tocca ora a noi, al movimento globale contro la guerra, tentare di inserirsi all’interno della breccia che si è aperta, tentando di assumere lo spessore del positivo condizionamento internazionale. Lotteremo, quindi, perché non muoia il diritto universale. Sappiamo che le organizzazioni internazionali sono assediate dai poteri internazionali e dalla geopolitica. Certo, il provvedimento di Khan è, di per sé, molto parziale: non parla delle torture sui prigionieri palestinesi né del permanente stato di occupazione. Forse non accadrà nulla. Il governo israeliano,  che si ritiene al di sopra delle leggi, continuerà i crimini di guerra e i saccheggi degli aiuti umanitari. Però, a questo punto, diventa ancor più palese la configurazione del crimine internazionale, che porrebbe Israele ufficialmente al di fuori dello statuto delle Nazioni Unite.

Io non credo, come ritiene anche il governo italiano, che il diritto internazionale sia un impaccio, un inutile fardello. Dobbiamo credere in esso fino in fondo, come crediamo nella Costituzione. Non è mera utopia. Credo che sarà ora meno potente l’arroganza del condizionamento del governo israeliano rispetto agli USA e all’Unione Europea. E potranno più gli Stati occidentali essere così benevoli dopo lo sterminio di cui parla il procuratore generale? Dopo la richiesta di mandato di arresto l’Unione Europea potrà continuare a volgere altrove lo sguardo, bollando ogni critica come “antisemitismo”? Potrà continuare l’esportazione di armi e la collaborazione su progetti universitari “dual use”? Può darsi, come dice l’ineffabile presidente inglese, che nulla dovrà accadere. Ma il mondo, allora, avrà perso un’altra occasione. Sarà l’ultima?

Giovanni Russo Spena

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