Donald Trump irrompe nella politica continentale e non solo con la consueta minacciosa tracotanza I commenti della stampa complice occidentale complice e connivente si dimenticano di dire che la sua è la linea maestra di una politica di espansione aggressiva che gli Stati Uniti attuano nel mondo, ma particolarmente nel continente americano da più di due secoli Gli stati dell’America del Nord e dell’America latina la conoscono e la temono come big stick and dollar policy, ossia politica del dollaro e del grosso bastone, che sta a dire che quello che non si può comprare si prende con la forza. Gli statunitensi affezionati alla politica imperialista sia sul fronte democratico che su quello repubblicano preferiscono chiamarla Manifest Destiny, dove entra a dare una mano la volontà divina. Trump non ha dunque inventato nulla di nuovo, che non faccia parte della tradizione statunitense. A parte le guerre indiane col relativo sterminio di dieci milioni di americani autoctoni, le imprese più fruttuose del Manifest Destiny sul territorio americano sono state le seguenti:
1803 Acquisto della Louisiana dalla Francia (2.140.000 km2 per 21.000.000 dollari, equivalenti a 337 milioni di dollari del 2021).
1812 Tentativo di espansione a Nord. Washington alle fiamme. Vittoria dell’Inghilterra.
1818 Acquisto della Florida dalla Spagna (170.000 km2, in cambio di abbandono qualsiasi pretesa sul Texas).
1845 Annessione unilaterale dello Stato Libero del Texas, ancora nell’ambito istituzionale messicano (695.662 km2).
1846-1848 Guerra messico-americana, le cui conseguenze raccontiamo più avanti.
1867 Acquisto dell’Alaska dalla Russia (1.717.854 Km2) per 7.200.000$, equivalenti a 142 milioni di dollari del 2022
Si deve a uno dei meno celebrati presidenti degli Stati Uniti, James Knox Polk (1795-1849), la più gigantesca acquisizione territoriale come conseguenza dell’invasione di un paese nei confronti del proprio vicino. Bisogna tornare ai tempi di Gengis Khan e di Alessandro Magno per vedere una guerra di conquista così fruttuosa, ma non così a poco prezzo, sia in termini di risorse umane che materiali.
In realtà gli Stati Uniti non hanno mai considerato il Messico come uno stato con pari diritti; e nemmeno ora lo considerano tale. Piuttosto come un territorio che gli Stati Uniti potevano e dovevano colonizzare in assoluta esclusiva; e il Messico negli ultimi due secoli oscilla tra la posizione di colonia e quella di semi-colonia. Da questo punto di vista, l’esito della guerra messico-americana trova analogie nella conquista spagnola del XVI secolo o nell’annessione dell’India all’Impero inglese nel XVIII. La guerra messicana ha dunque caratteri diversi alle guerre tra potenze: tra Francia e Inghilterra nel 1754- 1763 (The French and Indian War) o quella del 1812 degli Stati Uniti contro l’Inghilterra per il possesso del Canada o di parte di esso: guerra che gli Stati uniti persero, ma a cui Trump vorrebbe dare un altro esito, in un modo o nell’altro. Fu una guerra di annessione coloniale ai danni di un paese vicino che a buona ragione si autocommisera con la nota frase: “Pobre Mexico, tan lejos de Dios y tan cerca de Estados Unitos”. Alla fine di quella guerra che, come vedremo dal suo svolgimento, ebbe tutti i caratteri di una spedizione coloniale, il Messico perse più di metà del suo territorio, oltre due milioni e mezzo di km2, circa cinque volte la Francia; e gli Stati Uniti portarono a casa il bottino di una delle più fruttuose guerre coloniali della storia, annettendosi Texas, Nevada, New Mexico, Wyoming, Utah e Colorado.
Indipendenza e annessione del Texas
In Texas, di fronte alla resistenza degli indiani, il governo messicano aveva accettato che cittadini statunitensi si insediassero nel Texas messicano. Si trattava di qualche centinaio di persone. Furono proprio loro che si ribellarono al governo centralista di Antonio Lopez de Santa Anna che aveva preso il potere nel 1824.
Nel 1836, il Texas ottenne l’indipendenza sconfiggendo l’esercito di Santa Anna, a fianco del quale combattevano non a caso i democratici americani ed europei del Battaglione di San Patricio, in gran parte irlandesi: non dimentichiamo che lo stato schiavista era il Texas, mentre il Messico aveva abolito la schiavitù in tutto il suo territorio nel 1834.
La repubblica che a Città del Messico scalzò Santa Anna dopo la sconfitta di San Jacinto si rifiutò di riconoscere il Texas come stato indipendente (libero) e la cosa si aggravò quando nel 1845 i coloni statunitensi accettarono la proposta di annessione presentata dagli Stati Uniti, sicché il 29 dicembre 1845 il Texas divenne il 29° stato degli Stati Uniti d’America.
L’appetito statunitense per l’ampliamento territoriale era cresciuto dopo che il presidente Jefferson aveva comprato la Louisiana dalla Francia nel 1805 (2.140.000 km2), anche se dopo quel primo successo gli Stati Uniti segnarono per breve tempo il passo. Il tentativo di espansione verso Nord con la guida del 1812 si concluse con Washington occupata dei britannici e la Casa Bianca incendiata.
Dopo l’accordo con la Spagna per la vendita della Florida nel 1818, a partire del 1825 gli USA offrirono ripetutamente dollari al Messico in cambio di territori, soprattutto sotto la presidenza di Andrew Jackson, ma senza successo.
La proprietà e la stabilità degli USA erano due armi a loro favore che il Messico non aveva. Il Manifest Destiny non fu solo il frutto di una volontà di annessione coloniale e imperialistica, ma anche di un preciso calcolo economico che puntava ad allargare le coltivazioni di cotone per rispondere alla sempre crescente domanda dell’industria tessile europea. Alla guerra contro il Messico era contrario David Thoureau (Disobbedienza civile) che per quella causa passò una notte in prigione.
Anche i lavoratori del New England erano contrari e immigrati tedeschi e irlandesi disertarono dall’esercito americano per passare con quello messicano.
Quando si parla di Texas della prima metà dell’Ottocento si pensa a un’area di 700.000 chilometri quadrati dove i bianchi erano 7.000 in tutto.
Furono Moses Austin e suo figlio Stephen Fuller Austin che dopo aver acquistato grandi estensioni di terra convinsero 300 famiglie americane a trasferirsi.
Solo nel 1829 gli anglofoni superarono di numero gli ispanofoni, mentre il presidente del Messico (e del Texas) aboliva la schiavitù, aumentava le tasse ai grandi proprietari e imponeva una politica protezionistica nei confronti degli USA.
Nel 1824 in Messico presero il potere i conservatori e divenne presidente il generale Santa Anna che si mise alla testa dell’esercito per schiacciare le istanze indipendentistiche del macro stato di Cohahuila y Texas.
Dopo aver vinto la battaglia di Alamo (febbraio-marzo 1836), fu sconfitto a San Jacinto dall’esercito americano (21 aprile 1836),[1] guidato da Sam Houston e fu costretto a firmare, da prigioniero, i Trattati di Velasco, che proprio per quel motivo il governo messicano non volle riconoscere.
I Trattati di Velasco non contemplavano la cessione del Texas, ma unicamente il diritto del Texas di perorare la sua causa in seno al governo messicano.
La guerra messico-americana
Il conflitto si svolse tra 1846 e 1848 ed è noto anche come guerra messicana (Mexican War). Scoppiò in seguito all’annessione statunitense del Texas avvenuta nel 1845, dopo che quello stato si era dichiarato indipendente dal Messico. Gli attriti tra i due paesi sulla questione texana duravano a oltre dieci anni e, nel momento in cui decisero di intervenire, gli USA si posero come obiettivo non la semplice annessione del Texas, ma di tutta la metà settentrionale del Messico.
Dopo la proclamazione dell’indipendenza dalla Spagna nel 1821, a causa della sua intrinseca debolezza, il Messico era stato oggetto dell’appetito delle potenze coloniali. Aveva respinto la riconquista spagnola degli anni Venti e successivamente l’attacco di Luigi Filippo d’Orleans nel 1828, la cosiddetta “guerra dei pasticcini” [2]. I francesi sarebbero tornati all’attacco nel 1861 cercando d’imporre Massimiliano d’Asburgo come imperatore. Tra i due conflitti c’era stato quello assai più devastante con gli Stati Uniti.
La repubblica centralista del generale dittatore Santa Anna era stato il tentativo autoritario e reazionario di rispondere alle spinte centrifughe del Texas e dello Yucatan.
Il Nord e l’Ovest dello stato non erano ancora sotto il controllo saldo e centrale così come non lo erano stati al tempo del dominio della Corona spagnola (Stati dell’Alta California e di Santa Fe de Nuevo Mexico).
Alle elezioni presidenziali americane del 1844, il candidato democratico James Knox Polk divenne l’XI° presidente degli USA con la promessa di espandere il paese a Ovest. Partendo dall’annessione del Texas, l’anno seguente Polk andò oltre, inviando nella regione un’unità dell’esercito contemporaneamente all’invio di una commissione diplomatica a Città del Messico per negoziare l’indennizzo. Era la consueta politica detta Big Stick & Dollar Policy che tutti i paesi latino-americani conoscevano bene. Quando i messicani traversarono il Rio Grande per ristabilire l’equilibrio, si scontrarono con le truppe USA nell’incidente di Thorton, dando al Congresso il pretesto di dichiarare la guerra[3].
Le forze USA occuparono rapidamente la regione di Santa Fe de Nuevo Mexico e l’Alta California puntando poi a Sud. A quel punto il Messico non aveva ancora risposto dichiarando a sua volta guerra agli USA. La flotta americana del Pacifico bloccò però i porti della Bassa California. Il generale Winfield Scott si spinse a Sud e conquistò Città del Messico. I messicani non volevano cedere neanche dopo che tutti i porti dei Caraibi furono bloccati, la flotta messicana distrutta o catturata e Vera Cruz occupata.
Alla fine dovettero cedere, sottoscrivendo il trattato di Guadalupe Hidalgo del 1848, con cui accettavano l’enorme amputazione territoriale e la fissazione del confine al Rio Grande, in cambio di una mancia di 15 milioni di dollari e della cancellazione di debiti per altri tre milioni.
In cambio il Messico dovette accettare le seguenti amputazioni territoriali:
California | 423.670 km² |
Nevada | 286.367 km² |
Utah | 219.687 km² |
Wyoming | 253.348 km² |
New Mexico | 315.194 km² |
Colorado | 269.837 km² |
Texas | 695.662 km² |
In totale si trattò di una perdita territoriale di circa 2.500.000 Km2 di territorio, circa un terzo degli odierni Stati Uniti e più di metà del territorio messicano
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Gli Stati Uniti e la rivoluzione messicana del 1910-1917
Sessanta anni dopo la rivoluzione messicana del 1910-1917 fu vista dagli espansionisti americani come un’imperdibile occasione per allargare l’occupazione di territorio messicano. Diversi furono i tentativi fatti, sia militari che diplomatici. Di quei tentativi gli omicidi di Madero, Orozco, Zapata e Villa furono solo un dettaglio. Alla prossima puntata.
[1] Vi presero parte 1.600 soldati messicani e 783 americani.
[2] Cosiddetta a seguito della richiesta d’indennizzo di un pasticcere francese il cui negozio era stato devastato nel caos dei tumulti. Chiedeva, a saldo dei danni subiti, 600.000 pesos, il salario annuale di 4.000 peones.
[3] Non tutti i politici di Washington volevano l’annessione del Texas, che era uno stato schiavista e avrebbe spostato l’equilibrio interno tra stati schiavisti e anti segregazionisti.