Uno spettro agita la vigilia della COP26, la Conferenza internazionale sul Clima, che il mese prossimo a Glasgow dovrebbe completare il percorso iniziato a Parigi verso la transizione ecologica. Eppure i rincari record delle bollette energetiche in larga parte dei paesi europei svelano tutta l’impreparazione energetica, che si cela dietro annunci altisonanti, ponendo serie difficoltà alla ripresa produttiva post-pandemica.
L’aumento dei costi energetici è dovuto ad una congiuntura di fattori negativi, che partono proprio dalla crisi climatica, con un’estate europea poco favorevole per l’approvvigionamento eolico, preceduta da una primavera mediamente più fredda del previsto; e caratterizzata da crescente siccità, tale da spingere fortemente verso un incremento di consumi e conseguente assottigliamento delle scorte accumulate.
Altre criticità sul fronte dell’offerta e delle reti di approvvigionamenti sono dovute alla produzione inferiore delle attività estrattive in Norvegia e Russia per il rallentamento imposto dalla pandemia, combinato a sua volta con un incremento dei consumi asiatici, in particolare della Cina.
A complicare ulteriormente il quadro sono le ricadute su un mercato europeo dell’energia incentrato sul sistema di quote di emissioni (ETS), fortemente incisivo sui prezzi, con la scarsità iniziale di gas che si riflette sul maggior ricorso al carbone, generando così ampie fluttuazioni.
Secondo le ultime stime di Eurostat relative al 2020, i costi energetici più contenuti nell’ambito dell’UE sono stati riscontrati in Bulgaria (0,10 €/kWh) per l’uso domestico ed in Danimarca (0,07 €/kWh) per quello produttivo; mentre i record più elevati provengono rispettivamente da Danimarca (0,29 €/kWh) e da Cipro (0,18 €/kWh).
Tuttavia in Spagna e Portogallo i prezzi medi dell’energia all’ingrosso sono quasi triplicati rispetto ad appena sei mesi prima, con un costo di 175€/MwH, seguite da altri paesi in debito energetico, come in Italia e Romania, solo per fare alcuni esempi.
In sostanza, in una situazione di forte dipendenza esterna l’aumento del prezzo del gas naturale utilizzato per la produzione ed il riscaldamento, oltre a livelli inferiori di risorse rinnovabili e all’aumento del ricorso a fonti fossili nell’UE, hanno spinto i prezzi a livelli vertiginosi in poco tempo, pari ad oltre il 250% sul gas da gennaio. Un rincaro che si riflette ora in molti altri settori economici, pur con differenze sostanziali, che vanno dal 15% in più d’incidenza sulla produzione nel comparto manifatturiero a quasi l’80% per le acciaierie.
Proprio nei prossimi giorni la Commissione Europea dovrebbe sottoporre al Consiglio un piano di contromisure, una sorta di meccanismo di copertura contro le forti fluttuazioni dei prezzi del gas, anticipata la settimana scorsa in risposta alle sollecitazioni di diversi governi, a cominciare da quello greco.
La proposta potrebbe riguardare un duplice approccio, con lo stanziamento di fondi reperibili dai pagamenti anticipati delle quote di emissione di carbonio nel breve periodo, che verrebbero poi assegnati ai paesi dell’UE, in base al loro consumo di riscaldamento ed elettricità, oltre al loro PIL pro capite.
In aggiunta, alcuni ministri delle finanze avrebbero avanzato l’ipotesi di messa all’asta di ulteriori quote di emissioni di carbonio, attraverso il sistema di scambio di quote dell’UE (ETS), che produrrebbe entrate extra per gli stati membri, sostenendo così il finanziamento degli schemi di compensazione, in barba però alla riduzione dei livelli di inquinamento previsti dal Green Deal Europeo.
Fra gli altri provvedimenti allo studio della Commissione Von der Leyen anche una riserva strategica europea del gas e la riforma di questo mercato nel lungo periodo, oltre allo scorporo dei prezzi dell’elettricità dai prezzi del gas.
Secondo il Commissario europeo all’Energia, Kadri Simson, per rispondere rapidamente ai picchi di prezzo nell’ambito delle regole dell’UE, si valuta anche la rimodulazione dell’IVA e delle accise, così come il supporto diretto, che va dalle sovvenzioni ai massimali di prezzo, provvedimenti tampone insomma, in fase di realizzazione in Italia, Francia, Spagna e Grecia.
Altri stati membri come la Germania però non avvertono quest’esigenza e, dato che le fluttuazioni della bolletta energetica dipendono per larga parte dal costo del gas, per Austria e Slovenia è necessario accelerare la transizione verso fonti rinnovabili come soluzione più efficace agli shock della domanda ed alla volatilità dei prezzi.
Decisamente di altro avviso sono le dichiarazioni del governo polacco, che nella diatriba aperta con la Commissione Europea sul rispetto dello stato di diritto, ha rilanciato la contrapposizione anche su questo fronte, chiedendo da storico produttore di carbone di rivedere il pacchetto di proposte climatiche dell’UE, soprannominato “Fit for 55“, proprio per l’intento di riduzione delle emissioni dell’UE di almeno il 55% entro la fine del decennio.
Ulteriori provvedimenti sono attesi poi dalla Commissione nel ‘pacchetto per il gas di dicembre’, per la revisione della regolamentazione sulla sicurezza dell’approvvigionamento, così da garantire un uso e un funzionamento più efficienti dello stoccaggio del gas in Europa anche mediante l’accantonamento congiunto delle scorte.
Sullo sfondo aleggia lo spettro di una nuova ‘guerra del gas’ fra Russia ed Ucraina, che portò ad una crisi nell’inverno del 2006, con la denuncia di diversi paesi europei di un eventuale manipolazione dell’azienda russa Gazprom, per ridurre le capacità di fornitura e condizionare così il mercato. Del resto, per capire la fonte di questi aumenti e la sua distribuzione lungo la filiera energetica, un indizio significativo viene dalla Francia invece, dove le grandi società energetiche come Total, Engie, EDF hanno pagato quest’anno 9,55 mld.€ di dividendi ai propri azionisti.
Insomma da un lato le fluttuazioni dei prezzi sul mercato energetico, dall’altro i condizionamenti geo-politici fra bacini estrattivi, paesi attraversati dalle reti di rifornimento e grandi consumatori squadernano ampie motivazioni per un maggior ricorso a fonti rinnovabili in grado di garantire una certa autonomia energetica per i paesi europei.
Altro elemento di frizione che si pone nei rapporti economico-diplomatici dei carburanti fossili riguarda le cosiddette “porte girevoli”, ben rappresentate da ex-première o ex-ministri di governi europei, finiti al termine del proprio mandato a fare gli amministratori delegati per le stesse compagnie fornitrici, come nel celebre caso dell’ex-cancelliere tedesco Schroeder.
In contrasto con questo improvvido esempio di riciclo delle figure apicali, per il rischio di corruzione che si genera nella commistione fra rappresentanti pubblici ed amministratori privati, è quindi la difficoltà a negoziare efficacemente tariffe vantaggiose per il bene comune della collettività.
In una recente interrogazione della Sinistra Europea (GUE/NGL) si riportano alcuni dati sulla povertà energetica, per cui circa 34 milioni di cittadini dell’UE non hanno potuto riscaldare le proprie case nel 2018, secondo un nuovo rapporto dell’Istituto Jacques Delors.
La direttiva 2019/944 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 del resto riconosce “che gli Stati membri possono applicare l’intervento pubblico nella tariffazione della fornitura di energia elettrica ai clienti domestici in situazioni di povertà o vulnerabilità energetica”, così come per “la fissazione del prezzo di fornitura dell’energia elettrica ai clienti domestici e domestici”.
Gli stessi eurodeputati chiedono di emendare anche il Regolamento UE 943/2019 sul mercato interno dell’energia elettrica per la rimozione dei ricavi indebiti da tecnologie, che non internalizzano i costi delle materie prime e delle emissioni.
La Sinistra (GUE/NGL) negli ultimi anni ha denunciato al Parlamento Europeo la crescente povertà energetica, che affonda le sue radici nelle politiche di liberalizzazione promosse e portate avanti dalla Commissione, con ricadute su lavoro, diseguaglianze ed emarginazione sociale.
Energia come bene comune e non come fonte di speculazione ed avidità aziendali sul mercato, con il rischio di insidiare giustizia climatica e sociale.
Anche negli interventi di questi ultimi giorni la posizione dominante nel gruppo della Sinistra Europea si focalizza sulla priorità di energia pulita a prezzi accessibili per tutti, prediligendo le persone al profitto.
Oltre le correzioni di piccolo cabotaggio, a fronte di un inverno davvero rigido sul piano dei rincari, che rischia di vedere ancora l’UE alla ‘canna del gas’, da più parti si sottolinea come all’incremento delle scorte strategiche debba corrispondere un meccanismo europeo di solidarietà, a partire dall’armonizzazione di normative ed impianti per lo stoccaggio di gas.
INFO:
https://www.ceps.eu/is-eu-joint-gas-purchasing-really-a-bad-idea/.
https://left.eu/content/uploads/2021/10/electricityprices.pdf.