Non è la prima volta che l’Amministrazione comunale milanese si trova in prima linea a cercare di forzare in senso liberistico la legislazione urbanistica nazionale ritenuta un’inutile ingessatura degli investimenti privati in campo immobiliare.
Era già accaduto negli anni ’50/’60 quando la legge urbanistica n.1150/42 (approvata proprio perché in un momento in cui, con l’Italia già in guerra, la pluridecennale resistenza del blocco fondiario-immobiliare a qualunque limitazione normativa era distratta in ben più impellenti attività di sopravvivenza dei capitali, quali la borsa nera o la fuga all’estero) nel dopoguerra era vissuta come l’eco lontana di un infausto regime ormai crollato.
Così, mentre i Comuni privi di Piano Regolatore continuavo a non dotarsene e a procedere con accordi che consentivano di costruire caso per caso quanto, dove e come le proprietà fondiarie venivano chiedendo, con l’unico limite del Codice civile (1,50 metri dal confine, con distanza di 3 metri tra gli edifici), quelli dotati di Piano Regolatore approvato in precedenza erano teoricamente costretti a rispettarne i limiti.
Milano,, con l’assessore democristiano Hazon, fu il primo ad escogitare un espediente interpretativo (ohibò, già allora si trattò di “interpretazione autentica”: Sala e soci di fronte ad una magistratura più solerte e dotata di norme più incisive introdotte dalla Legge Ponte n.765/67 che sanzionano penalmente le lottizzazione abusive in deroga ai PRG, chiedono oggi che sia il Parlamento a dire che violare la legge è possibile) in base al quale gli accordi coi privati in deroga alle norme nazionali erano legittimi, salvo che se un futuro un nuovo PRG non ne avesse confermato i contenuti di localizzazione, quantità e altezze avrebbero dovuto essere demoliti (cosa ovviamente concretamente impraticabile)…
L’astuto espediente venne sarcasticamente battezzato Rito Ambrosiano da quanti ne intravedevano gli effetti disastrosi e che, ripetuto su scala nazionale, venne apostrofato come il periodo delle “mani sulla città”. Si dovette arrivare al 1967/’68, dopo i disastrosi eventi delle alluvioni di Venezia e Firenze e della frana di Agrigento, perché l’opinione pubblica promuovesse un nuovo provvedimento di legge che sanciva l’obbligo di rispettare i limiti di PRG e puniva penalmente le violazioni.
Fino agli anni ‘90 nessuno osò mettere in discussione quei limiti (obbligo di cedere gratuitamente al Comune almeno 35,5 mq di spazi pubblici per abitante, obbligo di farsi carico del costo delle attrezzature pubbliche mediante i cosiddetti oneri urbanizzativi, distanza minima di 10 metri tra gli edifici, limiti di altezza per evitare l’ombreggiamento di un edificio sull’altro).
È dalla fine degli anni ‘90 che il clima politico comincia a cambiare con la presentazione di provvedimenti legislativi spesso bi-partisan (la cosiddetta legge Botta- Ferrarini) che introducono la possibilità di interventi eccezionali denominati via via Piani di Riqualificazione Urbana-PRU, Piani Integrati di Intervento-PII e poi con i Governi Berlusconi i Salva Italia, la Legge Stadi, ecc. con l’intento di accelerare alcuni interventi ritenuti di interesse pubblico generale senza passare da una valutazione generale di PRG. Nonostante tutto ciò sino al 2005 nessuno degli operatori immobiliari tradizionali, che normalmente utilizzano finanziamenti bancari ordinari e quindi costretti a ragionare su rientri entro termini temporali di breve periodo, si era azzardato ad utilizzare quegli strumenti che presupponevano dimensioni fisiche, temporali ed economico-finanziarie di maggior estensione.
È stato di nuovo Milano a rompere gli indugi con la vicenda della Nuova Fiera a Rho-Pero e riuso edificatorio dell’area della vecchia Fiera, che ha avuto come protagonista l’allora assessore all’urbanistica e contemporaneamente Amministratore Delegato di Fiera Congressi in aspettativa, Maurizio Lupi. Di fronte ad un debito imprevisto di 250 milioni di Euro nella costruzione della Nuova Fiera (frutto di bizzarrie architettoniche dell’architetto Fuksas) l’assessore Lupi, anziché difendere l’interesse del Comune ad interventi dal peso insediativo equilibrato, decise di consentirne uno tale da coprire l’intero costo del debito imprevisto ai valori correnti della rendita fondiaria a Milano. Il risultato fu un indice edificatorio più del triplo di quello previsto dal PGT-PRG, pari ad 1 milione di metri cubi ed altezze di oltre 200 metri.
Nonostante la spropositata dimensione ed altezza previsti dall’intervento l’assessore non ritenne di modificarle nemmeno quando Fondazione Fiera ottenne all’asta più del doppio di quanto necessario a coprire il debito, ciò che le consentì di entrare in ulteriori manovre speculative sui terreni attigui alla Nuova Fiera e coinvolti nella vicenda Expo 2015.
Ci si può chiedere come sia stato possibile pagare l’area della vecchia Fiera a prezzi doppi della rendita fondiaria corrente per interventi di piccola-media dimensione.
La risposta è che qui intervengono direttamente organismi economico-finanziari che possono permettersi scommesse speculative di lungo periodo e persino al rischio di perderle.
Aperta questa strada essa è proseguita sulle altre grandi aree in attesa di possibile trasformazione (ex Centro Direzionale-Porta Nuova, ex scali ferroviari, ecc.) da parte delle successive Amministrazioni comunali pur di diverso orientamento politico, tanto da far parlare di una continuità tra cementodestra e cementosinistra.
Da questo bengodi dell’investimento finanziario-immobiliare che ha visto in campo i maggiori gruppi bancari e i fondi pensione internazionali sono fino ad un certo punto risultati esclusi i piccoli-medi operatori immobiliari, legati al rispetto degli obblighi del PGT-PRG.
E qui le Amministrazioni comunali di cementosinistra (Pisapia/De Cesaris prima, Sala/Maran poi) varano un’interpretazione estensiva – giustamente ribattezzata Nuovo Rito Ambrosiano – che ha consentito di utilizzare la norma di autocertificazione prevista per la ristrutturazione di piccoli edifici accessori (box, piccoli laboratori, ecc.) in aree intercluse da edifici preesistenti per realizzare nuovi edifici autonomi di grande dimensione (oltre 27 metri di altezza e 7 mc/ mq) che altrimenti avrebbero dovuto presentare un piano di intervento rispettoso di tutti i limiti e gli obblighi di altezza, distanza e spazi pubblici per nuove edificazioni.
Insomma il tentativo dell’Amministrazione Sala di estendere ai piccoli operatori le facilitazioni sinora consentite solo ai grandi si è ritorto in una ribellione diffusa di esposti alla magistratura contro ciò che giustamente è stato vissuto come un sopruso.
Occorre però dare atto ai pubblici ministeri che in questa occasione hanno ricevuto gli esposti di averli raccolti ed esaminati con competenza e determinazione, a differenza di quanto in passato spesso è accaduto con altri esposti penali o ricorsi amministrativi spesso conclusisi con archiviazioni o rigetti frettolosi che hanno fatto desistere dal rivendicare giustizia.
Stiamo a vedere se l’appello di Sala e Salvini al Parlamento perché con un’interpretazione autentica di dubbia costituzionalità impedisca ai giudici di giudicare dei possibili reati in corso riuscirà a battere il senso di vergogna che lo ricoprerebbe: alla Camera neppure l’opposizione di sinistra (?) ha saputo distinguersi.
Speriamo in meglio al Senato.
Sergio Brenna
2 Commenti. Nuovo commento
Analisi storica splendida
Grazie per la chiarezza dell’esposizione e l’excursus storico. Non credo che il senso di vergogna faccia presa su una classe politica che è ormai una oligarchia svincolata da ogni controllo. C’è solo da aspettarsi un ulteriore impoverimento della società fino ad una qualche esplosione di rabbia sociale, facilmente manovrata da demagoghi e capibastone.