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Nella calura di agosto

di Antonia
Sani

Il 4 novembre ricorre l’anniversario della morte di Joyce Lussu. Pubblichiamo un suo ricordo –

La  scomparsa di Joyce Lussu mi ha fatto ripensare alle occasioni di incontro con Lei, che mi sono state offerte in questi ultimi anni dal Meeting anticlericale di Fano. Un appuntamento al quale Joyce non rinunciava. La ricordo nella calura d’agosto tra le fronde e la polvere del vasto cortile della Rocca Malatestiana, con quella sua figura fuori dal tempo, così naturalmente anticonformista. Consumava il menù proposto dall’Associazione per lo Sbattezzo: “riso amaro del polacco”, “strozzapreti al pomodoro”, e continuava anche a tavola i dibattiti appassionati appena conclusi lassù nelle sale un po’ scombinate della Rocca traboccanti, per l’occasione, di storie e cronache trucide del dominio dei papi su terre e coscienze. La sua venuta era attesa con trepidazione, e con un pizzico di apprensione: perché Joyce era come un vulcano in effervescenza, non si sapeva mai se sarebbe stata soddisfatta della collocazione del suo intervento, né come arginare i suoi monologhi senza farla arrabbiare. I giovani, accoccolati sul pavimento di cotto, si bevevano le sue  parole che spaziavano dalla politica all’economia, allo sviluppo sostenibile, alle monoculture. Di lei faceva impressione il coraggio indomito, quello usato durante la Resistenza contro gli avversari politici, quello dimostrato nello spendersi – anche con rischio personale – per la difesa concreta di compagni in difficoltà e, oggi, nell’affermare con forza battagliera principi controcorrente, incurante dell’indifferenza dominante nel mondo fuori dalla Rocca. A noi, che sostenevamo il diritto di chi non frequenta la lezione di religione cattolica a non subire alterazioni nell’orario scolastico, ribatteva con evidente fastidio: “ma sì!! Ma non capite che è il Concordato che va abrogato?”. E discutendo di lavoro spiegava ai giovani: “oggi si produce di più e più rapidamente grazie alle nuove tecnologie, quindi i padroni guadagnano di più e in meno tempo; ciò significa che i lavoratori devono lavorare meno ore e devono essere pagati di più”. Ogni anno, poi, ripeteva il suo punto di vista sulla morte di Socrate. Perché Socrate deve essere elogiato per avere bevuto la cicuta obbedendo così a chi lo aveva condannato a morte per il suo spirito dissacratore di vecchi valori tradizionali? Socrate avrebbe dovuto accettare di fuggire dalla città dimostrando ai giovani che alle condanne ingiuste non si obbedisce. Ricordo che mi ero guadagnata un po’ della sua simpatia per aver detto, nel corso di un intervento, che in Italia sussistono “elementi di democrazia”. “Certo – aveva detto – elementi, solo elementi”.

Antonia Sani

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