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Milano, durante e dopo la crisi

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Una riflessione sulla Milano del 2021 é essenziale per capire gli effetti della crisi provocata dalla pandemia del Covid19. La metropoli lombarda ha pagato in questa fase un duplice tributo: un primo, tragico, sul piano sanitario e sociale, e un secondo, disastroso, relativo al modello di sviluppo sperimentato in tutto l’ultimo decennio. Domandarsi cos’è oggi Milano, quale narrazione e quali scenari guidino le possibili uscite dal tunnel della crisi, è essenziale per capire la città e l’intero paese.

Prima della crisi

Prima della primavera 2021, Milano era vigorosamente lanciata in una dimensione di crescita senza limiti, ambiva a un ruolo di primo piano nella competizione tra le metropoli globali, esibiva una elevata produzione di immagini ed eventi, tutti elementi necessari per attrarre investimenti, turisti e operatori di vario tipo. Numerosi fattori politici, economici e sociali agevolavano queste dinamiche, primi fra tutti le scelte dell’Amministrazione connesse con le strategie attuate dai grandi gruppi privati protagonisti della scena lombarda. Se il sogno era la “Milano Città Stato”, capace di attrarre da sola la maggior parte degli investimenti finanziari e immobiliari  in arrivo in Italia, l’immaginario era quello della città “smart”, intelligente ed esclusiva, che tuttavia nascondeva tra le pieghe innumerevoli elementi di esclusione nei confronti di soggetti deboli, in un quadro di segmentazione durissima e di crescente precarietà, in cui una vera e propria “lotta di classe” si alimentava della continua e sistematica privatizzazione della città, della scomparsa dello spazio pubblico e di assenza di politiche abitative in grado di rispondere ai bisogni delle fasce più fragili.

Una situazione che proprio la crisi economica causata dalla pandemia ha tentato di svelare, anche la maggioranza della popolazione è rimasta distratta, e l’opinione pubblica sorda, nei confronti di chi lanciava segnali in tal senso.

Sull’onda di Expo, calato un silenzio di piombo sull’enorme debito, mai ammesso, che il grande evento aveva lasciato in eredità alla città, prima della pandemia il rilancio delle città sembrava fondato su alcuni elementi forti ed evidenti, dotati di grande forza propulsiva. In primis una crescita demografica che negli anni 2018-2020 riportava Milano a superare la soglia del 1.400.000 abitanti, come non accadeva da decenni, segno – secondo l’assessore Maran – di una attrattività milanese in pieno splendore (studenti, lavoratori del terziario avanzato, mano d’opera per servizi di bassa e bassissima qualità, ex residenti di rientro). Si trattava tuttavia di una attrazione in gran parte “drogata” da un modello economico (una visione) e da uno stile di vita (la città degli aperitivi) che è andato in crisi subito dopo i primi giorni di lockdown nel febbraio 2020, e che non si è ancora ripreso. Secondo fattore trainante era un mercato immobiliare forte e tenace, con un alto livello di compravendite, all’interno di un mercato sicuro per gli investimenti di piccoli e soprattutto grandi operatori. Per alimentare senza soluzione di continuità questo sistema estremamente finanziarizzato e bulimico Milano già da alcuni anni aveva abbracciato la strategia degli eventi (reali o inventati che fossero). Ecco allora l’aggiudicazione delle Olimpiadi invernali 20261, in combo con Cortina (o meglio con svariati comuni sparsi su 400 Km di territorio), con tutto il portato conseguente in termini di impianti, infrastrutture, brand, lasciti (il Villaggio Olimpico) e narrazione di una metropoli “di successo”, “che piace”, tanto simile a quella “Milano da bere” dei craxiani anni ‘80 che, come quella di oggi, usava gli slogan per coprire i drammi e le miserie delle “Milano da pere” che molti hanno ben in mente. E come allora, anche oggi è stato proprio uno slogan, il cinico “Milano Non Si Ferma”, scandito da Sala e rilanciato da Confcommercio e Assolombarda, nei giorni in cui i contagi crescevano esponenzialmente, a descrivere la distanza tra la città raccontata e quella vissuta quotidianamente.

Ma non solo la retorica e gli eventi alimentavano il sogno di uno sviluppo senza limiti per Milano. Un ruolo decisivo è stato giocato dalle scelte urbanistiche -tra tutte l’Accordo di Programma sugli ex Scali Ferroviari: nel 2017 l’A.d.P. (Accordo di Programma sugli  Scali ferroviari)2  ha dato avvio alla più grande trasformazione urbana italiana vista da decenni (3,2 mln di mq di aree interessate)- caratterizzate da un costante e prevalente ruolo del privato nel determinare funzioni, volumi e scelte anche di interesse pubblico, a loro volta motori per nuovi investimenti e volani per nuovi progetti di trasformazione. In questa partita l’Amministrazione Comunale è rimasta sullo sfondo, di fatto rinunciando a “regolare gli interessi”, e dando il via libera alla privatizzazione della città pubblica.

Pubblico e Privati si sono rivelati, per l’ennesima volta, nel solco delle operazioni come CityLife o Isola – Garibaldi – P.ta Nuova, accomunati dalla caratteristica di rivolgersi più al mondo, al turismo internazionale, che non agli abitanti, sull’onda della nuova immagine di Milano “città bella”, da comprare, da visitare, soprattutto se si tratta di turisti con forte potere d’acquisto, e dove è possibile fare soprattutto investimenti immobiliari (per speculazioni a lungo termine o per affitti a breve) e non certo per rispondere ai bisogni abitativi di chi vive la metropoli. Questa logica del brand, assieme alle spinte della gentrification nei nuovi distretti sorti dalle grandi trasformazioni urbane, hanno portato allo sviluppo di nuove aree della città, fino a poco tempo fa popolari o semiperiferiche, e all’adozione di vere e proprie strategie di marketing territoriale, come ad esempio NoLo o la zona attorno alla fondazione Prada3, che hanno dato impulso a nuove dinamiche espansive e a fenomeni di esclusione, sostituzione e avvio di nuove attività solo per city-users di elevato standing, cioè per ricchi. Ad accentuare le spinte escludenti ha contribuito, come si diceva, anche la turistificazione e connessa a questa lo sviluppo degli affitti a breve e in una versione drogata e falsata della share-economy.

Il covid: elementi di tenuta (pochi) ed elementi di crisi (molti)

Questi meccanismi “vincenti” si sono in parte inceppati con la crisi innestata dal Covid19, che ha segnato una battuta d’arresto gli scenari e le aspettative di chi proiettava Milano ben oltre il 2030, lungo il “filone d’oro” della città che pareva inesorabilmente inarrestabile.

A partire dal marzo 2020 la crisi generata dal Sar-Cov-2 ha provocato pesanti risvolti nella disponibilità e nell’organizzazione del lavoro. Tali cambiamenti hanno determinato forti cambiamenti per quanto riguarda gli immobili commerciali e le sedi del cosiddetto terziario.

Il commercio al dettaglio nel corso della pandemia ha subito un grosso rallentamento, a causa dei ripetuti lockdown e per effetto della contemporanea crescita dell’e-commerce. Molti negozi di piccole dimensioni non si sono ripresi dalla chiusura forzata degli scorsi mesi. Nuovi operatori e la GDO ne stanno approfittando e in varie zone della città si iniziano a vedere i primi effetti: ne è esempio il nuovo ALDI realizzato in pochi mesi nell’area libera accanto all’Alcatraz o i tanti bar rimasti chiusi nel centro della città attorno al Cordusio. Gli effetti maggiori si vedranno tuttavia nei prossimi mesi, quando si capirà con chiarezza chi sarà riuscito a riaprire e chi no.

Milano, città del terziario avanzato, ha spinto fortemente sul lavoro da remoto e ancora in questa primavera 2021 gran parte dei grattacieli delle grandi società finanziarie, assicurative, bancarie e dell’high-tech sono vuoti, e non è così scontato che tornino a essere riempiti a pieno. Questo cambiamento ha generato a cascata una crisi profonda in quel complesso frame di attività commerciali – in particolare della ristorazione – che aveva investito il proprio business sui flussi di clienti generati dai grandi poli terziari situati nelle zone centrali o di nuova realizzazione. Molte di queste attività hanno chiuso e tante sono le persone che hanno perso il posto di lavoro, non solo nei settori della ristorazione ma in tutta la filiera connessa con il lavoro in presenza.

A fronte tuttavia di numerosi uffici vuoti, si osservano tuttavia alcuni flussi in controtendenza. La multinazionale Novartis, nel bel mezzo della pandemia, ha annunciato di voler spostare 700 dipendenti dalla sede di Origgio (20 km a nordovest) a Milano Garibaldi, cioè in pieno centro (edifici Edge). Grandi istituti bancari (Unicredit, Intesa) hanno annunciato di voler dismettere bancomat e filiali nell’ambito di una grande riorganizzazione dei sistemi periferici.

Gli uffici rimangono comunque una specie di cassaforte degli investimenti: ristrutturati in chiave sostenibile e tecnologicamente avanzata, non subiscono cali di valutazione, anzi segnano nuovi livelli di crescita, anche in virtù del fatto che possono contare su tempistiche lunghe ben al di là dell’emergenza covid.

Di particolare interesse è ciò che sta accadendo invece nell’area metropolitana extraurbana: in Brianza, nelle aree a sud e in genere in quello che viene definito hinterland, la logistica, prevalentemente funzionale all’e-commerce, in questi mesi è alla ricerca di piccoli e medi magazzini, già luoghi di produzione e ora chiusi, da convertire in sedi logistiche per la distribuzione capillare attuata dai grossi operatori on-line.

Gli effetti – sia positivi sia negativi – sono già visibili su scala metropolitana: da un lato distruzione del territorio e di numerose aree ancora libere, aumento del traffico dovuto ai corrieri per le consegne, utilizzo di manodopera a bassa qualificazione; dall’altro diffidenza o addirittura resistenza di amministrazioni e comunità locali per una trasformazione che rappresenta un impoverimento di competenze e saperi, assieme alla radicalizzazione degli addetti che diventano portatori di conflitto e rivendicazioni, come ci raccontano le vicende di Piacenza o di Peschiera Borromeo.

Il bilancio della crisi ci dice che il mercato immobiliare, nonostante le compravendite fossero in calo fin dalla fine del 2019, continua a tenere e si mantiene ai livelli pre-covid in tutta la sua forza, o forse meglio dire violenza, divaricando la sperequazione, cioè la forbice tra livello dell’offerta e tipologia di case di cui avrebbero bisogno i milanesi che stanno pagando i prezzi più alti della crisi.

A fronte di un calo del PIL nazionale calcolato tra il 10 e il 12%, il comparto della rendita immobiliare a Milano regge, e in alcune zone è addirittura in crescita, come testimoniato dalle indagini dei due principali operatori della compravendita, immobiliare.it e idealista.it (sito che tra l’altro è stato rilevato da un fondo di investimento). Il ritornello ripetuto senza interruzione da operatori e stakeholder è stato costantemente “il mercato reggerà”, in una logica di forzato mantenimento dei livelli pre-crisi. Nel complesso panorama della rendita immobiliare sono diminuiti solo alcuni valori e indicatori relativi agli affitti brevi, in particolare quelli legati ad Airbnb, connessi in alcune zone, ad esempio Città Studi, alla presenza di studenti fuorisede.

Tuttavia si è assistito anche a fenomeni in controtendenza, che hanno approfittato del momento, come ad esempio ha fatto Thebestrent 4, che in città gestisce oltre 140 immobili ed è in continua crescita, o Dovevivo, che propone una “gestione innovativa e smart di immobili, che destiniamo al co-living per garantire il massimo del valore al network di proprietari e investitori”.

Un altro esempio interessante è la comparsa di Citypop, un operatore svizzero che propone micro appartamenti tra i 20 e gli 80 mq a partire da circa 800 euro/mese. Si tratta di un prodotto destinato a una fascia medio/alta di utilizzatori della città per periodi brevi, ma il probabile effetto sarà quello di drogare il mercato verso l’alto.

Il covid ha fatto emergere un ulteriore, ovvio, fenomeno: il problema della casa con l’aumento del numero di soggetti fragili e deboli che -in questa fase di diminuzione del reddito di crisi del lavoro- hanno sempre più difficoltà a reperire le risorse per garantire per sé una abitazione dignitosa. Il diritto all’abitare è diventato in questi mesi un tema problema all’ordine del giorno, e si è scontrato contro tre dinamiche con origini diverse. ma per lo più incapaci di contrastare la tendenza se non addirittura ostili verso chi manifestava difficoltà e bisogni reali.

Il mondo dei piccoli e medi proprietari immobiliari si è rivelato, per l’ennesima volta, definitivamente incapace di rinunciare alla porzione di reddito derivante dalla rendita. Il blocco degli sfratti ha dato un minimo contributo, ma si tratta di una misura a tempo, che ha suscitato violenti attacchi da parte di associazioni di categoria e privati incattiviti.

A questo va aggiunto il fatto che misure economiche, promosse da governo, di sostegno all’abitare e di contributo all’affitto si sono rivelate insufficienti per garantire quel diritto all’abitare che è parte fondativo del diritto alla città.

Ne hanno pagato le spese soprattutto gli spazi pubblici e sociali: a Milano e provincia, secondo il Centro Studi della Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) di Confcommercio, nel 2020 hanno chiuso 567 bar e esercizi di somministrazione bevande, ma soprattutto a Milano hanno chiuso luoghi importanti e significativi come il Ligera di via Padova, l’ARCI Ohibò in zona Porta Romana, la librosteria Utopia di viale Lombardia.

Un altro settore che ha subito un duro colpo dalla crisi è quello rappresentato dalle filiere dello spettacolo e della miriade di professioni, per lo più precarie, che ruotavano attorno al mondo degli eventi, delle fiere, dei congressi. Le mobilitazioni nel chiostro del Piccolo Teatro, luogo rappresentativo di uno stile di fare spettacolo che non è solo divertimento, sono indice di una presa di consapevolezza e di una dimensione conflittuale importante.

Infine Milano è la città che meglio incarna lo spirito di una serie di soggetti “caratteristici”, appartenenti a gruppi sociali ben definiti del mondo della finanza, di professionisti di alto profilo, di manager, che nella crisi hanno visto paradossalmente aumentare le proprie possibilità economiche, forti del fatto che per loro non c’è stata alcuna riduzione del reddito e al contempo sono diminuite le occasioni di spesa. Sono loro, unitamente agli investitori stranieri, che concorrono a far lievitare i prezzi del mattone e a dare supporto a quelle spinte gentrificatrici (compresi i meccanismi di espulsione) che sempre più segnano il territorio urbano, ormai ben oltre la circonvallazione.

Il potere politico e il sindaco Sala (e la sua giunta)

Tutto questo viene ben rappresentato dalle parole del sindaco Sala che, come già fece con Expo, è abile ad alimentare una narrazione delle città “come se nulla fosse accaduto”, anzi rilanciando nel solco di quanto lasciato a inizio 2020 con lo scoppio della pandemia (vedi Olimpiadi per esempio). Con una novità: ergersi a paladino della svolta sostenibile ormai caratteristica delle grandi metropoli globali, per affrontare la grande questione dei cambiamenti climatici e della distruzione delle risorse del Pianeta, con tanto di gesti clamorosi (l’iscrizione ai Verdi Europei) ad uso mediatico. Greenwashing e socialwashing, già abbondanti ingredienti della comunicazione del Sindaco, sono diventati quotidianità al pari di quanto sono palesi, numerose ed evidenti le distanze tra questa narrazione e la realtà dei fatti. L’emergenza pandemica si combina allora alla crisi climatica e a quella della qualità dell’aria che respiriamo (con le ricadute sui polmoni dei milanesi e con inevitabili predisposizioni a patologie dell’apparato respiratorio). In questi mesi Milano non ha saputo riorganizzare i trasporti pubblici, anzi -a fronte del marketing costruito attorno a 35 (si 35 non 350) km di nuove piste ciclabili (in una città che vede una rete viaria di migliaia di chilometri)- i provvedimenti emergenziali sono stati la sospensione di Area B e Area C, che per quanto insufficienti e discutibili, erano di fatto deterrenti nei confronti del traffico privato e di quello più inquinante.

La pandemia ha messo in evidenza un sistema di trasporto pubblico insufficiente e sempre più caro; la diffidenza per il sovraffollamento dei mezzi ha provocato il ritorno a livelli preoccupanti del traffico e della congestione (e di conseguenza polveri sottili e ossidi inquinanti), addirittura a livelli pre-Covid. Anzi dopo il record del 2019, anche il 2020 non ha visto certo diminuire la quantità totale di inquinanti assorbiti dai milanesi.

Un’altra risposta forte dell’amministrazione comunale, la tanto esaltata share-mobility (bici, monopattini, scooter, auto) pure elettrica o sostenibile, ovviamente non ha niente di pubblico, condiviso, dolce, e gratuito in quanto si tratta di servizi appaltati e gestiti da privati che li mettono a disposizione con tariffe spesso poco convenienti e con la finalità implicita (leggi nascosta) di rilevare dati da spostamenti e utenti, utili per gli algoritmi5 che profilano a scopo commerciale, se non di vero e proprio controllo, i comportamenti o gli stili di vita.

Ancora sul piano ambientale il Covid non ha certo frenato il consumo di aree verdi o la visione di una metropoli a misura di immobiliaristi e costruttori, dove tutto è precario o soggetto a discussione tranne le rendite finanziarie e immobiliari. Proprio nei mesi del lockdown sono proseguiti gli iter legati ai grandi progetti di trasformazione degli Scali Farini e Romani, dell’ex Trotto, della Goccia in Bovisa; le ruspe hanno anche ampiamente devastato il Parco Nord6 e fatto sparire i Giardini Baiamonti, il Parco  Bassini a Città Studi, per non parlare della pressione che il nefasto progetto di abbattimento di San Siro e riqualificazione speculativa e commerciale di tutto il comparto sta già generando sulle aree ippiche adiacenti, che si aggiungono alle previste volumetrie sulla vicina ex Piazza d’Armi (400.000 mq di vera wilderness urbana).

Si pensi anche a tutto il clamore per la campagna ForestaMI, protagonisti milioni di nuovi alberi da piantare (che spesso muoiono dopo la prima estate) mentre lontano dalle telecamere e dai social ruspe e motoseghe distruggono ettari di natura spontanea e tagliano alberi con decenni di vita.

Le aree verdi a naturalizzazione spontanea sono sempre più spesso addomesticate a colpi di bitume, illuminazione e altri inutili interventi di antropizzazione tesi a renderlo simile ai tanti finti giardini (come la Biblioteca degli Alberi o lo pseudo-parco di Citylife) costruiti su pochi centimetri di terra, con erba a rulli e piante di coltura che sostituiscono alberi di alto fusto, prato vero, natura viva laddove gli interventi di rigenerazione urbana fagocitano indistintamente aree libere o suolo già costruito.

Non di certo meglio vanno le cose sul piano sociale e solo tra qualche mese capiremo quanto in profondità ha colpito la crisi economica, quando saranno finiti i vari interventi governativi o locali di sostegno economico, per non parlare dello sblocco di sfratti e licenziamenti come richiesto dalle classi padronali. La miriade di volontari che hanno animato le tante Brigate Volontarie e gli altri gruppi che hanno portato cibo, medicinali, una parola o un sorriso, alle migliaia di abitanti della città in difficoltà per la crisi pandemica hanno in parte evitato che tutte le contraddizioni esplodessero. Non avendo un ruolo di primo piano nella gestione della macchina sanitaria e forte di questo attivismo a sostegno di chi portava aiuto alla città più fragile, Sala si è ritagliato il ruolo di opposizione ai fallimenti e alle figuracce che la destra al Governo in Regione inanellava giorno dopo giorno. La contrapposizione tra  Comune e Regione, non solo sulla Sanità, nella sostanza delle cose ha più il sapore di un grande spettacolo, o peggio di una farsa organizzata, in cui ciascuno gioca la propria parte nella spartizione ormai consolidata dove Milano spetta al centrosinistra e la Lombardia al centrodestra; lo confermano le difficoltà della destra a trovare un candidato da contrapporre a Sala, con gli endorsement reciproci tra Sala e Albertini, la cronica assenza di candidati degni sul lato sinistro in grado di scalzare la destra dal governo regionale. Più che una presa di posizione e una svolta rispetto a un modello di sanità fallimentare di fronte alla crisi epidemica, il posizionamento di Sala nella campagna sacrosanta contro Regione Lombardia è sembrato avere come scopo soprattutto quello di ottenere implicito appoggio alla sua Amministrazione come unico baluardo antileghista, mentre nulla diceva contro le altrettanto esecrabili posizioni di Assolombarda sulla gestione della crisi. Vale comunque la pena di leggere  il bilancio che delle ultime amministrazioni fa Luca Beltrami Gadola nell’articolo di chiusura -dopo 13 anni di attività- del suo blog ArcipelagoMilano7. Il blog è stato un punto di riferimento per chi ha condotto le lotte nella città di Milano e nel suo hitenterland, ne dà testimonianza  chi sta conducendo una delle vertenze che costellano la città, quella sul futuro di Città Studi8.

Il dopo crisi.

La svolta ecologica, quindi, è una strategia esclusivamente a livello comunicativo, e tutti sono consapevoli che saranno gli investimenti, e quindi il potere nelle sue mutevoli forme, che detterà gli indirizzi del Recovery Plan e stabilirà le priorità. In questo senso abbiamo già visto il fermento dei poteri reali locali, visto che sulla Lombardia e Milano ricadrà la parte maggiore e fondamentale del PNRR.

Una interessante ricognizione d’insieme, che è analisi ma anche indicazione per il futuro, è raccontata dall’inserto Economia del Corriere del 21 maggio9, che fornisce un elenco delle 1000 PMI che faranno ripartire il paese, protagonisti del “nuovo miracolo economico” e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Messe da parte per un attimo le perplessità sui criteri di scelta di questi 1000 “campioni”, non si può non notare che il 32,4% sono in Lombardia, e denunciano da soli il 35,17% del fatturato nazionale. Questa ripartizione segnerà come ovvio la distribuzione dei cospicui fondi in arrivo dall’Europa, andando a incrementare una differenza già drammatica in cui il centro vale solo il 13,3% e il Sud appena il 7,6%.

A Milano è esemplare la rapidità con cui è stata gestita e risolta (così sembra) la vicenda legata alla possibile cancellazione per il secondo anno consecutivo del Salone del Mobile, che sarà ospitato nella solita forma diffusa del Fuorisalone a settembre. Paradigmatica se comparata con la disattenzione verso questioni ben più gravi e dirimenti in senso strategico, come la definizione di nuovi tempi e modalità di spostamento attraverso la metropoli capaci di rendere la mobilità veramente a impatto zero10 e più in generale la mancanza di politiche pubbliche per rendere Milano inclusiva per tutte e tutti e non solo per chi ha redditi superiori ai 50.000 €/anno.

 

L’onda di nuovi investimenti pubblici che il PNRR farà arrivare non sarà sicuramente impiegata con un approccio keynesiano; i maggiori operatori economici sono già al lavoro per capire come investire e presentare progetti finanziabili con cui alimentare i profitti grazie alla complicità della tanto vituperata mano pubblica; non è un caso che in queste settimane stiano crescendo le assunzioni di ingegneri in tutte le società di progettazione. Regione e Comune e tutte le società controllate si stanno attrezzando per questo nuovo Piano Marshall, e stanno accelerando poiché ad oggi mancano anche le idee e i progetti – pubblici e privati – in grado di spendere questi soldi dopo anni di risorse limitate, se non per asfalto e cemento. E non è casuale che la ripartenza sia drammaticamente fondata su un nuovo dispiegamento di grandi opere e la ri-attivazione di tutti quegli interventi che per tanti motivi (primo fra tutti perché ne era palese l’inutilità) erano rimasti al palo negli anni scorsi.

A questo contesto servirebbero risposte e alternative forti, che abbiano una base di consenso ampia e partecipata sia a livello sociale che politico e istituzionale. Su quest’ultimo fronte non ci sono al momento proposizioni in grado di aggregare una massa critica che possa incidere sui meccanismi di Palazzo. Astiose, frammentate, incapaci di dettare un minimo di agenda politica, così si presentano alla corsa per Palazzo Marino le forze di opposizione alla Giunta Sala, attraversate da soggetti in palese difficoltà politica e intellettuale e in cerca di banale visibilità. Purtroppo non stanno molto meglio nemmeno i movimenti che si muovono e animano le lotte di territori e quartieri. I tanti mesi di “zona rossa” e, soprattutto, il coprifuoco hanno colpito duramente la partecipazione dal basso, l’autorganizzazione e l’attività di spazi sociali, circoli, associazioni, comitati, che sono il tradizionale motore e incubatore di iniziative e protagonismo dal basso. In questo senso il coprifuoco, oltre a quanto è già stato scritto e detto da più parti su senso, utilità, stato d’eccezione, gestione emergenziale e altre implicazioni, si sta configurando come una misura di contenimento della protesta, della rabbia e del disordine. La città del decoro ha visto emergere la narrazione mediatica e istituzionale della pace sociale e dell’unità nazionale per sconfiggere il virus, e non è casuale che proprio il coprifuoco sia uno degli ultimi tasselli che sarà rimosso dal dispositivo emergenziale.

Lotte territoriali e movimenti sono sfilacciati, disarticolati e al momento incapaci (fatta eccezione il 25 aprile o altre date significative sul piano dei diritti e delle libertà individuali) di riprendersi le piazze e le strade della metropoli per protestare e avanzare rivendicazioni. Proprio ora, invece, quando tra piano locale milanese, PNRR e relativi progetti, emergenza ambientale, sanitaria e sociale ci sarebbero motivi e bisogno di un forte protagonismo sociale.

I prossimi mesi, soprattutto l’autunno (non per nostalgia o speranza), saranno come sempre decisivi. La fine annunciata e contestuale del blocco dei licenziamenti e degli sfratti potrebbe essere una bomba sociale in una città come Milano dove per sempre più famiglie è difficile vivere in condizioni dignitose di occupazione e continuità di reddito.

A fine settembre Milano sarà sede di una delle conferenze preliminari alla COP26 e della COP dei Giovani. Sicuramente saranno occasioni perché il greenwashing meneghino si manifesti nel suo splendore e si possano tessere le magnifiche e progressive sorti di progetti green alimentati con il Recovery Fund. Sicuramente Sala giocherà tutte le sue carte per alimentare la propria immagine “sostenibile” e nascondere le tante e palesi contraddizioni di una città e della bolla su cui sta costruendo il proprio futuro.

A noi tutti che non crediamo alle favole il compito di far emergere le contraddizioni che si nascondono dietro il “modello Milano” e attivare i processi necessari perché ci siano reali cambi di paradigma in nome della giustizia climatica e sociale e del diritto alla città, prima che sia lo scoppio della prossima crisi a decretarne la fine, ma con ben altri esiti e conseguenze.

Milano, maggio 2021

 

  1. https://www.offtopiclab.org/prepararsi-alle-olimpiadi-2026-in-tempi-di-pandemia-sacrificare-la-salute-pubblica-per-il-grande-evento/#more-6934 https://www.offtopiclab.org/la-bolla-olimpica/ []
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  7. https://www.arcipelagomilano.org/archives/58586?fbclid=IwAR0mG6E-Yh5sfp6HvUeedNV2niFtqLXTgmP3A1_2st4VHx3kZR1qLM7BlpY#comment-3150 []
  8. https://www.facebook.com/groups/chenesaradicittastudi/permalink/2981159118786845/ []
  9.  https://www.corriere.it/economia/aziende/21_maggio_21/aziende-champions-ecco-protagonisti-ripresa-mirino-c-nuovo-boom-43567f2c-ba3b-11eb-b6f2-1cafcc061ca5.shtml []
  10. https://www.offtopiclab.org/fuori-fase-08-che-aria-respiriamo-inquinamento-emergenza-e-covid/#more-6924 []
Covid19, gentrificazione, Milano, Modello Milano, politica, speculazione immobiliare
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