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Sostiene Nordio

di Maria Pia
Calemme

Shit happens. Si potrebbe parafrasare in questo modo il passaggio sui suicidi in carcere nella relazione sullo stato della giustizia che il ministro ha tenuto alla Camera due settimane fa. Dei circa 75 minuti durante i quali ha esposto cifre ed enunciato impegni, Carlo Nordio ne ha dedicato solo qualcuno al carcere e ai detenuti. Senza nemmeno fornire i dati esatti, ha voluto comunque sottolineare che nell’anno appena trascorso se n’è registrato un numero inferiore (69) rispetto al precedente (84), come se questa diminuzione indicasse un trend e si potesse mettere in relazione con misure messe in atto per prevenirli1. Niente del genere, purtroppo, tant’è che solo in questo primo mese del 2024 13 persone si sono tolte la vita, un dato che il ministro ha scelto di non fornire, suggerendo che anche rispetto a un problema così rilevante (il tasso di suicidi in carcere è mediamente 10 volte quello della popolazione generale, nonostante il regime di sorveglianza che connota la prigione) il governo abbia apprestato soluzioni che stanno già producendo risultati positivi.

Se non può farlo, come nel caso del sovraffollamento, sceglie di confrontare l’Italia con altri Paesi, come a dire che tutto sommato c’è chi sta messo peggio2 e indica due misure per ridurlo: 1) inviare i detenuti stranieri a scontare la pena nei loro Paesi (che comporterebbe una diminuzione di circa il 20% della popolazione, secondo le stime del ministro) e 2) riadattare edifici che in origine avevano un’altra destinazione. Innanzitutto le caserme, ovviamente, che vengono citate continuamente per gli usi più diversi. Questi edifici dovrebbero essere destinati agli autori di reati minori, cioè a persone che in carcere non ci dovrebbero stare, perché potrebbero (e dovrebbero) usufruire di misure alternative.

Un cenno Nordio lo ha riservato anche ai detenuti in attesa di giudizio, senza fornire cifre (sono circa 8.000, cioè il 15% della popolazione detenuta), sostenendo che è la magistratura a disporre le misure cautelari (vero), ma dimenticando di dire che il suo Ministero effettua ispezioni nelle Procure che non hanno disposto la carcerazione preventiva per persone che, già imputate, siano sospettate di aver commesso un altro reato).

Il ministro ha ammesso che il sistema penal-penitenziario si avvantaggerebbe di una depenalizzazione (Nordio è pur sempre un giurista garantista…) e ha affermato che governo e maggioranza stanno lavorando in questa direzione. Non è riuscito, però, a trovare prova migliore dell’attuazione di questo principio dell’abolizione del reato di abuso d’ufficio, inciampando anche in una “piccola” contraddizione: ha sostenuto, infatti, che uno dei motivi della depenalizzazione è il basso numero di condanne.
Prevenendo possibili obiezioni durante il question time, ha ammesso che a fronte di quest’unica abolizione (che non ha alcun effetto sul sovraffollamento) sono stati invece introdotti nuovi reati e inasprite le pene per atti già sanzionati penalmente. Ha affermato che il forte allarme sociale suscitato dalla violenza contro le donne e i soggetti deboli ha imposto provvedimenti che usano la legge della forza per implementare la forza della legge (cito quasi letteralmente). Le nuove fattispecie penali, però, non riguardano affatto la violenza contro le donne né quella contro le persone più fragili: tra singole norme, decreti e proposte di legge, i provvedimenti riguardano invece i rave, la gestazione per altri, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, l’evasione dell’obbligo scolastico, l’occupazione di immobili, le “rivolte” in carcere e nei centri di detenzione per immigrati, i blocchi stradali, il danneggiamento di beni pubblici e la custodia in carcere per le donne incinte o con figli minori, tanto per citarne alcuni.

La nozione di “allarme sociale” fa evidentemente richiamo a una percezione e non a dati rilevati. E non dovrebbe, come invece fa – e da molto tempo – costituire la base per le politiche in tema di sicurezza (altro concetto stiracchiabile secondo le esigenze politiche del momento) e di penalità. E Nordio concorda sul fatto che realtà e percezione spesso non coincidano e che la seconda non debba risultare penalizzante. Infatti lamenta la collocazione dell’Italia nell’indice della percezione della corruzione nel settore pubblico (CPI)3, proprio perché lo strumento di misura è costruito sulla percezione e non sui dati di fatto accertati e si inorgoglisce di aver personalmente sostenuto questa posizione alla Conferenza degli Stati aderenti alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC) nel più recente incontro ad Atlanta.

Tanto di cappello in coerenza: la percezione che una donna incinta accusata di furto rappresenti un pericolo per la sicurezza se non sta in carcere giustifica la misura contenuta nel “pacchetto sicurezza” che va in discussione nei prossimi giorni, ma la percezione dell’Italia come Paese nel quale la corruzione è diffusa è inaccettabile perché non corrisponde alla realtà (numero di reati accertati).

C’è un ulteriore passaggio sul carcere nella relazione del ministro, relativo alla funzione rieducativa della pena e, quindi, alla riduzione della recidiva. Ha addirittura menzionato un piano “recidiva zero”, del quale dovremmo cominciare a vedere i risultati già entro la fine dell’anno. Non è entrato nei dettagli (dove, notoriamente, si nasconde il diavolo), ma ha affermato che il principio costituzionale della rieducazione si struttura su due pilastri: lavoro e sport. “Basta poco, che ce vo’”, come diceva Giobbe Covatta in una campagna di raccolta fondi per AMREF. Nordio la fa davvero facile, tirando ancora in ballo le caserme per quanto riguarda lo spazio nel quale far fare sport ai detenuti e le convenzioni in progress con il CNEL e associazioni di volontariato non specificate per diminuire il numero di detenuti che, non lavorando, si annoiano (cita proprio la noia, non invento) e per far loro trovare un lavoro una volta fuori dal carcere, in modo che “il marchio di Caino” (sic!) non li spinga verso la recidiva. La rieducazione è utile alla società, ha sottolineato il ministro, evidentemente parlando a quei parlamentari che pensano che sia un principio perdonista.

Ignora, Nordio (nel senso che non ne parla), tutti quegli aspetti dell’esistenza che fanno di noi quello che siamo, a partire dalle relazioni, che non diventano meno essenziali quando si sta rinchiusi. Anzi, lo diventano ancora di più quando si ha poco. Molti di noi possono fare a meno dello sport, altri anche del lavoro, ma non degli affetti e della pratica delle relazioni con gli altri per poter rimanere sani di mente. Durante il lockdown per la pandemia da Covid abbiamo sofferto proprio per questo molto di più che per il fatto di non poter andare in palestra o al lavoro. E di questa deprivazione nei bambini e negli adolescenti, in particolare, si lamentano anche gli effetti a lungo termine, come una sorta di long-Covid sociale.

Lavoro e sport vanno bene. Quasi tutto va bene se si tratta di offrire occasioni a chi ne ha poche (e ne ha avute poche anche in passato). Mi sarei aspettata, però, che il ministro, parlando di rieducazione, menzionasse anche l’istruzione, la formazione, le attività culturali e il mantenimento delle relazioni, appunto. Invece no. Non un cenno a proposito dell’aumento del numero di telefonate e a un cambiamento delle modalità, come sperimentato durante la pandemia. E men che meno fa riferimento all’allora pendente decisione della Corte costituzionale sul “diritto all’affettività”, che è arrivata il 26 gennaio4: la Consulta ha dichiarato, con una sentenza che – se attuata – consentirebbe all’Italia di fare un passo avanti nell’attuazione dei principi di civiltà in tema di esecuzione penale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 dell’Ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa (a determinate condizioni) a svolgere i colloqui “con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia”.

Il giurista Nordio avrebbe dovuto sapere che il ricorso che Fabio Gianfilippi, magistrato di sorveglianza di Spoleto, aveva presentato nel 2023, era ampiamente fondato (la negazione alle persone detenute dell’intimità degli affetti rischia di produrre una “desertificazione affettiva [che è] l’esatto opposto della risocializzazione”, ha scritto la Corte), ma ha preferito glissare sulla necessità di riorganizzare gli istituti penitenziari per attuare i colloqui senza sorveglianza. Sa bene, il ministro, che per molto tempo non accadrà nulla: il Parlamento non discuterà una legge che modifichi la norma dichiarata incostituzionale (una proposta è stata depositata ben prima della decisione della Consulta5) e l’amministrazione penitenziaria (che avrebbe dovuto condurre uno studio di fattibilità, accogliendo le indicazioni anche degli stati generali dell’esecuzione penale) non assumerà alcun provvedimento. Shit happens.

Maria Pia Calemme

  1. Il piano per la prevenzione dei suicidi in carcere risale al 2017. L’anno precedente si erano uccise in prigione 39 persone. Non ci sono né spiegazioni né soluzioni semplici a questi accadimenti, ma certo la scarsità di professionisti della cura e del sostegno psicologico, che sono considerate centrali in quel piano, non è stata in alcun modo colmata, in questi anni.[]
  2. Secondo i dati dei rapporti SPACE del Consiglio d’Europa, in realtà, l’Italia è uno dei Paesi con i più alti livelli di sovraffollamento e di tassi di carcerazione.[]
  3. https://transparency.it/indice-percezione-corruzione.[]
  4. Decisione 10/2024: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2024:10.[]
  5. https://www.camera.it/leg19/126?tab=&leg=19&idDocumento=1566&sede=&tipo=.[]
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