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Le elezioni al tempo delle “sardine”

di Franco
Ferrari

di Franco Ferrari –

Che giudizio si può dare del “movimento delle sardine”, sorto dalla convocazione di un flash mob in Piazza Maggiore a Bologna in coincidenza con l’apertura ufficiale della campagna elettorale in Emilia-Romagna da parte di Matteo Salvini? Il successo di Bologna si è ripetuto a Modena e presumibilmente dovrebbe rinnovarsi anche in altre città emiliano-romagnole e trovare imitatori in altre parti d’Italia.

L’iniziativa, partita senza una convocazione ufficiale di partiti o altre organizzazioni, ha avuto un carattere almeno inizialmente spontaneo e si è calata nel contesto di una difficile campagna elettorale che vede l’assalto della destra al potere regionale del PD. Evidenti le implicazioni locali per un passaggio a destra di quella che – un tempo – poteva vantarsi legittimamente di essere una Regione “rossa” ma altrettanto chiare a tutti i protagonisti le implicazioni per lo scenario nazionale. Il PD, già sotto attacco da parte di Renzi che ha promesso di svuotarne il consenso, reggerebbe difficilmente ad una sconfitta di tale portata. E da questo ne discenderebbe il rischio di far saltare gli equilibri di governo, già abbastanza precari, essendo nato dalla somma di più debolezze.

Non è facile prevedere l’esito del voto emiliano-romagnolo. Sulla base del dato europeo il centro-destra è avanti rispetto al PD e ai suoi alleati di diversi punti percentuali, ma nelle elezioni regionali si intrecciano valutazioni diverse di ordine locale e nazionale. Se il potere in Emilia-Romagna può ancora essere definito “rosso” solo se si soffre di daltonismo politico, resta il fatto che la Regione presenta dati economici sicuramente fra i migliori in Italia e la struttura amministrativa mantiene ancora un discreto livello qualitativo, pur con una certa tendenza ad una crescente autoreferenzialità che la rende assai più permeabile e permeata dai vari poteri economici.

I sondaggi offrono risultati contraddittori e in questo momento vanno considerati ancora poco attendibili. La campagna del Presidente uscente Stefano Bonaccini (dato fino a poco tempo fa come renziano d’assalto, dopo essere stato bersaniano e d’alemiano, insomma uomo più di pronta carriera che di saldi principi) puntava sui dati macroeconomici positivi, sulla “buona amministrazione” in particolare nella sanità e sulla difesa dell’identità emiliano-romagnola dalle brame degli invasori leghisti. Si guarda bene dal trasformare il test regionale in una contesa nazionale ritenendo che l’identificazione con il PD possa portare più danni che benefici. È già pronta per altro una “narrazione”, di evidente impronta renziana, secondo la quale se Bonaccini vince è merito suo, se perde è colpa del PD1.

Salvini da parte sua si è mosso su due piani non sempre coincidenti. Da un lato l’attenzione ai problemi locali anche minuti per mettere in evidenza le carenze dell’avversario e raccogliere tutto lo scontento che si può trovare in una Regione che resta ricca ma che è diventata più diseguale. Dall’altro lo scontro apocalittico, la “liberazione” dell’Emilia-Romagna, la caduta dell’ultimo “muro” e così via. Una sorta di revanscismo quarantottesco (nel senso di 1948), l’evocazione del fantasma dei Comitati Civici di Luigi Gedda, la rivincita definitiva di Don Camillo contro Peppone, in attesa del ritorno di qualche Madonna piangente.

Fra il “tutto va bene Madama la Marchesa” di Bonaccini e l’annuncio dell’Armageddon salviniano, rischiano di restare fuori dalla competizione i problemi reali e le effettive situazioni di disagio che, se si scrosta un po’ la propaganda, rendono meno luccicante il quadro dell’Emilia-Romagna. Se prendiamo una realtà come quella di Parma, seconda città più ricca in Regione dopo Bologna e ai primi posti anche nella graduatoria nazionale, la Caritas ha fatto presente pochi giorni fa come vi siano 32.000 persone che vivono in condizioni di povertà relativa e oltre 350 sono stati gli interventi di emergenza per chi è rimasto senza casa2.  Le stesse statistiche regionali confermano che la povertà relativa in Regione non è diminuita nonostante il miglioramento economico, al contrario si registra ancora una crescita, se pur lieve3. La precarietà e lo sfruttamento crescono, spesso sfruttando l’inganno delle false cooperative, favorite guarda caso anche dal Jobs Act4. Per non parlare della situazione ambientale: “aria sempre più irrespirabile” sintetizza la Lega Ambiente5. Tutti questi elementi di realtà rischiano di restare fuori dal dibattito pre-elettorale, polarizzato tra Bonaccini e Bergonzoni, pur con la lodevole eccezione degli interventi del candidato Presidente dell’Altra Emilia-Romagna, Stefano Lugli.

È in questo scenario che hanno fatto irruzione le ormai note “sardine”. Si tratta di un movimento dai tratti ancora poco definiti. Su un punto la mobilitazione è chiara: il rifiuto della propaganda leghista e di tutti gli elementi di xenofobia, omofobia, autoritarismo che essa contiene. Sicuramente la prima molla che ha mosso i partecipanti ai flash-mob è il timore di una presa del potere leghista in Emilia-Romagna, percepita come il crollo di un “diga”, resa per altro sempre più fragile dalle politiche del PD, che potrebbe travolgere gli equilibri democratici e costituzionali in tutto il Paese.

Un risultato certamente l’hanno ottenuto e non va sottovalutato: avere rubato la scena mediatica ai messaggi di Salvini, averlo in una certa misura oscurato e posto sulla difensiva, almeno per ora. Così come hanno portato po’ di conforto psicologico in una situazione politica che sembrava ormai destinata ad un esito inevitabile, l’arrivo di una destra radicale di stile populista al governo nazionale.

Ma, dato alle “sardine” ciò che è delle “sardine”, occorre tenere la mente aperta ad una valutazione che veda anche i possibili limiti di questa mobilitazione. Il più immediato è l’elemento temporale. Mancano più di due mesi alle elezioni e l’enfasi mediatica attorno a un fenomeno come questo in genere si esaurisce presto. Non sarà facile garantirne la durata. Per stare nella metafora ittica, il pesce in genere non resta fresco per molto tempo.

Il secondo rischio è che il suo orizzonte sia limitato al momento elettorale dell’Emilia-Romagna e che venga assorbito nella campagna elettorale del PD, che già sta cercando di condizionarlo e di trasformarlo da movimento unitario di opposizione alla destra, quale può essere, in iniziativa di sostegno alla Giunta uscente e alle sue politiche. Questo esito può essere favorito dalla modalità stessa con cui si articola l’iniziativa. Sostanzialmente senza obbiettivi concreti che qualifichino il no alla Lega.

Il terzo rischio, quello più grave, è la sua possibile inefficacia rispetto all’obbiettivo che si propone, fermare l’avanzata della destra. Qui si apre il tema, a tutt’oggi irrisolto, come risulta evidente dall’evoluzione dei rapporti di forza sanciti dalle elezioni e confermati dai sondaggi, di quale strategia politica possa fermare la destra e invertire la tendenza nel paese. Non si può pensare evidentemente che basti mobilitare chi, già o ancora, si oppone alla Lega. Occorre evidentemente riconquistare elettori, soprattutto dei ceti popolari, che oggi si schierano con la destra. Questo presuppone di disarticolare il blocco sociale ed elettorale che la destra sta consolidando, intervenire sulle contraddizioni e i problemi sui quali la destra fa leva e trae il suo consenso e formulare risposte politiche che spingano in direzione chiaramente alternativa.

Nemmeno in Emilia-Romagna questa chiara contrapposizione di interessi sociali e di prospettiva di società si è riscontrata con evidenza date le convergenze esistenti tra destra e PD sull’autonomia differenziata, su un modello di crescita economica fondata sulla moltiplicazione di strade e autostrade, sull’eliminazione dei controlli sullo sviluppo urbanistico del territorio (che in Consiglio regionale ha visto uniti PD e Lega), sulla crescente libertà di sfruttamento da parte delle imprese.

In Emilia-Romagna non si sta difendendo un modello di governo che ormai non esiste più. Il Muro come lo intende Salvini qui non c’è mai stato, ma un “muro” inteso come costruzione di una visione solidale dello sviluppo economico e sociale e di tutela e rappresentanza delle classi popolari, questo invece ha fatto parte della storia della Regione. Il problema è che questo “muro” hanno cominciato a demolirlo proprio coloro che dovevano difenderlo e ora si accorgono che potrebbero restare sepolti sotto le sue macerie.


  1. https://www.linkiesta.it/it/article/2019/11/19/emilia-romagna-lega-pd-stefano-bonaccini-salvini-zingaretti-borgonzoni/44412/.[]
  2. https://parma.repubblica.it/cronaca/2019/11/08/news/parma_rapporto_poverta_-240562461/.[]
  3. https://statistica.regione.emilia-romagna.it/documentazione/pubblicazioni/documenti_catalogati/report-consumi-poverta-emilia-romagna-2019.[]
  4. https://www.glistatigenerali.com/cooperative_precari/lavorazione-delle-carni-dove-le-false-cooperative-sono-la-regola/.[]
  5. https://www.ravennanotizie.it/politica/2019/01/22/dossier-malaria-2019-legambiente-aria-sempre-piu-irrespirabile-in-emilia-romagna-3/.[]
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3 Commenti. Nuovo commento

  • antonia sani
    24/11/2019 19:49

    siamo partiti dalla bolognina….

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  • Lucio Sibilia
    26/11/2019 9:51

    La cosiddetta “sinistra” in Italia si è acriticamente allineata al pensiero unico diffuso dai media mainstream angloamericani, senza rendersi conto che così facendo dimenticava i problemi locali, le esigenze della popolazione, la sciagurata subordinazione all’EU, cioè alle elite finanziarie globali, con tutte le sue conseguenze.

    Rispondi
  • Bisogna costruire un blocco sociale che sia in grado di portare in avanti i valori della sinistra anticapitalista;sperando che nessuno si spaventi a tali progetti. Dicendo (ANTICAPITALISTA).

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