Un nome adeguato per il campo di Moria, sull’isola di Lesbo? L’inferno dei bambini.
Ora l’inferno è totalmente bruciato e i circa 6000 minorenni su una popolazione di circa 13 mila persone, in gran parte richiedenti asilo provenienti da Siria e Afghanistan, dormono per strada, nei pressi del cimitero, fra i boschi, ma non possono avvicinarsi alla città, al porto. Il campo è nato nel 2013 a seguito delle tante fughe soprattutto di cittadini siriani nella guerra iniziata due anni prima. Si fuggiva solo in parte attraversando la Turchia verso il nord ma più spesso si tentava di raggiungere le isole della Grecia meridionale. Da Bodrun, cittadina turca, a Lesbo sono solo poche miglia di un mare infido. Il campo fu pensato per contenere 3000 persone circa, nel 2015, dopo l’approvazione dell’Agenda Europea sull’Immigrazione, divenne un hotspot, ovvero un centro in cui si presentavano le domande per richiesta di protezione e si poteva essere redistribuiti in altri paesi europei. Ma sempre nel 2015 quasi un milione di cittadini siriani raggiunse la Germania. All’inizio ricevettero calorosa accoglienza, poi divennero “scomodi”.
Nel marzo 2016 la Commissione UE, presieduta da Juncker, stipulò l’accordo con il presidente turco Erdogan. Soldi e molti soldi (6 mld di euro in due tranche) in cambio dell’impegno a trattenere “con ogni mezzo”, come recita l’articolo 3 del suddetto accordo, coloro che provavano ad entrare irregolarmente in Europa.
Gli arrivi in Germania, attraverso la Balkan Route o in Italia dalle coste libiche ed egiziane, effettivamente diminuirono ma le persone, con mezzi di fortuna, continuarono a partire e a morire spesso, tentando di arrivare nelle isole greche. Nel 2019, nel campo di Moria c’erano quasi 20 mila persone in un’isola a forte vocazione turistica che aveva una popolazione di quasi 80 mila abitanti. Una bomba perennemente in cui avvenivano continuamente fatti semplicemente inaccettabili: aggressioni ai rifugiati da parte di bande neonaziste per nulla contrastate dalla polizia, bambini che si suicidavano, denutrizione e malattie contagiose, una condizione di violenza che sembrava inarrestabile. Chi provava a uscire dal campo, ad arrivare al porto di Mitilene per imbarcarsi di nascosto e raggiungere la terraferma, subiva prima pestaggi poi l’arresto e il trasferimento in carcere. Nell’assoluto silenzio dell’UE e del nuovo governo di centro destra greco (per cui il problema era solo dell’isola e dell’Unione Europea), questo inferno dei vivi è andato avanti fino a pochi giorni fa, quando una serie di incendi dolosi, per cui sono stati accusati 5 richiedenti asilo (di cui due minori non accompagnati) ma su cui grava anche il sospetto verso le organizzazioni fasciste, ha completamente reso inabitabile il campo, lì dentro si consumava ogni tipo di sofferenza. Alla violenza esterna si è sommata quella interna, costituita da vere e proprie gang che nella disperazione si contendono i pochi aiuti.
L’emergenza covid-19 è calata come una mannaia. Pochi e insufficienti gli interventi di protezione sanitaria, impossibile applicare il distanziamento e garantire le norme igieniche richieste, al punto che al primo caso di positività, di inizio settembre, la polizia ha circondato il campo da cui nessuno poteva più uscire e in cui diventava impossibile entrare.
Ci sono state manifestazioni nel campo, tentativi di sbloccare l’isolamento e di chiedere il trasferimento almeno delle persone più vulnerabili, ad Atene o nelle altre città greche ma non c’è stato nulla da fare.
Di fatto, siano stati i fascisti o i migranti esasperati, la distruzione del campo ha costretto UE e governo greco ad agire. Ma nella maniera giusta?
La prima risposta è stata puramente repressiva, come racconta Nawal Soufi, attivista italo marocchina che da anni segue le vicende di Moria. Il 12 settembre i rifugiati hanno lanciato una manifestazione per chiedere di poter essere soccorsi e di lasciare l’isola, la polizia ha risposto con i lacrimogeni e da alcuni aerei sono partiti i getti d’acqua nei confronti di persone già prive della possibilità di cambiare i propri vestiti, neonati compresi.
Poi è giunta la proposta europea di creare un nuovo campo, “più moderno” sempre a Lesbo, a 3 km da Moria. L’UE ha dichiarato disponibilità a finanziare la tendopoli e a sostenere il governo greco a condizione che nessuno lasci l’isola. La tendopoli provvisoria è stata realizzata ma di moderno ha ben poco. Ed è peggiorata la situazione delle famiglie di profughi che negli anni scorsi, anche lavorando, erano riusciti a trovarsi una casa in affitto nella città, fuori dal campo. Oggi se vengono trovati a far la spesa o a cercare lavoro rischiano il linciaggio e le aggressioni da tempo non le conta più nessuno.
406 minori non accompagnati, sono stati trasferiti su terraferma, per altri complessivi, 400 è giunta la disponibilità all’accoglienza da Francia, Germania ed Italia, forse – il condizionale è d’obbligo – poche altre decine di vulnerabili verranno, chissà quando, presi in carico dall’Olanda e da altri paesi mentre l’Austria ha immediatamente dichiarato che nessuno potrà entrare nel proprio territorio.
Intanto sono aumentati i contagi covid accertati – almeno una ventina – al punto che l’area intera rischia di diventare una sorta di carcere a cielo aperto in cui è impossibile assicurare i soccorsi.
Il sostegno è giunto pressoché unicamente dagli attivisti e dalle realtà non istituzionali. Il 14 settembre è partita una petizione via change.org (https://www.change.org/firemoriacamp ) con cui si chiede l’apertura di corridoi umanitari per fare in modo che i richiedenti asilo possano trovarsi in sicurezza.
Una petizione simile è stata lanciata da una suora scalabriniana che ha scritto: «Sono Leticia, una suora scalabriniana (messicana) che vive in Spagna. Ieri dall’America Latina è stata redatta una lettera al Parlamento europeo, chiedendo corridoi umanitari per le persone a Lesbo. Questo documento è stato inviato alle rispettive autorità, alle Nazioni Unite e in Vaticano. La richiesta di allontanare le persone dall’isola è globale». Un altro testo – più ne giungono e meglio è – è stato elaborato da un gruppo di intellettuali fra cui Etienne Balibar. Si rivolge anche ai parlamenti nazionali, a quello che resta dell’associazionismo democratico, alle forze politiche. La richiesta è la stessa: “evacuazione immediata dell’isola, di tutte e tutti i rifugiati e un piano comune dell’UE per affrontare il problema».
Sono soluzioni di emergenza e utili solo a tamponare la falla e a salvare qualche vita. Se passano le ipotesi repressive secondo cui, in Grecia come in Italia, si dovrebbero creare strutture di reclusione con il pretesto della pandemia, oggi da Moria piangeremo e in maniera ipocrita, centinaia di vittime. Non è questa la soluzione ma o l’Agenda sull’Immigrazione prende atto del proprio fallimento e volta radicalmente pagina, o di vicende di questo tipo se ne riprodurranno in continuazione