articoli

Marx nella rete

di Roberto
Rosso

La Commissione Europea sta per proporre  al parlamento ed al consiglio europeo una direttiva per regolare il lavoro coordinato dalle piattaforme digitali (Proposal for a DIRECTIVE OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL on improving working conditions in platform work) che impone alle piattaforme che organizzarono il lavoro de riders di assumerli salvo che siano in grado di dimostrare che il rapporto non sia di lavoro subordinato, invertendo l’onere della prova, assieme a molti altri dispositivi di regolazione del rapporto. In questi giorni il CENSIS nel suo rapporto analizza la presenza ed il diffondersi in una parte della società italiana di atteggiamenti complottisti e visioni.

Cosa possono avere in comune queste due notizie? Le piattaforme digitali sono lo strumento per l’organizzazione di nuove forme di lavoro così come i social networks sono il luogo dove avviene il contagio di quelle visioni del mondo, di quelle credenze di cui parla il rapporto CENSIS. Struttura e sovrastruttura si sarebbe detto un tempo, oggi sistemi prodotti con le tecnologie di digitali entrambi finalizzati ad estrarre valore dalla cooperazione e relazione sociale. Chissà oggi Marx, lettore e relatore della Round Reading Room del British Museum e corrispondente del New York Tribune, che uso farebbe delle risorse che la rete mette a disposizione?

La regolazione algoritmica del lavoro dei riders è l’espressione più evidente, parte della nostra esperienza quotidiana, della regolazione ‘just in time’ delle filiere logistiche e produttive, dei flussi e degli scambi finanziari e monetari. Le crisi da quelle delle dot.com, a quella del 2008-2011, allo scompaginamento delle filiere logistiche, alle fiammate inflazionistiche di questi mesi, sono l’espressione delle contraddizioni che nascono dalla presunta superiore razionalità, capacità di governo – o come si dice di governance- fondata sulla capacità di regolazione dei dispositivi digitali. Il processo di innovazione tecnologica costituisce contemporaneamente uno strumento di destabilizzazione e di ristabilimento degli equilibri delle formazioni sociali, in una rincorsa senza fine.

Nella sua prefazione all’ultimo numero di SINAPPSI (Connessioni tra ricerca e politiche pubbliche – Rivista quadrimestrale dell’INAPP – Anno XI n. 2/2021) Sebastiano Fadda scrive “La cosiddetta ‘quarta rivoluzione’ industriale, che sta influenzando profondamente la struttura produttiva e il mondo del lavoro, si basa fondamentalmente su quattro elementi. Il primo è la connettività totale: tutto è interconnesso (anything, anywhere, anytime). Il secondo è l’accumulo di un’enorme massa di dati  (Big Data) con la smisurata possibilità tecnica di elaborarli (analytics). Il terzo è lo sviluppo del cosiddetto ‘Internet delle cose’: processi produttivi in cui le macchine comunicano tra loro (M2M) e danno luogo a smart factories, fabbriche intelligenti gestite dall’intelligenza artificiale. Il quarto è l’interazione digitale-reale, di cui la robotica e la stampa 3D sono attualmente le principali espressioni.

(…) le fabbriche intelligenti producono prodotti intelligenti che entrano in circuiti logistici intelligenti e si affidano a servizi intelligenti.”

Articolo dopo articolo sulla nostra rivista stiamo cercando di analizzare questa ‘grande trasformazione’ che non lascia alcunché di invariato, cercando di coglierne ed anticiparne lo sviluppo, di seguire qualsiasi traccia di soggettività antagonista. La complessità dei processi trasformazione, il loro andamento non lineare, prodotto della connettività totale rendono sempre più necessario cogliere le tendenze di questo cambiamento.

Il paradosso del controllo ed il paradosso del tempo.

La possibilità di forme di ricognizione e controllo sempre più fine su ogni aspetto del reale produce un sistema sociale sempre più incontrollabile, ne è la dimostrazione più lampante l’incapacità di intervenire sul riscaldamento globale. Il paradosso del tempo: negli scambi borsistici regolati da algoritmi vengono apprezzati intervalli temporali infinitesimi, come quelli che differenziano i tempi di trasmissione di un segnale su un circuito Milano-Londra rispetto a quello Londra su Londra, L’ossessione del just-in-time non produce un controllo reale sui processi di medio lungo periodo. La tecnologia interviene su intervalli sempre più brevi della spazio tempo della produzione/riproduzione sociale senza che questo permetta di garantire il controllo del suo andamento: le nanotecnologie che manipolano i materiali e le biotecnologie che manipolano la vita non sono in grado di per sé di governare il degrado degli ecosistemi e la deriva del cambiamento climatico. E’ all’opera quel complesso sistema di tecnologie denominato nel suo insieme con l’acronimo BINC1 – un sistema ecologico di tecnologie convergenti nei campi Biologico, dell’Informazione, della Nanoscala e Cognitivo. Un sistema ecologico, viene definito, vale a dire un sistema in grado di evolversi, dove ogni componente è in relazione con ogni altra, influenza e ne viene influenzata; un sistema rispetto al quale non esiste un osservatore esterno che ne possa conoscere e descrivere l’andamento senza essersene influenzato e senza influenzarlo, tanto meno governarlo. Qualunque soggettività- quale che sia la sua potenza- ne è parte. Peraltro non esiste alcun reale progetto di governo globale del cambiamento, la logica dominante è quella dell’affermazione dell’interesse particolare, del profitto, del prevalere nella competizione geostrategica. Una logica che accelera in modo esponenziale le derive del sistema tecnologico-produttivo e del suo impatto sociale e ambientale. L’orizzonte della catastrofe climatica ha sì imposto un confronto globale, ma abbiamo visto cosa ha concluso la COP26.

Il titolo del progetto di ricerca del Santa Fe Institute ‘ The growing gap between our physical and social technologies ‘ sottolinea il cuore della contraddizione – riportato interamente nel campo delle tecnologie, secondo le metodologie e la visione del mondo che sottende alla attività dell’istituto, da sempre attento alla crescente complessità della società in cui viviamo ed ai problemi sociali, culturali, e cognitivi che emergono da questa complessità. Il saggio pubblicato su AEON2) dal titolo suggestivo ‘Collaboration in creation’ ha come sottotitolo la seguente domanda ‘Il nostro mondo è un sistema, nel quale tecnologie materiali e sociali co-evolvono. Come possiamo dare forma ad un processo che non controlliamo?’ che riassume quanto abbiamo affermato nel paragrafo precedente. Nel termine tecnocratico di ‘tecnologie sociali’ si riassume il nodo della politica, del governo delle società, della dialettica che lega la composizione sociale, l’emergere di soggettività politica nella trasformazione economico-sociale.

Un principio di precauzione complessivo e globale?

 L’interrogativo che emerge dall’articolo è non solo l’evocazione di un orizzonte catastrofico, ma anche quello dell’affermarsi di una sorta di super-organismo impersonale, autoritario, gerarchico3  dove l’ecosistema tecnologico si afferma -integrandole- sull’ecologia naturale e sociale. Nulla dii nuovo per una analisi marxista dell’evoluzione del sistema capitalistico e della sua capacità di porre in atto una crescente astrazione dei processi materiali, salvo che quel sistema integrato di tecnologie ha fatto fare uno straordinario salto a quel processo di astrazione, in termini quantitativi e qualitativi. Se il Santa Fe Institute ragiona  dal suo punto di vista sulla trasformazione delle società liberali e delle economie di mercato -punto di riferimento della sua visione del mondo- in termini autoritari, è costretto ad interrogarsi cosa si possa fare per impedirlo, quale soggettività diremmo noi possa emergere da questo contesto.

L’articolo non a caso si conclude con una citazione di Pierre Teilhard de Chardin4 Dove però la collaborazione alla creazione evocata da Teilhard si traduce in un orizzonte cupo e catastrofico, a partire dalla capacità di manipolare ogni livello della realtà sul nostro pianeta, manipolare ma non governare. Il termine usato nell’articolo -‘shape’ daere forma-contrapposto a controllo, rappresenta in realtà un orizzonte utopico che si sta trasformando in un orizzonte distopico.

L’obiettivo che si vorrebbe raggiungere è quello di dare forma ad un processo globale sul quale non si ha il controllo; in buona sostanza si fa appello ad un principio di precauzione globale5 da applicarsi ad ogni filiera tecnologica ad ogni applicazione, ad ogni sviluppo dell’ecosistema tecnologico BOINC.  Quanto questo debba mettere in discussione la democrazia liberale ed il suo nesso con il libero mercato, nella sua ultima declinazione in cui stiamo vivendo, non è dato di sapere,

Energia ed informazione

Come dimostrato dalla COP26 le diverse regioni del mondo vanno in ordine sparso verso l’obiettivo di riprendere il controllo del processo di riscaldamento globale; il tentativo di realizzazione di un principio di precauzione articolato su tutte le filiere tecnologhe è reperibile nell’elaborazione normativa in corso nelle istituzioni dell’Unione Europea dalle tecnologie digitali, al controllo delle emissioni, alle biotecnologie. Il limite intrinseco è quello del riferimento all’ideologia del libero mercato come principio fondante e rende impossibile il controllo dei ‘gate keepers’ i soggetti che controllano l’accesso no solo alla rete, ma ad ogni risorsa; tuttavia -come abbiamo segnalato più volte- il problema del controllo del sistema tecnologico prende la forma -in forme diverse a seconda della formazione sociale, vedi Europa, Cina e Stai Uniti-  dello scontro tra potere di regolazione dei governi e potenza economica degli oligopoli.

Dopo il fallimento della COP26 gli oligopoli del petrolio hanno alzato la testa e si sono fatti sentire6 affermando una transizione troppo veloce verso fonti di energia pulite porterebbe ad un regime di massima volatilità nei mercati delle materie prime energetiche, con conseguenze drammatiche sul livello dei prezzi e la continuità delle forniture; il che la dice lunga su quanto sarà irta di ostacoli la transizione ecologica. Un processo di trasformazione radicale dei rapporti sociali di produzione ne mette in gioco tutte le dimensioni, in un intreccio che nessuno governa, ma nel quale tutti gli attori coinvolti recitano il proprio ruolo, giocano le proprie carte; i più potenti si possono permettere di giocare su più piani e su tempi diversi: sarà un duro confronto.

Quanto ai monopoli della rete raggruppati sotto l’acronimo GAFAM, i tentativi di ridurne il potere sono ben lontani dal giungere a conclusione, nonstante gli interventi delle corti di giustizia USA e le direttive della Commissione Europea, i monopoli dell’informazione, della comunicazione e della conoscenza7 costituiscono un vincolo straordinario alla possibilità di mettere in discussione il modello di sviluppo dominante, compreso il sistema dell’editoria scientifica, controllato da 5 soggetti, che si fa più cogente con il dispositivo del ranking.

L’impero di GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) è la punta dell’iceberg di un lungo processo di trasformazione e manipolazione dell’accesso alla conoscenza iniziato con la digitalizzazione di massa. Indubbiamente, il fatto che Google e Facebook insieme distribuiscano (ovvero filtrino) il 75% delle news mondiali è ragione di forti preoccupazioni. Eppure, per quanto devastante per le democrazie, la privacy e i diritti umani, GAFAM è uno strumento ancora fragile nelle mani dei cosiddetti poteri globali. Come sanno bene gli studiosi degli effetti del colonialismo, a cominciare da uno dei suoi fondatori, Frantz Fanon, qualsiasi forma di dominio e di sfruttamento non è mai veramente effettiva se prima non abbia completamente cancellato le culture e le conoscenze dei dominati. GAFAM scavalca i media tradizionali, veicola i contenuti, riprogramma e orienta le nostre azioni, ecc. ma è anche uno pericoloso “specchio” dell’esistente. E questo non va bene. La posta in gioco infatti non è solo la manipolazione delle elezioni politiche e la sorveglianza globale. Ogni potere, per realizzare e implementare il suo progetto di dominio, ha bisogno di controllare, ma soprattutto omogeneizzare le culture.”

Di fronte al tentativo delle norme europee, in particolare il  General Data Privacy Regulation (GDPR)   Google ha commissionato uno studio 8 in cui si vuole dimostrare l’impatto economico negativo di tali provvedimenti, vietare o limitare severamente la pubblicità mirata potrebbe costare fino a 106 miliardi di euro all’anno, in Europa.

D’altra parte il monopolio di Facebook e Google in particolare sui dati personali e le preferenze dei consumatori porta ad investire sempre più sui loro canali nonostante  il maggior costo9.

Anche in Italia Google e Facebook monopolizzano l’80% degli investimenti e con loro  l’inserzionista può solo accettare le condizioni richieste: «Non è in grado di calcolare quanto costa il dato e quanto costa lo spazio». Da questo stato di cose nasce  una domanda, per ora senza risposta, da cui può dipendere buona parte del futuro di Wall Street,  vale a dire, poiché i vantaggi vantati da questa pubblicità mirata sono tutti da dimostrare , potremmo essere di fronte ad una gigantesca bolla finanziaria  in termini di incassi pubblicitari e quindi anche di valutazione in borsa delle società? Una Società come Apple che per  prima si sta avvicinando ad una valutazione in borsa di 3.000 milisrdi di dollari, che pure non basa il suo modello di business sui meccanismi dei social networks, ne verrebbe inevitabilmente coinvolta come tutte le società del settore.

Lo sviluppo di tecnologie digitali cruciali per i processi di innovazione richiede capacità di investimento crescenti a partire da cloud Computing ed Intelligenza Artificiale, dove potenza di calcolo e svluppo di algoritmi costituiscono la condizione per il dispiegamento delle tecnologie digitali in tutti i settori, garantendo una posizione di monopolio a chi ne ha  il controllo. Un monopolio strategico10 sugli strumenti necessari per trattare il flusso di dati -i cosiddetti big data- che cresce esponenzialemnte, prodotto dalla trasformazione digitale di ogni dimensione delle formazioni sociali.

Le dinamiche trasformative che investono ogni piega delle formazioni sociali vanno nella direzione della concentrazione del potere e della ricchezza, dell’aumento delle diseguaglianze; si incrementa il tasso di precarietà, mentre il cambiamento nelle funzioni lavorative costringe ad una crescete mobilità sociale, certo non in verticale, La dipendenza da piattaforme, dalla forma reticolare dei processi di produzione e di erogazione dei servizi, cambia il contesto in cui viene esercitata l’attività lavorativa e le forme di controllo su di essa.

In questa composizione sociale in costante mutazione cambiano necessariamente le forme di organizzazione del conflitto, delle lotte rivendicative e con loro l’articolazione degli obiettivi che pure restando centrati su salario diretto e indiretto, reddito, diritto alla casa,aalla salute  e ai servizi essenziali, a cui però si aggiunge la lotta contro i monopoli dell’informazione e della conoscenza. per la condivsione dell’informazione, il libero accesso alla conscenza ed alle reti di comunicazione. Il cambiamento climatico a sua volta introduce nuove variabili al contesto, mettendo in gioco il destino di intere comunità e territori e dell’umanità intera, diventa un fattore ineliminabile di ogni analisi e di ogni programma.

Cambiare lo stato presente delle cose richiede quindi uno sforzo di analisi, forse come mai prima, dove è da mettere a frutto ed innovare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, la cassetta degli attrezzi costruita nei passati cicli di lotta e di trasformazione economica e sociale. Da molto tempo è aperto per la sinistra un processo di ricerca sulle forme dell’organizzazione e della rappresentanza. Molto c’è da fare nelle pratiche di condivisione della conoscenza legate alla presa di coscienza che nasce entro il conflitto sociale; un quadro complesso di conoscenze che non siamo stati in grado di condividere adeguatamente, sia pure partendo da esperienze fortemente diversificate.

Quello che è certo è che mentre entriamo sempre più profondamente nell’epoca segnata dalle tecnologie dell’intelligenza Artificiale sempre di più il sonno della ragione produce mostri.

 

Roberto Rosso

  1. https://www.santafe.edu/research/projects/growing-gap-between-physical-and-social-tech  ‘Conclusions from the 2017 SFI working group’  The ecology of technologies, including the converging biological (bio), information (info), nanoscale (nano), and cognitive (cogno) technologies []
  2. https://aeon.co/essays/how-social-and-physical-technologies-collaborate-to-create  il cui contenuto deriva dal confronto avvenuto tra in diversi seminari tenuti tra il 2017 e il 2018 al Santa Fe Institute[]
  3.   If the rate of change of physical technologies continues to accelerate, can our social technologies keep up? Will we be left in an eternal state of extreme disequilibrium, with dysfunctional social institutions that are out of touch with the rapidly changing physical substrate of the information world? Are we heading toward becoming part of an authoritarian, hierarchical superorganism? Can we do anything to stop this from happening? []
  4. We are in a race – a potentially existential race – between our ability to understand, shape and direct the complex and evolving social, economic and technological system we live in, versus the potential of that system to destroy freedom, democracy and even human life on Earth. As Teilhard saidOur duty, as men and women, is to proceed as if limits to our ability did not exist. We are collaborators in ceation’  []
  5. However, traditional analysis is virtually unusable for emerging technologies based on novel principles applied to novel domains, which is the case for most of the BINC technologies; our inevitable and ineliminable uncertainty forces us to “decide in the dark” -Bedau and Triant 2009. Extra caution is one understandable reaction to deciding in the dark, and the so-called precautionary principle seeks to restrict theuse of technologies that might be deemed harmful, even when the risks are uncertain. Thus we are left with a significant challenge of developing new ethical frameworks for our uncertain future, in part generated by our new technologies.  []
  6.   https://www.theguardian.com/business/2021/dec/07/oil-companies-blame-clean-energy-transition-for-market-volatility  []
  7. https://www.roars.it/online/gli-imperi-della-conoscenza-da-gafam-a-elsevier/   []
  8. DISPROPORTIONATE REGULATION OF PERSONALISED ADS COULD HAVE SIGNIFICANT UNINTENDED CONSEQUENCES RESEARCH- NOTE PREPARED BY COPENHAGEN ECONOMICS FOR GOOGLE JUNE 2021  []
  9. https://www.corriere.it/economia/consumi/21_dicembre_06/quanto-valgono-davvero-dati-digitali-gestiti-google-facebook-cosa-succede-se-scoppia-bolla-29aa665c-5459-11ec-98a1-668fb2fc840e.shtml  []
  10. https://kinsta.com/it/blog/quote-di-mercato-del-cloud/   []
CENSIS, drivers, GAFAM, piattaforme digitali, principio di precauzione
Articolo precedente
La nuova Politica Agricola Comune (PAC): qualche luce e molte ombre
Articolo successivo
Il Censis, Hegel, Feurbach e Marx

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.