Il Parlamento Europeo ha approvato con una maggioranza trasversale – formata da Partito Popolare, Socialdemocratici e Liberali (‘Renew Europe’) la riforma della Politica Agricola Comune (PAC) nella seduta straordinaria, tenutasi qualche giorno fa in un’aula vuota, con deputati connessi in remoto.
A pesare davvero nella nuova PAC settennale anche l’assenza dei provvedimenti ampiamente richiesti da varie organizzazioni di categoria, per il raggiungimento degli obiettivi definiti dalla Commissione, come il Green New Deal, la Strategia sulla Biodiversità 2030 ed il piano ‘Farm to Fork’, per unire la produzione agroalimentare alla sostenibilità ambientale.
Corresponsabile di questa battuta d’arresto rispetto agli obiettivi ecosostenibili anche il Consiglio AgriFish, dei ministri dell’agricoltura dei paesi membri, che ha individuato un budget giudicato insufficiente per gli ecoschemi, indebolendo le norme di condizionalità agli incentivi, cardini della svolta verde del programma.
Nove i punti principali a corredo dei due pilastri tradizionali, focalizzati almeno negli auspici iniziali su priorità eco-sostenibili e socio-territoriali.
Tuttavia dei circa 324 miliardi di euro, pari a quasi il 34,5% del bilancio generale dell’UE, stanziati a sostegno di 9 milioni di agricoltori censiti in Europa, appena il 6% dei pagamenti diretti è destinato al sostegno di piccole e medie aziende agricole.
Riguardo al primo pilastro – Fondo Europeo Agricolo di Garanzia (FEAG), pari al 78% dell’intero programma – riguardante aiuti diretti, è stata decisa una quota lievemente superiore a quanto concordato dal Consiglio Europeo per sostenere regimi ecologici volontari; mentre del secondo pilastro inerente lo sviluppo rurale (FESR), è stata concordata una riduzione del 28% rispetto alla PAC precedente, con circa il 35% da stanziare per misure di tutela ambientale, come eco-schemi per l’incentivo all’agricoltura di precisione, agroforestale e biologica.
Altra novità consiste in meccanismi, come l’aumento della riserva per le crisi al 10% sul totale dei pagamenti delle sanzioni previste nei confronti degli Stati membri che non rispettano i requisiti dell’Ue in materia di ambiente, benessere degli animali o qualità degli alimenti.
Dopo mesi di negoziati all’ombra mediatica della pandemia sono molte le criticità sollevate dalla coalizione #CambiareAgricoltura, che riunisce sigle della produzione biologica, come ad esempio Slow Food, impegnate nella transizione ecologica.
Nelle osservazioni portate al Parlamento Europeo, il timore è che larga parte dei finanziamenti siano ancora orientati alla produzione industriale ed intensiva, fra i comparti più impattanti sull’emergenza climatica.
Il nuovo progetto di PAC 2020 è stata definita “tomba del Green Deal” e giudicata inadeguata anche a fronteggiare le ricadute della pandemia globale sui mercati agricoli, sulle filiere alimentari e sui redditi dei produttori.
In linea di principio, l’obiettivo era l’introduzione di adeguamenti tecnici negli atti di base, al fine di semplificare gli strumenti esistenti, divenuta poi poco più di una mini-riforma.
A pesare su questa sorta di involuzione anche le criticità del contesto generale, con l’uscita dall’UE del Regno Unito, contributore netto al bilancio; e le esigenze di ridefinizione delle poste su nuove priorità dell’Unione, principalmente su migrazione, frontiere esterne, economia digitale, trasporti.
Soddisfatta la delegazione italiana che tramite la Ministro dell’Agricoltura giudica positiva la flessibilità sugli eco-schemi, la semplificazione per l’accesso di piccole imprese, i contributi fino a 100mila euro per giovani agricoltori e la maggiore incisività degli strumenti per la festione del rischio, come i fondi di mutualizzazione. Meno soddisfacente invece la definizione a priori di una quota del 20% del Piano strategico nazionale, che si sarebbe voluto decidere autonomamente.
Sul fronte della denominazione dei prodotti di origine, l’Italia ottiene le modifiche relative all’etichettura dei vini e la possibilità di attuare interventi di investimento e ristrutturazione nel settore dell’olio di oliva.Rispetto allo scenario di un’agricoltura davvero determinante per la svolta ecosostenibile, l’Italia sembra però orientata alla conservazione dello status quo, trascurando l’intento di incentivare lo sviluppo del 40% dei terreni agricoli coltivati a biologico entro il 2030.
In generale, sembra profilarsi l’accantonamento di un modello agroecologico e resiliente, di una produzione sostenibile su piccola scala, come elemento trainante del settore nell’Unione Europea.
Si stima infatti che le grandi aziende recepiranno fino all’80% dei sussidi e che il 60% dei fondi PAC potrà essere destinato a pratiche anche non agroecologiche, non intaccando l’impiego sconsiderato di fertilizzanti e pesticidi. Su questo pesano soprattutto le lobby dell’agrobusiness, come la potente Copa-Cogeca, d’accordo con l’industria dei pesticidi e con i giganti dell’alimentare, che da mesi si adoperano per impedire una vera svolta.
In molte voci critiche parlano infatti del risultato della votazione nel Parlamento Europeo come di un ‘greenwashing‘, ossia di un’operazione solo di facciata, in una fase in cui in Europa si fronteggiano crisi senza precedenti sul fronte climatico e sanitario, legate a doppio filo con l’economia rurale. Una crisi che ha portato negli ultimi dieci anni alla chiusura di circa 3 milioni di piccole e medie imprese.
L’approvazione di pochi giorni fa apre la strada ai negoziati a tre con Commissione e Consiglio Europeo, abbastanza allineato all’esito della votazione nel Parlamento Europeo, per far entrare in vigore la PAC a partire dal 2023.
per approfondire:
https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/section/196/la-politica-agricola-comune-pac-