articoli

L’ordinanza della Corte internazionale di giustizia

di Luciano
Beolchi

Ordinare il cessate il fuoco sarebbe stato come dire che la Corte, dopo la sola fase preliminare, era già arrivata a sentenza: e infatti, su quale base, in un processo intentato per genocidio, la Corte poteva ordinare una simile prescrizione se non aveva già raggiunto a maggioranza la consapevolezza della piena responsabilità dell’imputato? Netanyahu canta vittoria. Dice che agendo come ha agito la Corte giustifica la guerra di Israele contro la popolazione di Gaza. Le cose stanno davvero così?

A larghissima maggioranza 15 su 17 e in due punti, 16 su 17, la Corte di giustizia ha dato ordine allo Stato di Israele di presentare tra meno di un mese un rapporto che dimostri alla Corte stessa che il rischio di genocidio per la popolazione di Gaza non esiste più. Infatti non era in discussione se la guerra fosse giusta o meno (come pretendono Netanyahu e la destra sionista), tanto meno chi delle due parti (o delle molteplici parti in causa, se si considerano coloro che fiancheggiano e sostengono materialmente ciascuna delle parti) avesse ragione.
La Corte doveva decidere se l’accusa che Israele stesse commettendo un genocidio, autorizzando un genocidio, promuovendo un genocidio era ricevibile e la Corte ha risposto quasi all’unanimità che l’accusa era non solo ricevibile e perseguibile ma, che sugli specifici punti che erano contemplati nell’atto di accusa del Sudafrica, i sospetti e le prove erano così schiaccianti che in tempi brevi – e sul piano giudiziario un mese è tempo breve – Israele era obbligata a produrre le prove che quei fatti per i quali era stata citata in giudizio non accadevano più; in altri termini che le sue forze armate non stavano commettendo nessuno degli atti criminali contestati dai legali sudafricani – come gli attacchi al sistema sanitario palestinese, non importa se metodici o occasionali, se per errore o per distrazione.
L’ordinanza della Corte prescrive che non ci siano morti civili uccisi indiscriminatamente, né attentati alla natalità e alla procreazione, né danni psicologi né trattamenti umilianti e che tutti gli sfollati ricevano gli aiuti necessari in una situazione che la Corte ha riconosciuto fin dall’inizio a rischio grave. Che cessi insomma la rappresaglia nella sua forma acclarata di punizione collettiva.
Israele quel rapporto non lo presenterà perché il suo governo ha già detto che quell’ordinanza è oscena e macchiata di antisemitismo e soprattutto perché il rapporto dovrebbe dimostrare che nessuno dei suoi forsennati ministri incita alla violenza indiscriminata e al genocidio. Dovrebbe dimostrare che nel mese trascorso non sono stati commessi abusi sulle donne, umiliazione di uomini, donne e bambini. Dovrebbe rispondere nel merito sul fatto che nessun ostacolo viene frapposto alla distribuzione di aiuti alla popolazione; e non importa se a fermare i camion sono direttamente i suoi soldati o qualche sedicente amico o parente degli ostaggi. Essendo potenza occupante è responsabile della distribuzione degli aiuti e dell’acqua e del riscaldamento e del cibo a ciascuno dei due milioni di sfollati, perché è questo che dice l’ordinanza.
Diranno di non avere responsabilità in quello che succede, come hanno già respinto in linea di principio il fatto di essere potenza occupante, ma secondo il diritto internazionale lo sono comunque, anche se trovassero un qualche Quisling che li chiama a invadere il Paese per il bene dei palestinesi e la Corte sembra convinta che anche di Gaza non solo è, ma anche è stata, dal 2005 al 2023, potenza occupante

L’ordinanza della Corte di giustizia

Il provvedimento della Corte è un order (ordonnance nella versione francese) al quale sono allegate tre dichiarazioni dei giudici Xue, Banfhari e Nolte, una opinione discorde del giudice Sebutinde e una opinione separata del giudice ad hoc nominato da Israele, Barak.  L’order è un dispositivo scritto di 13 pagine nella versione abbreviata, 27 in quella estesa.
L’order contiene un dispositivo finale con la pronuncia dei giudici sui diversi punti. Su 17 giudici ha votato sempre contro la giudice ugandese Sebutinde1. Su 2 punti su 6 ha votato a favore anche il giudice ad hoc di Israele, Barak, precisamente sul punto che impegna Israele a prendere tutte le misure per prevenire e punire l’incitazione diretta e pubblica a commettere genocidio e su quello che ingiunge a Israele di prendere misure che permettano la fornitura dei servizi essenziali e la distribuzione di aiuti umanitario. Su questi due punti la votazione è stata di 16 a 1. L’idea di un rapporto (periodico) che doveva essere prodotto da Israele in risposta all’ordinanza della Corte era presente già nell’esposto presentato dal Sudafrica. L’ordine della presentazione di un solo rapporto tra un mese, e non di un rapporto da presentare periodicamente, sta a dire che il provvedimento provvisorio è ancora sospeso. Questo rapporto – o non rapporto, sarà passato al Sudafrica che ne trarrà le sue deduzioni e a quel punto la Corte avrà in mano due elementi fattuali su cui deliberare: da una parte la sua stessa ordinanza e dall’altra la relazione del Sudafrica che a quel punto costituirà l’unico documento in campo. La cosa più probabile è che su questa base emetta una seconda ordinanza urgente che rafforza la precedente, visto che la procedura nel merito è già incardinata. Se si fosse in un contesto di diritto anglosassone puro, Israele rischierebbe una sanzione per oltraggio alla Corte medesima, ma tra un mese niente impedirà alla Corte di intervenire con un’ordinanza più severa che includa il cessate il fuoco immediato. Purtroppo un mese di sofferenze indicibili per la popolazione civile di cui qualcuno dovrà rispondere.

In termini semplici l’ordinanza si può tradurre così: questo tipo di violazioni è già avvenuto e merita una decisione d’urgenza. Le prove addotte dal Sudafrica indicano il governo israeliano come possibile responsabile di crimini nel quadro della Convenzione contro il genocidio.  La Corte riconosce la plausibilità delle accuse e, sempre restando nel quadro della Convenzione contro il genocidio, ordina al Governo israeliano, con procedura d’urgenza e nel rispetto della sovranità dello stato di Israele e delle ragioni da esso addotte, di dimostrare tra un mese che le vessazioni sono cessate; che non si minacciano le vite dei civili, che non vengono prese di mira strutture sanitarie, che la popolazione non è sottoposta a trattamenti umilianti e che i rifornimenti vengano distribuiti regolarmente e in misura sufficiente. Se questo non avviene la Corte ne ritiene responsabile la potenza occupante.

È evidente a questo punto che ogni crimine commesso nel prossimo mese rappresenta per Israele una montagna legale da scalare perché nel suo rapporto a titolo difensivo potrebbe solo dire che il fatto non c’è stato; non è sufficiente sostenere che a commettere i crimini che sono stati altri o che è stato un errore, una svista e una distrazione o l’effetto di una provocazione altrui: o che era giustificato della situazione; e che aveva prevenuto la popolazione, ma le sue raccomandazioni non sono state eseguite. La Corte impone a Israele, in quanto ha la responsabilità di potenza occupante, che questi fatti non avvengano; qualunque ne sia l’origine, la causa, la giustificazione. Questa è la responsabilità in capo alla potenza occupante. Paradossalmente, se questi crimini fossero commessi da Hamas, l’esercito di Israele deve schierarsi a difesa della popolazione della cui incolumità è responsabile come potenza occupante. Una delle misure imposte dalla Corte è l’obbligo di mantenere impregiudicati gli elementi di prova.

La Corte ha utilizzato la terminologia aggressiva delle autorità israeliane in risposta alla chiamata in causa del Sudafrica proprio per dimostrare l’esistenza di un contenzioso tra i due stati, dal momento che, anche in sede di procedimento, una delle due parti trattava di ignobile ripugnante e oscena, sia l’iniziativa del Sudafrica che l’eventuale accettazione prima facie da parte della Corte della richiesta del Sudafrica. In questo caso l’abituale linea difensiva di Israele che mescola elementi giuridici ad accuse provocatorie, offensive e infamanti gli si è rivolta contro.
Il giudice Xue ricorda che sessant’anni fa la richiesta di Etiopia e Liberia di istruire una causa analoga contro il Sudafrica fu respinta dalla Corte che affermò che i due richiedenti non avevano interesse nel caso (che riguardava l’occupazione dell’Africa del Sud Ovest da parte del Sudafrica). La decisione produsse una forte indignazione degli Stati membri delle Nazioni Unite contro la Corte e macchiò severamente la sua reputazione, aggiunge il giudice Xue, facendo capire che l’orientamento giurisprudenziale è cambiato anche grazie alla presenza della Cina e di oltre cinquanta Stati africani che nel 1962 non concorrevano alle decisioni.
A Netanyahu risponde il giudice Nolte nella dichiarazione allegata all’ordinanza. Alla Corte non è richiesto nella presente fase del procedimento di decidere se le accuse fatte dal Sudafrica siano fondate o meno, scrive Nolte. A questo stadio la Corte può semplicemente prendere in esame se le circostanze di questo caso, così come sono state presentate alla Corte, giustificano l’ordinanza di misure provvisorie per proteggere diritti compresi nel quadro delle Convenzioni sul genocidio che sono a rischio di essere violate prima che la Corte emetta la propria sentenza.

Per questa presa in esame la Corte non ha bisogno di occuparsi di molte ben conosciute e dibattute questioni come quella relativa al diritto di autodifesa e al diritto di autodeterminazione dei popoli o che riguardano lo status territoriale. La Corte deve rimanere consapevole che la Convenzione sul genocidio non è intesa a regolare i conflitti armati in quanto tali, anche se essi sono condotti con un uso sproporzionato della forza ed esitano in massacri di massa.

Nelle questioni giudiziarie è sempre doverosa la prudenza. Tuttavia le dichiarazioni addizionali di merito dei tra giudici – Xue, Nolte e Banfhari – vanno nel senso di rafforzare l’ordinanza e non di attenuarla.  Il risultato ottenuto con l’ordinanza del 26 gennaio è superiore alle attese e la stessa posizione di Barak per certi versi va oltre le aspettative anche se contiene elementi di ambiguità.

Dichiarazione del giudice Barak

A differenza di quella della giudice ugandese Julia Sebutinde, che è opinione discorde, quella del giudice ad hoc nominato da Israele Aharon Barak è un’opinione separata che lo porta a sostenere col suo voto due delle sei misure previste dall’ordinanza.
Nella sua Opinione separata, Barak sostiene che a suo parere la Corte riafferma il diritto di Israele all’autodifesa, interpretazione forzata perché la Corte ha più volte dichiarato che non è di sua competenza arrestare o giustificare le guerre, ma che sta deliberando nel quadro della Convenzione sul genocidio. Illustra poi la sua esperienza di sopravvissuto all’Olocausto.
Nelle prime tre pagine su circa dieci del suo intervento la sostanza degli argomenti di Barak è che l’esercito e lo Stato d’Israele non commettono crimini del genere di quelli per cui vengono attualmente giudicati dalla Corte. Ciò è dimostrato dal fatto che aderiscono alle norme e convenzioni di diritto internazionale2. Critica la Corte per non aver concentrato la sua attenzione su quanto successo il 7 ottobre, invece di concentrarsi sulla strage di Gaza come richiesto dal Sudafrica. Hamas è l’unico cattivo di tutta la vicenda che, tra l’altro, non ha consentito alla Croce Rossa Internazionale di visitare gli ostaggi, sostiene Barak: ma se la situazione in cui si trovava Israele dopo il 7 ottobre giustifica in gran parte il suo comportamento, perché quello in cui si trovano i palestinesi dopo 75 anni di nakba non dovrebbe giustificare quelli di Hamas? Spiega che ha votato contro la quinta misura (distruzione delle prove di genocidio) perché non c’è alcuna indicazione che Israele voglia distruggere le prove: se non che l’uccisione di 21 soldati israeliani mentre si dedicavano alla sistematica demolizione di ciò che resta delle precedenti distruzioni smentisce la sua perentoria affermazione.

Le chiamano colombe

Barak è il giudice ad hoc di parte israeliana. La sua opinione separata conferma quanto siano infide e pericolose le versioni conciliatrici del sionismo.  Non ci sono dubbi che Barak sia una persona onesta e per bene e un magistrato impeccabile che ha combattuto con pazienza l’estremismo sionista in nome del diritto. L’intento genocida, sostiene, non esiste. Le dichiarazioni dei maggiori esponenti del Governo e dello Stato d’Israele? Chiacchiere, parole al vento. Israele è democratico perché dice di esserlo. Non commette crimini contro l’umanità perché ha sottoscritto le convenzioni internazionali che li vietano. I suoi soldati non commettono crimini e i coloni non commettono crimini perché la Corte suprema di Israele lo vieta.
Lo può ben dire lui che come giudice della Suprema corte per undici anni si è battuto con indomabile spirito democratico. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le centinaia di colonie che configurano uno dei più clamorosi crimini contro l’umanità della storia contemporanea e la legge fondamentale del 2018 che definisce Israele Stato ebreo e democratico fissando in Costituzione un regime di apartheid contro un quarto della popolazione israeliana non ebrea.

E veniamo alle balbettanti risposte dell’Occidente, Presidente Mattarella incluso. Dopo aver assecondato tutte le iniziative di Israele ora reclamano a gran voce la soluzione dei due Stati.
Proposta vana e ridicola per non dire tragica in presenza di uno dei due possibili Stati che pratica da decenni un regime di apartheid nei confronti della sua popolazione palestinese, accusa che fa da sfondo all’accusa specifica di genocidio a Gaza: e di quello che dovrebbe essere il secondo Stato, la Cisgiordania, un territorio grande come la Lombardia dove è stato consentito s’installassero centinaia di colonie, con migliaia i punti (strade, muri, incroci, posti d’osservazione israeliani, pali della luce, insediamenti, appostamenti, luoghi sacri) inaccessibili alla maggioranza della popolazione.

Luciano Beolchi

  1. Alla giudice Sebutinde piacciono le opinioni paradossali raccolta in una lunga opinione discorde, sintetizzabile così: l’ordinanza della corte è inutile perché ciò che prescrive è già contenuto nella Convenzione contro il genocidio. Per il resto affronta una questione politica laddove dovrebbe limitarsi a questioni giuridiche.[]
  2. Questo è solo parzialmente vero, perché Israele, come USA, Cina e Russia, rifiuta tra l’altro, di sottoscrivere lo statuto della Corte Penale Internazionale.[]
diritto internazionale, Israele, Palestina
Articolo precedente
Sostiene Nordio
Articolo successivo
Una strada lunga e in salita

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.