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L’apocalisse nelle campagne 1931-1933

di Luciano
Beolchi

Il Plenum del CC del PC(b)R del dicembre 1930 stabilì che entro l’anno successivo in Ucraina, Caucaso del Nord, Basso Volga e Volga Centrale si sarebbero dovute collettivizzare l’80% delle terre; e il 50% nella Terra Nera Centrale, Siberia, Urali, steppe dell’Ucraina e Kazakhistan. Quando i siberiani si mostrarono riluttanti, Stalin replicò che il 50% era un obiettivo minimo.

Mentre la disoccupazione dilagava in tutto il mondo capitalista, la Russia si avvicinava a realizzare la piena occupazione. E tuttavia anche in URSS c’era chi proponeva di rallentare il ritmo di crescita anche per mettere ordine.

Tra questi c’era anche il responsabile dell’economia Orjonokidze che si espresse in quel senso alla Conferenza del Personale Direttivo dell’Industria Socialista (Mosca, 30 gennaio-4 febbraio 1931). Stalin intervenne l’ultimo giorno e disse che non se ne parlava neanche. Era una questione storica. La Russia era sempre stata indietro e aveva pagato questa sua arretratezza ed era stata picchiata e picchiata e picchiata. Per colpa di quella sua arretratezza. Cent’anni indietro rispetto ai paesi avanzati.

“Bisogna colmare questo salto in dieci anni. O ci faranno fuori”. Per demagogico che fosse, questo discorso s’incontrò con la storia, perché proprio dieci anni dopo la Germania attaccò l’URSS e l’URSS era pronta. Nel complesso furono dekulachizzate 5 milioni di persone e almeno 30.000 capifamiglia giustiziati.1 Le deportazioni interne cominciarono nel maggio 1931.

In origine, il Piano Quinquennale aveva previsto per il 1931 un raccolto di 96 milioni di tonnellate di grano, molto più grande delle migliori annate pre-rivoluzionarie. Probabilmente non si arrivò a 60 milioni2. Nel 1931, una primavera fredda seguita da un’estate siccitosa danneggiò il raccolto: una combinazione fatale.

Nel maggio 1931, anche se Stalin scriveva a Enukidze che a Mosca c’era bel tempo e non pioveva quasi mai, ma si aspettava un buon raccolto. Non c’era ancora a livello centrale la percezione della crisi imminente. In giugno questa percezione cominciava a formarsi perché Stalin ribadì: nessun passo indietro.

Quando cominciò il razionamento nelle città?

Voroscilov viaggiò per due mesi in tutta la Russia nell’estate del 1931 e scrisse a Stalin di averne tratto grande beneficio.

Nei sei mesi fino all’agosto 1931, Stalin ricevette 13.000 lettere private, tutte regolarmente protocollate e classificate. A 314 rispose direttamente: in genere quelle dei conoscenti, specie se domandavano aiuti, quelli che proponevano innovazioni scientifiche, quelli sulla teoria M-L e quelli che rivelavano abusi di funzionari.

La corrispondenza estiva rivela che a quella data a Stalin era già nota la disgraziata situazione alimentare, perlomeno in Georgia. “Ora mi è chiaro – scrive a Kajanouch – che Kartvelishvili e il segretariato del CC georgiano hanno portato un certo numero di regioni della Georgia Occidentale alla carestia, con la loro sconsiderata politica di raccolta del grano” [harvest gathering]. Per rimediare a quella situazione inviò Mikoyan in Georgia Occidentale, ma individuava il problema nel metodo di raccolta, non nei prelievi forzati o nella collettivizzazione medesima.

La lotta contro il sabotaggio dei kulak

Si è detto che il raccolto ufficiale del 1930 era stato di 83.5 milioni di tonnellate (in realtà 70-77) e che quello dell’anno successivo sarebbe stato di 57/65 milioni, con una prevedibile massiccia riduzione delle esportazioni e dunque dell’entrata nel paese di valuta pregiata, che era la chiave di tutto il meccanismo d’industrializzazione. Stalin, tuttavia, continuava a scagliarsi contro il liberalismo dei kulaki e contestualmente intensificava la lotta anticlericale (o persecuzione religiosa secondo un altro punto di vista). Tuttavia, concesse, sempre controvoglia, una lieve riduzione del prelievo di grano per il Volga, Urali, Siberia e Kazakhistan, le regioni fino a quel momento maggiormente danneggiate dalla siccità. È da supporre che quella riduzione di prelievo riguardasse il raccolto estivo del 1931.

Ancora il 31 ottobre 1931, Mikoyan annunciava al CC buone prospettive per il raccolto, ma i responsabili locali presero la parola per dire il contrario e che le quote assegnate di prelievo non si potevano realizzare. Oltretutto, i prezzi di ammasso fissato dallo Stato, 5.50 rubli per zsentner3 di segale, contro gli oltre 60 del prezzo di mercato: ma era quanto corrispondeva al prezzo di vendita del pane in città, meno di 10 copechi al chilo, 5 rubli per cinquanta chili. Per il frumento la disparità era ancora maggiore. Ma adesso gli agenti dell’ammasso lasciarono ai produttori – tra l’autunno 1931 e l’inizio del 1932 – meno latticini, grano e carne di quanto gliene avessero lasciato in ogni anno dagli anni Venti. Non era più questione di soldi, ma di fame.

Per quella data, Stalin cominciava a ricevere parecchie lettere che si lamentavano della fame. “Alle riunioni, se provi a parlare, ti trattano da opportunista, compagno Stalin”. Ma Stalin restava il solo baluardo contro la ritirata dalla costruzione del socialismo.

Nel 1931 furono fabbricati 2.000 tank. Il pericolo veniva da Est come da Ovest. Il Giappone con l’occupazione della Manciuria aveva occupato con poche perdite un territorio grande come la Francia, Germania e Austria insieme. Il 19 gennaio 1932, Stalin creò una commissione per la tankificazione dell’Armata Rossa, presieduta a Tuchavevskij; e impose un piano per diecimila tank nel 1932, da affiancare alla creazione di 40-50 divisioni. Era un piano irrealistico che però lui brandiva per forzare l’espansione delle linee di montaggio adattabili a quella fabbricazione nelle fabbriche di automobili e trattori. I modelli furono legalmente acquistati in Inghilterra, insieme alla licenza per la loro produzione.4  Comunque, alla fine del 1932, i russi che fino ad allora non avevano prodotto un solo tank decente, furono in grado di produrre 2.600 tank d’avanguardia. La spesa militare schizzò da 845 milioni a 2.2 miliardi di rubli.

All’inizio del 1932 Stalin riceveva rapporti che la Polonia non cessava i tentativi per destabilizzare l’Ucraina e tentava accordi con il Giappone per attaccare congiuntamente l’URSS.

Comunque, alla fine dell’anno, l’URSS riuscì a firmare con la Polonia un patto di non aggressione della durata di 3 anni, uscendo per la prima volta da quella relazione speciale con la Germania imposta da Versailles agli Stati paria, per quanto si odiassero tra di loro (Voroscilov, 12 marzo 1932 – Lettera all’inviato sovietico a Berlino). O piuttosto, benché i tedeschi odiassero i russi. Nello stesso anno fu firmato un patto di non aggressione con Parigi. Ma i patti di non aggressione si firmano tra nemici: l’URSS non aveva alleati; e patti di non aggressione furono anche quelli conclusi con la Finlandia (21 gennaio 1932), Lettonia (15 febbraio 1932) ed Estonia (4 maggio). Restava fuori la Romania per persistenti divergenze sulla Bessarabia.

Un rapporto interno d’inizio 1932 del Commissariato dell’Agricoltura informava che i lavoratori stavano abbandonando i kolkos a centinaia di migliaia per vagabondare nei siti industriali alla ricerca di cibo. Il Politburo diminuì la razione di pane nelle città per le persone meno prioritarie delle liste di razionamento (numero 2 e 3), un provvedimento che riguardò 20 milioni di persone. E c’era già poco da razionare, ma ogni volta che il Politburo concedeva a malincuore delle riduzioni nel prelievo di grano, ogni volta che riduceva le riserve strategiche, le già basse razioni per i lavoratori dovevano essere diminuite e non c’era grano da esportare: il piano militare-industriale era a rischio e tuttavia procedeva alacremente.

All’inizio del 1932 era stato inaugurato il primo altoforno a Magnitogorsk, un miracolo compiuto in un freddo tremendo, ma anche una forzatura per far coincidere quell’inaugurazione con la XVII Conferenza del Partito. Furono contemporaneamente inaugurati due impianti chimici giganti, il primo stabilimento per l’alluminio e un impianto per cuscinetti a sfera e i primi quattro camion uscirono dalle linee di produzione di Nizny Novgorod. Ma a Magnitogorsk la fornace dovette essere totalmente ricostruita perché sprofondava.

Nella primavera 1932 la delegata Fedorinsteva del Soviet rurale “Soldato” nelle Terre Nere scriveva all’Isvestia “Voi non siete un leninista, compagno Stalin, Lenin diceva: fabbriche agli operai e terre ai contadini e voi che fate? Confiscate non solo la terra, ma le bestie, le capanne e la roba dei contadini medi e poveri… Stalin voi siete il reale e primo trotskista e un discepolo non di Lenin, ma di Trotskij. Ci hanno insegnato al circolo politico che Trotskij voleva costruire il socialismo con la forza. E voi?”.

Di botto, il regime rinunciò alla totale socializzazione del bestiame con un decreto (26 marzo 1932) del Commissario dell’Agricoltura Yanovlov, approvato da Stalin. Molti funzionari locali interpretarono la cosa come una manovra tattica per mettere fine alla fuga dalle campagne e certo non si precipitarono a restituire il bestiame.

Kosior, capo del partito in Ucraina [e membro del Politburo] riportò a Stalin che un quarto dei cavalli della Repubblica erano morti, e i superstiti erano pelle e ossa. A Beresov, in Bielorussia, si assalirono i magazzini di grano e centinaia di donne e bambini avevano manifestato davanti alla locali caserme dell’Armata Rossa, suscitando compassione tra ufficiali e soldati.

Nelle fabbriche tessili della regione di Ivanovo, il dimezzamento delle razioni, insieme all’intensificazione del lavoro, aveva provocato scioperi e assemblee spontanee. Altrove erano stati saccheggiati gli edifici del partito e della polizia.5

La parata del 1° maggio 1932 faceva vedere per la prima volta un esercito sovietico meccanizzato.

Il 4 maggio1932, in una riunione del Politburo, Stalin autorizzò un’altra riduzione del prelievo di grano e accettò la raccomandazione per la creazione di una commissione per l’acquisto di bestiame in Mongolia, Cina Occidentale, Turchia e Iran. Tra 4 e 6 maggio 1932, l’obiettivo di prelievo dalle fattorie collettive e da quelle private fu diminuito da 22.4 milioni di tonnellate a 18.1 milioni. Fu invece aumentato l’obiettivo per le fattorie di Stato (Sovkos) da 1.7 a 2.5 milioni di tonnellate. In totale, il prelievo calava da 24.1 a 20.6 milioni di tonnellate.6 Inoltre il decreto bloccava l’ulteriore liquidazione delle proprietà individuali e ordinava la restituzione del bestiame confiscato e la fine delle illegalità. Una volta soddisfatta la quota di prelievo, i contadini potevano vendere liberamente il loro grano, potevano tenere le loro vacche, coltivarsi i loro orti e vendere il prodotto a prezzi di mercato, anche se la proprietà privata dei mezzi di produzione restava illegale (mucche e orti non si potevano vendere né ereditare). Contemporaneamente, si differenziavano i salari degli operai e si tollerava che le imprese si procurassero i combustibili, materie prime, macchinari e semilavorati “a modo loro”.

Si tentò di far fronte all’emergenza anche con acquisti all’estero. L’8 maggio Stalin telegrafava al Segretario del Partito in Siberia Orientale “Acquistate in Canada 54.000 tonnellate di grano”.

Nella Mongolia esterna si presentava la situazione più delicata. Gli zeloti del partito avevano lanciato una campagna contro il feudalesimo, confiscando proprietà, saccheggiando i monasteri buddisti, uccidendo nobili e sequestrando e collettivizzando il bestiame.

Almeno un terzo del bestiame, la maggiore ricchezza del paese, andò perduto. All’inflazione e alla carestia rispose una rivolta popolare che interessò tre province col rischio che venissero in soccorso i giapponesi. La rivolta fu contenuta e il 16 maggio il Politburo criticò il Partito mongolo ordinandogli di abbandonare la collettivizzazione e di ripudiare pubblicamente il progetto non capitalista nella corrente condizione mongola.

Fu in quel caso quella completa inversione di rotta che Stalin non poteva autorizzare nella Russia Europea, dove l’industrializzazione era in corso e si dovevano comunque sfamare gli operai e leloro famiglie.

È difficile dire se giunti a quel punto, nell’estate del ’32, si potese ancora rimediare alla situazione, “Stalin ha pensato troppo tardi allo scambio con le fattorie collettive” fu la reazione di un lavoratore di Minsk, secondo un rapporto della OGPU, “Se lo avesse fatto nel ‘29-‘30 forse sarebbe andata bene, ma fatto ora non produrrà niente perché i contadini non hanno più niente. È stato distrutto tutto”.

Le riserve di cibo e di mangime erano sufficienti per non più di un mese, con disponibilità minori in Ucraina, Caucaso del Nord e Basso Volga. Uno sconcertato Kuibyshev, – un altro membro del Politburo –i n data 23 maggio 1932, scrisse un rapporto supersegreto proponendo di tagliare le razioni anche per chi godeva di priorità assoluta (lista speciale e lista 1). Il Politburo respinse la proposta, preferendo ridurre le razioni dell’Armata Rossa del 16% e accelerando l’importazione di grano dalla Persia.

Molotov guidò una Commissione ispettiva in Ucraina e concluse (26 maggio 1932) che la situazione era molto peggiore di quanto avevano immaginato, suggerendo di concedere ulteriori “prestiti” di sementi, mangimi e cibo e Stalin autorizzò la distribuzione a Ucraina e Bielorussia di altre 41.000 tonnellate di sementi prelevate dalle riserve strategiche. Questi “prestiti” alla fine avrebbero raggiunto la quantità di 1.267.000 tonnellate nell’arco dell’anno distribuite in tutta l’Unione, circa tre volte la quantità che era stata assegnata nella primavera 1931, nella previsione che già quella quantità sarebbe stata restituita nel 1933 “seme per seme”.

A fine maggio Stalin era partito per le consuete vacanze estive che durarono fino alla fine di agosto. Durante quel periodo la capacità e la quantità di lavoro restavano immodificate, così come l’attenzione scrupolosa per documenti, rapporti, corrispondenza, indicazioni per il partito e per i singoli dirigenti, ma le notizie che gli pervenivano regolarmente erano sempre peggiori.

Dall’Ucraina, il 10 giugno 1932, il fedele Hrihozy Petrovsky gli scriveva: “A causa della carestia gli abitanti di villaggi hanno cominciato a sciamare nelle stazioni… In qualche caso due terzi degli uomini hanno lasciato i loro villaggi in cerca di pane”. Yagoda dava la caccia ai profittatori.

Stalin teneva duro e diede ordine (18 giugno) di convocare i segretari del partito delle principali regioni e repubbliche cerealicole per assicurare “l’incondizionata realizzazione del piano”. Ordinò che la Pravda pubblicasse un editoriale per documentare che quell’anno non più del 20% della produzione arrivava dalle coltivazioni individuali. L’editoriale fu pubblicato il 26 giugno 1932. Quello stesso giorno Stalin concedeva una significativa riduzione dell’esportazione di grano per il terzo trimestre.

In quegli stessi giorni Voroscilov lo ragguagliava sulla produzione del bombardiere pesante sovietico, riportandogli (“Caro Koba”) che c’erano dei difetti e che diversi aerei erano caduti in prova. Stalin gli rispose il 26 giugno “la cosa peggiore sono gli incidenti e la perdita degli aviatori. Al diavolo gli aerei, non è preoccupante come la perdita di vite umane, i nostri aviatori…”.

I capi regionali del partito si riunirono a Mosca il 28 giugno 1932 e Molotov che era diventato il capo del governo lesse loro la severa lettera di Stalin scritta dieci giorni prima: “In Ucraina, nonostante un raccolto non così cattivo, un certo numero di distretti con un buon raccolto si è venuto a trovare in uno stato di rovina e di fame” (in russo Голод, fame, carestia), è il secondo documento in cui Stalin usa questo termine.

Molotov /capo del governo) e Kaganovich (vicesegretario del partito) si limitarono ad approvare una lieve riduzione del prelievo di grano. Stalin intervenne con due telegrammi (1 e 2 luglio) attaccando i dirigenti ucraini e chiedendo a tutti i maggiori dirigenti di partecipare alla preannunciata conferenza del Partito Ucraino. Quella riunione si tenne dal 6 al 9 luglio a Kiev e Kosior (membro del Politburo) disse che in alcune regioni si moriva di fame. Vlas Chubar, capo del governo ucraino e membro candidato del Politburo sfidò Molotov e Kaganovich perché a vedere coi loro occhi, dopodiché Kaganovich scrisse a Stalin che la proposta degli ucraini era stata di rallentare il piano, proposta che loro “loro avevano drasticamente respinto”.

Ma fu proprio Stalin a confermare quanto fosse difficile il loro lavoro, in una lettera del 24 luglio:

“La direttiva del governo che il piano di prelievo di grano nell’URSS sia realizzato incondizionatamente è corretta. Ma considerate che si può fare un’eccezione per i distretti dell’Ucraina che hanno particolarmente sofferto. Questo è necessario non solamente dal punto di vista dell’equità, ma anche in considerazione della particolare condizione dell’Ucraina e della frontiera comune con la Polonia”. Il giorno dopo tentò di nuovo di spiegare il suo voltafaccia, suggerendo che al tempo della conferenza in Ucraina [il mese precedente], non aveva voluto mettere in crisi il prelievo del grano.

La situazione era quella che era, sufficientemente nota.

L’area seminata si era considerevolmente ristretta.

La potenza meccanica, il grano da semina e il mangime erano scarsi.

La stagione primaverile della semina era stata breve e il grano seminato tardivamente a partire dalla fine di maggio produceva sempre raccolti ridotti ed era suscettibile alle piogge di agosto, che sarebbero cadute in modo torrenziale a partire dall’inizio di agosto. Un’epifitosi aveva danneggiato una parte considerevole del raccolto, con grande sorpresa dei funzionari che non l’avevano identificata per tempo. I contadini demoralizzati e spinti a forza nelle aziende collettive trebbiavano e spargevano il letame in modo trascurato, con poca attenzione per il bestiame collettivizzato.

Nel frattempo – c’è sempre un “nel frattempo” in tutta questa vicenda – un rapporto dell’immancabile OGPU al Comitato Centrale sosteneva che le armi moderne, ma anche i più tradizionali fucili e i proiettili di tutti i tipi facevano difetto all’esercito con una percentuale di mancanze variabile dal 10 al 90%, secondo le diverse tipologie di armi, munizioni e attrezzature. Delle 150 divisioni previste, ne potevano essere armati a malapena 50, a voler essere generosi.

Catastrofe estiva 1932

Rapporti, telegrammi e lettere inondavano Soci, con la notizia di morie di cavalli, vuoti nella semina, morti per fame, fuga di massa dalle fattorie collettive e una stupefacente assenza di risposta governativa. La gente mangiava erba, i bambini leccavano i piatti che i lavoratori avevano accuratamente svuotato e mangiavano le lische di pesce della spazzatura.

Lungo tutto l’agosto 1932 la Pravda continuò ad attaccare i kulaki e “speculatori”.

Il grano veniva rubato durante i lenti trasporti in treno o sottratto dai lavoratori stessi che se lo facevano scivolare dentro ampie tasche quando facevano i covoni, trebbiavano o battevano il grano.

Se la proprietà era sacra e inviolabile sotto il capitalismo lo stesso doveva essere per le proprietà di Stato sotto il socialismo. Fu Stalin stesso a scrivere una bozza che introduceva la pena di morte anche per furti minuti del grano delle fattorie collettive.7  Quando poi in Ucraina 50 strutture distrettuali del partito comunistasi pronunciarono contro il prelievo di grano, Stalin esplose dicendo che quello non era un partito ma la caricatura di un parlamento e domandò la testa di Kosior e Chubais, ricordando a Kaganovich che vicino all’Ucraina c’era Pilsudski, il dittatore polacco che non era un sognatore. Il Partito Comunista era pieno di opportunisti, consci o inconsci, e andava ripulito.

E tuttavia nel settembre 1932 quando tornò da Soci, Stalin attenuò le sanzioni previste dalla legge sui furti allo Stato e fece cancellare la pena di morte per i piccoli furti di grano. Il raccolto a quella data si prospettava inferiore ai 60 milioni di tonnellate ma avrebbe potuto essere vicino ai 50 milioni di tonnellate, che era meno di quanto raccolto nel 1921, il tremendo anno della precedente carestia, molto meno dei quasi 70 milioni di tonnellate che ancora i rapporti segnalavano a Stalin come probabile. Metà dei kazachi – due milioni di persone – avevano ripreso tende e animali e lasciato le fattorie collettive. Insieme a loro metà dei funzionari del partito della repubblica avevano disertato. Un rapporto per Stalin dell’aprile 1932 rivelava che la repubblica contava 6 milioni di animali contro 40 milioni nel 1929.

 

In settembre, le disposizioni per il Kazakistan furono modificate consentendo ad ogni famiglia di tenere da 8 a 10 mucche, 100 pecore e capre e da 3 a 5 cammelli, ma s’insisteva che la lotta contro il nomadismo continuava, considerandolo un anacronismo, un retaggio del passato. Quanto al grano, si ridusse il prelievo di altre 47.000 tonnellate, si provvidero aiuti di cibo per 33.000 tonnellate e si rinviò il rimborso dovuto di 98.000 tonnellate di sementi: in tutto circa un quarto dell’originario piano di prelievo che era stato di 800.000 tonnellate. Ma il provvedimento non resuscitava i morti. Alla fine di settembre anche il Caucaso del Nord ottenne una massiccia riduzione del prelievo di 660.000 tonnellate.

L’export sprofondò. In tutto, nel 1932, l’URSS esportò 1.73 milioni di tonnellate di grano contro 5.06 nel 1931 e 4.76 nel 1930; e oltre 9 milioni nel 1913.

Col paese nella stretta della fame, Stalin convocò un altro plenum del CC e della CCC (28 settembre-2 ottobre 1932) dedicato al commercio, ai prodotti di consumo e alla metallurgia del ferro.

Quell’autunno nella notte tra l’8 e il 9 novembre Nadezda Allilujeva, la moglie di Stalin, si sparò al cuore.

Nonostante l’intensificarsi della repressione8, il prelievo di grano a tutto il 1° gennaio1933 era stato di 17.4 milioni di tonnellate, 3.7 milioni in meno che nel 1931, 3 milioni sotto gli obiettivi del piano.

Il plenum congiunto CC e CCC del 7 gennaio 1933 esaltò i risultati ottenuti sul piano industriale.

Il plenum terminò il 12 gennaio. Quello stesso giorno Stalin fece votare al Politburo un’altra riduzione del prelievo di grano in Ucraina, di 457.000 tonnellate. Altre regioni ebbero riduzioni minori. Dodici giorni più tardi furono dimissionati i capi del partito a Odessa Kharkhov e Dnepro, insieme a loro i dirigenti del partito del Kazakistan.

Con decreto del 22 gennaio 1933 si proibì che i contadini abbandonassero le regioni produttive di grano e fu sospesa la vendita dei biglietti dei treni: nelle fattorie collettive in crisi a quella data, nella sola Ucraina, c’erano 17 milioni di persone e la priorità del partito era sfamare le città.

1933 – Carestia e vittoria

Il 7 gennaio 1933, aprendo la seduta congiunta del CC e della CCC, Stalin poteva affermare con legittimo orgoglio: “Non avevamo un’industria del ferro e dell’acciaio. Ora l’abbiamo. Non avevamo un’industria dei trattori. Ora l’abbiamo. E dell’automobile e aeronautica. Ora l’abbiamo”. La crescita era stata portentosa.

Ma metà del paese era alla fame, ossia in metà dell’URSS si moriva di fame e non perché il costo dell’industrializzazione era stato insopportabilmente elevato, ma perché il settore primario non aveva prodotto abbastanza. In valori assoluti, probabilmente meno di quanto aveva prodotto nel 1921. Anche quell’anno c’era stata una tremenda carestia che aveva colpito principalmente le campagne, con identiche scene strazianti, i corpi gonfi, i morti per strada. E in più gli effetti della guerra civile in corso, le devastazioni, i bambini abbandonati per milioni.

A chi si contenta di facili spiegazioni risolutive bisogna ricordare che in quell’anno 1921 non c’erano stati né Stalin, né la collettivizzazione. A chi descrive la tragedia come il consapevole tentativo, da parte di Stalin e dei suoi complici, di sterminare il popolo ucraino, bisogna ricordare che la carestia del 1931-1933 colpì quasi metà della popolazione sovietica, da 50 a 70 milioni di persone; e non colpì solo l’Ucraina, ma tutta la cintura del grano: l’Ucraina, inclusa la Repubblica Autonoma di Moldavia; il Caucaso del Nord (incluso il Kuban, Stavropol e le province del Don), la Media e Bassa Valle del Volga, da Nizny Novgorod a Astrakhan e includendo la Repubblica Autonoma dei tedeschi del Volga, la Regione Centrale delle Terre Nere, ma anche Archangelsk e Vologda nel Nord, gli Urali e la Repubblica Autonoma del Kazakhistan.

Dal 15 febbraio al 19 febbraio al Congresso Pansovietico dei lavoratori d’assalto – su 1.500 delegati, oltre la metà non erano membri né del partito né del Konsomol – Kaganovich aveva sostenuto che per rendere possibile l’industrializzazione e per sventare la minaccia dell’intervento straniero era stata indispensabile la creazione di 200.000 fattorie collettive e 5.000 fattorie di Stato. E soprattutto l’immenso lavoro delle donne, che non andava sottovalutato.

Ma contavano anche altri numeri. Un rapporto (sempre a Stalin) delle OGPU (marzo 1933) segnalava 214.460 persone fermate mentre lasciavano le loro regioni alla ricerca di cibo. 180.000 erano state rinviate al punto di partenza. Si vedevano cadaveri sulla strada, i corpi gonfi dei moribondi d’inedia.

La gente mangiava di tutto, non solo cani e gatti. Esumare carcasse, bollire suole. Le lettere, dei contadini e dei dirigenti di partito, si accumulavano sul tavolo di Stalin.

I 25.000 operai che erano stati chiamati per propagandare la collettivizzazione erano ancora al lavoro, spesso circondati da diffidenza se non di odio. Uno di loro Lev Kopllev, nato nel 19129 ha raccontato la sua esperienza, quando cercava di spiegare ai contadini i sacrifici della classe operaia.

Qualche contadino cercava anche di bruciare i granai pubblici, è un fatto.

Sui giornali, foto di turbine e trattori, sui binari convogli carichi di acciaio. E poi le immagini della carestia. Le reclute che arrivavano affamate, emaciate e smunte ai distretti militari. I bambini che mangiavano a scuola l’unico pasto.

L’8 maggio 1933 il Politburo vietò all’OGPU di applicare la pena di morte; il giorno dopo Stalin e Molotov con una direttiva segreta, il partito e alla OGPU sospesero le deportazioni di massa dei contadini e ordinarono il rilascio immediato dal Gulag dei detenuti per reati minori.

La direttiva spiegava che ulteriori forme di repressione “potrebbero ridurre a zero la nostra influenza nei villaggi”10; ma allo stesso tempo Stalin si complimentava con Kossior che aveva incrementato le repressioni in Ucraina, dicendo che finalmente cominciavano a fare i bolscevichi.

In giugno un certo sollievo cominciò ad arrivare con la maturazione di frutta e verdura: cipolle, frutti di bosco, patate novelle, carote e barbabietole.

Per quell’anno 1933 l’export terminò con 1.68 milioni di tonnellate contro una previsione di piano di 6.2 milioni con un ricavo in rubli oro pari a un quinto del 1930.

Le spese militari quell’anno scesero da 2.2 miliardi di rubli a 2 miliardi.

 

Luciano Beolchi

  1. Stephen Kotkin, Stalin, Vol. II, cap. 2, pag. 75.[]
  2. Nel 2022 la Russia, senza Ucraina e Kazakhstan, ha esportato 40 milioni di tonnellate di grano []
  3. Parola di origine tedesca per un’unità di misura di mezzo quintale circa []
  4. Stephen Kotkin, Stalin, Vol. II, cap. 2, pag. 91.[]
  5. Stephen Kotkin, Stalin, Vol. II, cap. 2, pag. 95.[]
  6. Stephen Kotkin, Stalin, Vol. II, cap. 2, pag. 96.[]
  7. In quei mesi il prezzo statale del frumento, al prelievo, era di 7/8 rubli per 100 kg. Ma il pane in città veniva venduto per 8-12 copechi (centesimi) al kg. praticamente allo stesso prezzo.[]
  8. Stephen Kotkin, Stalin, Vol. II, cap. 2, pag. 114-115.[]
  9. Stephen Kotkin, Stalin, Vol. II, cap. 2, pag. 123.[]
  10. Goliakov, I. T. ed. Sbornik dokumentov no ustoruu ugolovnogo zakonodate’sba SSSR i RSFSR 1917.1952, 335/336-8 maggio 1933, Moscow, Iuridichkaja Literatura.[]
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