Si susseguono sacrosante prese di posizione sulla necessità di presentare alle elezioni europee una sola lista unitaria della sinistra, in grado di superare lo sbarramento del 4% ed inviare rappresentanti della sinistra italiana al Parlamento europeo. Una lista fondata su un programma comune intestato innanzitutto alla pace, che tenga insieme le scelte di fondo sulle questioni fondamentali e le proposte da avanzare nell’immediato. Nella drammatica complessità della situazione attuale una formulazione strutturata di questo programma intorno al nucleo centrale della pace è possibile ma non è semplice. Le note che seguono intendono offrire un contributo sulle linee di collegamento tra le diverse grandi questioni in campo, che può essere di qualche utilità a questa formulazione.
L’impegno per la pace è oggi ancora più necessario, perché l’aumento del numero e della gravità dei conflitti evidenzia una nuova fase di slittamento verso la “terza guerra mondiale a pezzi” denunciata da Papa Francesco. Ha compiuto un salto di qualità la grande contraddizione relativa alla distribuzione ineguale delle risorse tra l’Occidente allargato e il resto del mondo, che si aggiunge alle altre contraddizioni su base etnica, religiosa, geopolitica nella produzione di conflitti regionali. Questa grande contraddizione ha ragioni consolidate, a partire dallo sfruttamento delle risorse mondiali da parte dell’Occidente fin dai tempi del colonialismo e poi del neocolonialismo, attualmente trasformato in un complesso di scambi ineguali regolati da un sistema finanziario fondato sull’egemonia del dollaro, con la concorrenza tra apparati produttivi nazionali che sta investendo i settori a più elevata tecnologia. A queste ragioni oggi – è qui la svolta – si associa il contrasto di fondo sulla distribuzione degli effetti del riscaldamento globale sia tra i diversi paesi sia, complessivamente, tra l’Occidente già sviluppato e il resto del mondo che si sta sviluppando a velocità diverse.
Perché il riscaldamento globale concretizza l’insostenibilità del modello di sviluppo imposto dalla logica del profitto e della valorizzazione dei capitali finanziari, modello basato sulla “crescita” dello sfruttamento di tutte le risorse naturali ed umane, della produzione di merci e di rifiuti, del consumismo di massa. L’estensione di questo modello a tutto il mondo si sta scontrando coi limiti dell’assetto fisico del pianeta: terra, aria, acqua, energia. Perciò la crescita rimbalza indietro e impatta sugli assetti del potere economico e politico in tutto il mondo, a partire dagli squilibri in atto tra l’Occidente e il non-occidente.
Le ultime Conferenze sul clima, da Glasgow a Dubai, hanno dimostrato il sostanziale fallimento delle strategie proclamate per controllare il riscaldamento globale che invece prosegue a velocità crescente producendo scioglimento dei ghiacci, siccità e alluvioni, scomparsa di specie animali e vegetali e comparsa di nuovi virus, accelerazione delle migrazioni. E guerre, funzionali alla prosecuzione di uno sviluppo economico globale ristretto nei limiti fisici del pianeta, perché impiegano capitali e fanno profitti con la produzione di armamenti che distruggono città, campagne, strutture e poi impiegano altri capitali facendo altri profitti con la ricostruzione di queste. Capitali pubblici, alla partenza, e profitti privati alla fine del ciclo. Comunque restano i morti militari e civili, i feriti nel corpo e nella psiche, e oceani di sofferenza umana in regioni sempre più vaste.
I due conflitti più recenti e più gravi, in Ucraina e in Palestina, nascono da questo aggravamento della contraddizione tra Occidente allargato e resto del mondo, che sta prevalendo sulle contraddizioni regionali che pure rimangono. L’ampliamento della quasi-coalizione dei paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) ad altre decine di nazioni africane, asiatiche e sudamericane mette insieme paesi molto diversi ed anche in conflitto tra loro, come Arabia saudita e Iran. Contro l’egemonia del dollaro nella finanza globale, il predominio dei capitali finanziari e delle imprese multinazionali radicate nell’ Occidente, la conseguente iniquità nella distribuzione delle risorse mondiali. La nuova NATO globale, allargata ad Israele e ai paesi sviluppati nell’area del Pacifico, esprime la reazione militare dell’Occidente a guida americana in difesa della propria declinante egemonia. Sostiene la guerra di Israele al popolo palestinese, manovra contro la Cina, combatte la Russia attraverso l’Ucraina coinvolgendo un’Europa subalterna e divisa in una guerra che la danneggia e la mette a rischio, sventolando le bandiere della civiltà occidentale, della democrazia liberale, dell’economia di mercato.
Ma un’altra Europa è possibile, perché è possibile un altro indirizzo nelle relazioni tra l’Occidente e il resto del mondo, una visione non conflittuale ma collaborativa e cooperativa, non a difesa di una egemonia declinante ma aperta a rapporti paritari, per affrontare i limiti dello sviluppo e le cause, gli effetti e i rischi del riscaldamento globale, superando contrapposizioni e evitando guerre. Un’Europa autonoma rispetto agli USA anche perché autonoma rispetto alle logiche ordoliberiste dei grandi capitali finanziari, costrittive per le finanze pubbliche e ultraliberali per quelle private, logiche che la tengono insieme nelle istituzioni europee e la spaccano a livello degli Stati nazionali. Logiche superabili rimettendo la politica al comando sull’economia, per realizzare gli interessi dei popoli prima di quelli dei capitali, partendo dal livello degli Stati nazionali e arrivando al livello delle istituzioni europee per riformarne le politiche e rivederne i Trattati, per quanto possibile oggi.
Ciò significa mettere seriamente in discussione un modello di sviluppo fondato sulla crescita quantitativa, comunque necessaria in una parte del mondo per assicurare le condizioni primarie di sopravvivenza, ma che a livello globale produce disastri e guerre. Perciò va radicalmente riconvertito in direzione dell’ecologia, reperendo le grandi risorse necessarie attraverso una riforma dell’imposizione fiscale sulle grandi ricchezze, i grandi profitti, le grandi rendite. Quanto al modello politico, fermo restando l’orientamento ai valori universali di libertà, uguaglianza e fraternità, va rinnovato lo schema della democrazia liberale fondato su libere elezioni, pluralismo politico, libertà di stampa, la cui realizzazione in Occidente è stata tuttavia sostenuta dal surplus di ricchezze sottratto al resto del mondo e parzialmente redistribuito ai ceti popolari per assicurarne il consenso o comunque l’accettazione del sistema. Modello politico oggi in crisi anche nell’Occidente perché è in crisi il modello di sviluppo economico che ne è la base, non riuscendo più a fornire i beni e i servizi necessari a garantire condizioni di vita soddisfacenti alla grande maggioranza della popolazione. A questa crisi ampi settori delle élite di comando rispondono offrendo alle masse popolari le scorciatoie del particolarismo corporativo e localista, dell’autoritarismo, dell’egoismo nazionalista e occidentalista. E infine della guerra, a difesa delle proprie posizioni di vantaggio nella disuguaglianza tra i popoli. Con altri settori delle élite occidentali bloccati nella contraddizione dello sventolare i principi della democrazia liberale per giustificare le guerre che compromettono l’applicazione di questi principi all’interno dei loro Paesi e in generale nel mondo.
Va imboccata un’altra strada, in Europa, in Occidente e nel mondo, partendo nell’immediato dalla pace come cessazione dei combattimenti in Palestina e in Ucraina per procedere in avanti verso un nuovo sistema di relazioni internazionali e un modello di sviluppo che salvi l’ambiente e soddisfi le esigenze dei popoli, nel rispetto i valori universali di libertà, uguaglianza e fraternità. Una strada lunga e in salita, ma da imboccare subito se si vuole davvero evitare la corsa sempre più veloce verso i molti burroni della crisi globale.
Antonio Zuccaro
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