di Roberto Musacchio – Mai come adesso è necessario che si discuta sulle scelte da fare. Per riparare agli errori commessi. Per non continuarli. Per prendere un’altra strada.
Abbiamo, tutti quanti e drammaticamente, toccato con mano cosa è significato aver tagliato, smembrato, privatizzato il servizio sanitario nazionale. Cosa facciamo ora? Continuiamo come prima o c’è finalmente un Piano Nazionale di rilancio, ripubblicizzazione, riorganizzazione del Servizio tornando allo spirito ed alla lettera della 833, la riforma sanitaria?
E pensiamo di continuare nella feudalizzazione della autonomia differenziata o di riprendere il filo dello Stato ordinamento e del regionalismo spezzato con la “riforma” del titolo V?
La fase due ci ha fatto toccare con mano ciò che sapevamo e cioè che il trasporto pubblico locale e per pendolari sta messo male, a volte malissimo. Ma un conto era prendere bus o treni strapieni ma senza virus. Un conto è oggi.
Questo trasporto pubblico locale e per pendolari è stato “sacrificato” all’altare della Tav che si è mangiata circa 240 mila miliardi delle vecchie lire. Ora le frecce sono ferme o quasi. Ma andare a lavorare con i trasporti pubblici è problematico. Che facciamo, andiamo avanti con la Tav o dirottiamo i soldi dove servono?
La pianura padana si è dimostrata un’insostenibile miscela di cemento, inquinamento, fabbriche e carico agrozootecnico. Ripartiamo da lì, come prima o lì ci dedichiamo ad una grande bonifica e ripensiamo l’Italia?
Il Sud ha subito meno il virus. Aspettiamo a sapere cosa è successo ma intanto una “arretratezza” può essere trasformata in risorsa. Che senso ha allora togliere la clausola del 34% dei fondi garantiti al Sud e spostare anche i fondi europei dedicati? Oltre che una ingiustizia, è un errore che perpetua quello storico della questione meridionale.
Veramente pensiamo che si debba continuare a produrre armi o bisogna convertire in materiali per la salute e la sicurezza?
Di fronte al crollo economico l’equità fiscale non è la prima risorsa economica e morale? Allora cosa si aspetta a fare una patrimoniale e a combattere l’evasione e i paradisi fiscali delle multinazionali e della finanza?
La UE si è dimostrata per quello che è e cioè un affastellamento di nazionalismi tenuti insieme dall’egemonia ordoliberista. Se non facciamo ora l’Europa vera, quando?
Ma veramente l’azione della sinistra, dei movimenti, degli intellettuali è quella di partecipare al solito gioco del meno peggio, dei baciamo i rospi?
Non ci sarebbe da fare ben altro e cioè costruire una grande discussione pubblica che faccia verità e giustizia sul perché siamo ridotti così e sul famoso “che fare” per noi, il Paese, il mondo?
Anche perché il nuovo presidente di Confindustria ha già detto cose molto chiare e concrete, via il contratto nazionsle, vi dovete adeguare a noi e darci tutti i soldi.
Loro la lotta di classe non l’hanno mai smessa. E noi, cosa aspettiamo?