Il discorso con il quale il nuovo Presidente del Consiglio italiano si è presentato alle Camere per ottenere la fiducia ha lasciato intravedere alcuni dei punti di riferimento che potranno guidarne l’azione sul piano europeo ed internazionale, ma ha lasciato indeterminate molte questioni concrete.
Draghi ha riaffermato i due riferimenti ideologici principali, europeismo e atlantismo, e ha richiamato all’ordine Salvini sulla questione dell’euro, riaffermandone l’irreversibilità. In più di questo ha accennato alla necessità di sostenere il processo di integrazione europea sostenendo l’ipotesi di un ministero del bilancio comune ai paesi dell’eurozona che ne integri la gestione delle risorse finanziarie. Un passaggio che avrebbe effetti rilevanti in termini di sovranità dei singoli Paesi.
Draghi ha anche richiamato la necessità di uno stretto collegamento con Francia e Germania riconosciuti in quanto tali come i paesi-guida dell’Unione. Già questa indicazione lascia intravedere una Unione in cui si afferma una gerarchia di potere, nella quale l’Italia anziché proporsi come punto di equilibrio tra le varie aree politiche ed economiche si schiera come socio minore dei due Stati dominanti. Un posizionamento che potrebbe essere oggetto quantomeno di discussione e di critica.
Il Presidente del Consiglio, pur essendo stato incoronato come uno dei padri fondatori dell’Unione Europea, in quanto “salvatore” della moneta unica dopo la crisi finanziaria del 2008, seguita da quella dei debiti sovrani di alcuni paesi (crisi di cui è stato in parte egli stesso responsabile avendo contribuito ad imporre politiche di austerità che hanno rischiato di far tracollare l’intera eurozona), non ha detto molto di più sul ruolo che il governo italiano intenderà svolgere nella fase politica che si è aperta a livello europeo.
Sembra evidente che l’attuale crisi e la sua gestione avrà per alcuni aspetti una funzione “costituente” rispetto al ruolo futuro dell’Unione Europea e dell’eurozona in particolare, sia rispetto alla distribuzione di sovranità fra essa e i singoli Stati, sia nella sua collocazione a livello globale.
Le parziali innovazioni del “sistema Europa”
Rispetto alla gestione della crisi derivante dalla pandemia il sistema europeo ha operato con alcune azioni innovative di un certo rilievo. La prima iniziativa è venuta dalla BCE, ampliando l’intervento a copertura dei debiti degli Stati nazionali, resi necessari dai vari blocchi di attività conseguenti alla diffusione del Covid19. Gli acquisti della BCE hanno coperto praticamente l’intero extra-debito deciso dal Governo Conte nel 2020 e le previsioni degli analisti indicano che è in grado di farsi carico dell’intero eventuale debito aggiuntivo si rendesse necessario nel 2021 (si veda in proposito l’ultimo report del centro ricerche dell’Amundi, la più grande società di gestione del risparmio privato in Europa).
La seconda importante iniziativa del sistema Europa è stata quella di introduzione del debito comune, prima sempre osteggiato dalla Germania (se non per piccole quantità di scarsa rilevanza), collegato all’idea che l’Unione debba evitare il collasso di Stati nazionali per un eccesso di debito sovrano, per le ricadute che questo avrebbe sul sistema produttivo degli altri Paesi. In questo modo l’intervento a favore dei singoli Stati muta la propria caratteristica rispetto a quello improntato dai vincoli della troika che avevano dominato la crisi precedente. Abbiamo già avuto modo di sottolineare come questo sia stato il frutto di un mutamento di opinione intercorso nelle classi dirigente tedesche, in relazione al timore che la Germania restasse isolata nello scenario internazionale caratterizzato dal crescente conflitto USA-Cina. La stessa Commissione Europea, nel prefigurare un impegno al rafforzamento dell’euro quale moneta di scambio globale, ha valutato l’accensione dei debiti in euro necessari per finanziare il Next Generation EU come uno degli strumenti utili a valorizzare questa funzione internazionale di scambio della moneta unica europea. Il che tenderebbe a ritenere che vi sarà una spinta, Paesi “frugali” permettendo, per rendere permanente il meccanismo dell’indebitamento comune.
La terza azione rilevante, ma solo temporanea, è quella relativa alla sospensione del patto di stabilità e quindi dall’indicazione dei noti livelli “ottimali” di debito e deficit massimo (60% il primo e 3% il secondo), per la quale si ha finora la certezza che non rientreranno in funzione per tutto il 2021, come risulta dalla recente comunicazione scritta di Dombrovskis all’ex Ministro dell’Economia, Gualtieri.
Quale futuro per i debiti pubblici
Nel frattempo si è aperto un dibattito proprio sulla questione delle dimensioni e della gestione dei debiti pubblici. E’ di qualche giorno fa la pubblicazione di un “working paper” da parte di Olivier Blanchard e altri economisti, nel quale si ipotizza di superare i vincoli numerici per passare ad una indicazione di standard. Ovvero gli interventi della Commissione sui singoli Stati non sarebbero frutto di automatismi, ma di una valutazione più flessibile della sostenibilità del debito. Blanchard è stato uno dei protagonisti della vicenda greca, negli anni passati, quindi la sua presa di posizione non poteva passare inosservata. Dall’altra parte dell’Atlantico, il nuovo Ministro del Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, in una video-intervista rilasciata al New York Times, ha spiegato che il problema del debito pubblico deve essere considerato non guardando al suo valore assoluto in relazione al PIL, quanto all’evoluzione dei tassi di interesse e la loro sostenibilità.
Questi mutamenti nell’azione del sistema Europa non possono essere sottovalutati e dimostrano che al di là della rigidità formale dei Trattati, le classi dominanti possono introdurre mutamenti significativi nell’azione politica reale. Nello stesso tempo, deve essere chiaro che tutto ciò non modifica l’impianto liberista di fondo che caratterizza l’assetto dell’Unione Europea, così come si è andato definendo con il Trattato di Maastricht prima e quello di Lisbona poi. Da un lato, i Trattati possono tornare ad essere interpretati rigidamente, qualora vengano spinte che ne mettano in discussione l’assetto fondamentale, e restare flessibili quando le classi dominanti abbiano bisogno di politiche fiscali e monetarie più tolleranti per difendere profitti e rendite o per competere sul piano globale. Anche per quanto riguarda le politiche di austerità, che al momento sono parzialmente disinnescate, non si può escludere anche un repentino cambiamento di indirizzo, qualora si modifichi il contesto economico e politico.
A proposito del contesto globale, l’Unione Europea sta cercando di definire il proprio ruolo. Il concetto fondamentale sul quale è aperto il dibattito è quello della “autonomia strategica”, ovvero la capacità di agire anche al di fuori del contesto dell’alleanza “atlantica”, intesa in gran parte come subordinazione alla leadership degli Stati Uniti. L’autonomia strategica, che in sé può essere considerata positiva, ha anche degli aspetti che invece non lo sono altrettanto, come il rischio di una ulteriore militarizzazione dell’Unione.
Il pericolo di una “nuova guerra fredda”
L’Europa dovrà decidere se aderire o meno a quella che si presenta come una nuova “guerra fredda” ideologica, alla cui guida intendono porsi gli Stati Uniti di Biden. I nemici vengono individuati nella Russia e nella Cina. In realtà la Russia si configura come un rivale che può essere fastidioso per alcuni aspetti per le classi dominanti occidentali, ma non ha certo una dimensione economica, finanziaria, tecnologica e nemmeno militare tale da poter impensierire davvero il mondo “occidentale”. L’Unione Europea è divisa fra posizioni che tendono a salvaguardare elementi di interazione economica, soprattutto per quanto riguarda l’acquisto di materie prime (ad esempio Nord Stream 2), ed altre che invece spingono pericolosamente per acuire le tensioni, come quelle di alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale guidati da formazioni di destra anti-russa. Gli Stati Uniti sembrano invece ancora condizionati da una forte corrente ideologica russofoba interna che trova ampio ascolto nella Amministrazione Biden.
Ben più seria la questione cinese, perché siamo in presenza di uno Stato che per dimensioni e dinamicità è in grado di diventare in pochi anni la più grande potenza economica del mondo sopravanzando gli Stati Uniti.
Con la firma dell’accordo sugli investimenti, fortemente voluto dalla Germania ma supportato anche dalla Francia, non a caso siglato a fine 2020, prima dell’insediamento di Biden alla Casa Bianca, l’Unione Europea sembra, per ora, volersi sottrarre alla nuova campagna ideologica sollecitata da oltre-atlantico. Una decisione, quella della firma, che ha sollevato un fuoco di critiche in tutto il mondo dei commentatori e analisti dei think-tank di qua e di là dall’oceano. La Commissione Europea ha in questi giorni rilanciato anche la sua visione “multilateralista” dell’assetto globale, ma è evidente che dietro a questa definizione si possono collocare politiche molto diverse.
Draghi nel suo discorso ha citato molto en passant Cina e Russia, ma al momento non sappiamo ancora come si schiererà in questo confronto. Né risulta, stando ai resoconti della stampa internazionale, che nel primo incontro con Biden sulla sicurezza, svoltosi nei giorni scorsi, la sua voce si sia fatta notare per affermazioni di un qualche rilievo.
Opportunità per la sinistra in un contesto instabile
La situazione complessiva continua a presentare forti elementi di instabilità, il che dovrebbe anche lasciare più spazio per le iniziative delle forze di sinistra che si propongono, in Italia e a livello europeo, di sostenere una visione alternativa a quella dominante.
Al momento sembrano avere perso peso le tendenze che puntavano sul ritorno a forme di sovranità nazionale come unico terreno sul quale poter riequilibrare i rapporti di forza tra capitale e lavoro. Nessuna forza politica di sinistra radicale di una qualche rilevanza ha sostenuto che dalla crisi derivante dalla pandemia si dovesse uscire rompendo il contesto dell’integrazione europea. La campagna di opinione che si è riconosciuta nel cosiddetto “Piano B” (l’uscita dall’eurozona come possibile esito per una mancata revisione delle politiche europee) è praticamente scomparsa dal dibattito.
La principale iniziativa politica comune attualmente in corso in Europa è quella sulla proprietà e disponibilità del vaccino che non può essere trattato come una qualsiasi merce affidata alla benevolenza del mercato e delle grandi imprese del settore. Su questo tema l’azione del gruppo di sinistra nel Parlamento Europeo si è rivelata particolarmente utile e determinata e sta cominciando ad aprire qualche varco nell’opinione pubblica. Ad essa è collegata l’Iniziativa dei Cittadini Europei, di cui si è ampiamente parlato su questo sito, e che dovrebbe consentire di accompagnare il conflitto istituzionale e la critica molto forte alle scelte della Commissione della Von der Leyen (critiche ampiamente condivise in molti ambienti politici) con un’azione sostenuta dal basso.
Altro tema sollevato a sinistra, ma sul quale non vi è ancora un orientamento comune, riguarda la possibile cancellazione del debito pubblico che gli Stati hanno dovuto sostenere per far fronte alla pandemia, e che è attualmente detenuto dalla BCE. La Lagarde ha dichiarato che tale ipotesi è resa impossibile dai Trattati, ma abbiamo visto che se i Trattati non cambiano, la loro interpretazione è molto più flessibile, quando necessario. Il tema ha sollevato un largo dibattito in Francia ed è stato fatto proprio soprattutto da Melenchon, impegnato nella sua lunghissima campagna elettorale per le presidenziali francesi del prossimo anno. Non esiste al momento, anche a sinistra, una convergenza di opinioni sull’utilità di tale proposta che ha quantomeno il merito di aprire un discorso sulla gestione del debito pubblico.
Resta invece per ora insufficiente, mi sembra, l’aggiornamento al mutamento di fase di una visione autonoma e alternativa della sinistra radicale, a livello europeo, sull’insieme di contraddizioni e di problemi che le iniziative del sistema Europa hanno messo in evidenza.