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L’antifascismo ipocrita del revisionismo

di Stefano
Galieni

24 aprile 1974, mancavano pochi giorni al referendum del 12 maggio che avrebbe poi confermato il diritto al divorzio. Il socialista Riccardo Lombardi, fra i leader storici della sinistra del partito, avrebbe dovuto partecipare ad un dibattito televisivo con l’allora segretario del Msi-Dn, Giorgio Almirante. Confermando una scelta politica radicale, l’esponente socialista rifiuta di discutere in tv con un fascista, peraltro noto come massacratore di partigiani e giornalista, durante il ventennio, per “La difesa della razza”. La sua poltrona resta vuota e il suo silenzio è più potente di tante parole.
Passano gli anni e un tema fondante per la Repubblica, l’antifascismo, comincia ad essere messo in discussione lasciando trapelare i prodromi di un revisionismo strisciante. Si comincia a parlare, soprattutto con pubblicistica di basso livello, delle “ragioni dei vinti”, e degli orrori compiuti dai partigiani, in primis dai comunisti, fino a quando, nel suo discorso di insediamento alla Presidenza della Camera, Luciano Violante, allora Ds, oggi manager della Leonardo Spa, afferma: ”Mi chiedo se l’Italia di oggi non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri. Non perché avessero ragione, o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le due parti. Bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della libertà”. Un intervento che non genera l’allarme necessario e che scatena l’applauso dei parlamentari di Alleanza Nazionale, cordone di passaggio fra Msi e FdI. Ed è un Paese dimenticante quello che chiude il XX secolo e si approccia al XXI, in cui prevale la voglia di rimuovere uno spartiacque senza aver fatto i conti realmente col passato. Fra competizioni elettorali, pulizie termali a Fiuggi (cfr. svolta di Fini), spostamento a destra del quadro politico, si costruisce lentamente una storia italiana fatta all’insegna della pacificazione e della normalizzazione. Non esiste più il “fattore K” (la distruzione interna del Pci toglie ragion d’essere a chi non lo considerava atto a governare), non esiste più un arco costituzionale in grado di escludere le formazioni di nostalgico fascistume. Si realizzano un “centro sinistra” moderno e proiettato verso il futuro che considera la propria radice comunista una scoria e una destra, “per bene”, da presentare in società e in grado di amministrare Comuni e Regioni, persino il Paese. E della “destra per bene” molte/i conservano un ricordo indelebile durante i giorni del G8 a Genova conclusesi con le macellerie della Diaz e di Bolzaneto, con i funzionari di polizia che nelle suonerie dei cellulari non si vergognavano di avere Faccetta nera.

Ma si era solo all’inizio. A parte le numerose volte in cui, soprattutto su provvedimenti repressivi del dissenso, centro destra e centro sinistra, hanno espresso gli stessi valori e le stesse prospettive, magari con toni diversi – si pensi all’approccio sull’immigrazione, vera e propria cartina di tornasole – quello che comincia ad aleggiare in Italia è una trovata geniale quasi quanto la scoperta dell’acqua calda. “Destra e sinistra” sono concetti novecenteschi superati. Si fa strada anche la rimozione dell’idea stessa di divisioni del Paese in classi. Si insinua, lentamente ma in maniera pervasiva, l’idea di vivere in una comunità unificante, quella italiana, in cui, che tu sia Briatore o un senza fissa dimora, devi sentirti dalla stessa parte.
Il passato non esiste, esiste un presente ed un futuro affidato alle ragioni del libero mercato in cui tutte e tutti troveremo salvezza, redenzione e libertà, come di fronte all’ennesima religione monoteistica. Chi non crede, chi pensa che sia ancora il conflitto sociale il motore della storia va tenuto ai margini, considerato residuale, legato a schemi che non hanno più ragion d’essere. La Lega di Bossi prima e, in maniera ancora più potente il M5S di Grillo e Casaleggio, riescono a costruire egemonia attorno a questa idea di superamento delle categorie, entrambi creano nemici, per la Lega gli immigrati e, all’inizio i meridionali, per il M5S, la “casta” dei politici di professione considerati il male del Paese. E in tanti si subisce passivamente l’idea che il “politico” in quanto tale e soprattutto se lo è di professione, se ha le competenze, è un cancro da estirpare.
A dire il vero i primi a lanciare il messaggio anticostituzionale e qualunquista in tal senso furono i Radicali contro la “partitocrazia”, che portarono ad eliminare il finanziamento pubblico ai partiti, consentendo così che solo chi aveva risorse proprie (i ricchi) potessero concorrere ad amministrare il Paese. Un ruolo affatto marginale venne giocato, fino ai giorni di “tangentopoli” dal cd “craxismo”, in cui si fusero un’idea feroce di modernizzazione, anche in chiave autoritaria, sul versante economico, con una vera e propria svolta socio culturale. Il Partito Comunista – con tutte le sue contraddizioni  – divenne il bersaglio politico, alcuni parametri di vita furono invece messi in discussione e poi travolti (si pensi alla scala mobile, 1984).
Il periodo di forte conflittualità sociale iniziato con il ‘68 nelle scuole e con l’autunno caldo, subì anch’esso un processo di revisione e a tratti di criminalizzazione. L’egualitarismo di cui fu portatore per l’intera società venne tradotto, per le generazioni a venire, come quello degli “anni di piombo. Buttando scientemente il classico bambino con l’acqua sporca, si tornò a Proudhon in chiave anti-marxista e, a seguire, emulando, peraltro anche maldestramente, modelli di altri contesti, si indusse a valorizzare il ruolo del privato e dell’impresa, anche e soprattutto a scapito del modello di scuola e di società emerso con la spinta del “lungo Sessantotto”, rendendo sempre più fioche le speranze di chi vedeva la possibilità di un riscatto sociale, anzi di fatto appiattendo ogni forma di ascensore e di mobilità. L’operaia/o non doveva più neanche desiderare di avere il figlio dottore, per citare una canzone simbolo di un passato da dimenticare.

Parliamo quindi di un insieme di forze politiche in apparenza profondamente diverse ma accomunate da uno scopo, eliminare o almeno marginalizzare il ruolo dei corpi intermedi nella società (partiti, sindacati ecc.) e con questi le forme di conflitto aventi parvenza di classe. Parole come “padrone” dovevano sparire dal lessico, sostituito da un apparentemente neutrale “datore di lavoro”. La Lega il conflitto lo apre per difendere persino una patria artificiale, la Padania, il M5S per essere il serbatoio di sfogo di istanze, spesso divergenti, ma che comunque non hanno mai rappresentato una reale forza anti-sistema ma che, anzi, un sistema privo della necessità di mediazioni imposte dal conflitto politico lo hanno favorito, il PSI sparisce travolto dai disastri di una corruzione politica e morale, consegnando alle generazioni successive un Paese melmoso le cui radici venivano continuamente rimosse.
La sovrapproduzione di riforme elettorali con leggi di stampo maggioritario che hanno allontanato le persone da ogni interesse verso la rappresentanza politica hanno prodotto il colpo apparentemente definitivo. Ed un ruolo significativo è giocato dai mezzi di comunicazione e informazione che veicolano uno stile di vita sempre più individualista, edonista, fondato sull’idea che la collettività non esiste, che l’affermazione o la sconfitta, tradotti nel ruolo sociale che ognuna/o ricopre, siano ascrivibili a meriti o colpe. L’idea stessa di uomo o donna di successo si fondano su una brutale e darwiniana selezione della specie dove alla fine se sei povero/a o in condizioni di marginalità non puoi quasi avere scampo e hai come unica prospettiva quella di affidarti alla beneficenza del dio mercato.

Questo forse lungo e schematico preambolo di storia italiana degli ultimi 40 anni (a tratti anche di più), nasce con lo scopo, non certo esaustivo, di attirare l’attenzione su alcuni avvenimenti politici che riguardano gli ultimi giorni del 2022. Il governo che è nato con le elezioni del 25 settembre è il più ideologicamente a destra della storia repubblicana, le personalità che stanno occupando i posti chiave, non solo nelle istituzioni ma nella cultura, nella gestione dei mezzi di comunicazione, nei ruoli chiave per determinare il futuro del Paese hanno, in molte e molti, un passato nel Msi. Non ne hanno mai fatto mistero, del resto la Fiamma tricolore (anche i simboli hanno senso e peso) non è scomparsa dal loro simbolo ed era quella della Repubblica sociale italiana. Mentre i sedicenti eredi del Pci eliminavano in fretta, falci e martelli, persino le querce, in nome della ricerca di un brand appetibile ad un Paese in pace, ricco e felice che non tollerava estremismi, a destra – e con orgoglio – non si è andati al di là di dichiarazioni di facciata, magari rilasciate in momenti particolari. Le mutazioni che avvenivano, peraltro, aprivano loro la strada, i valori fondanti come l’anti egalitarismo, la guerra ai poveri e non alle cause della povertà, la gerarchizzazione delle relazioni sociali, sono state consegnate alle destre su un piatto d’argento.

Il revisionismo è avanzato in chiave europea producendo falsi storici come la risoluzione del 19 settembre 2019 del Parlamento Europeo, in cui si equiparano i “crimini” del nazismo e del comunismo. Un testo che ogni storico degno di questo nome si rifiuterebbe di considerare valido, contenente una ricostruzione della seconda guerra mondiale tale che ad un esame di liceo si verrebbe bocciati se la si facesse propria – e non perché la scuola sia in mano ai comunisti – ma perché grossolana e fondata sulla totale cancellazione della memoria. Molti europarlamentari del gruppo Socialismo & Democrazia, l’hanno votata, alcuni, furbescamente, si sono assentati, pochi quelli che hanno espresso voto contrario.

Ora, se si è così fattivamente e in maniera reiterata contribuito a riscrivere la storia ad uso esclusivo dei vincitori di oggi, perché dal Partito Democratico ci si scandalizza che leader di FdI, financo il Presidente del senato, partecipino all’anniversario della fondazione del Msi? Ne hanno tutto il diritto, è stato concesso loro perché in poche e pochi si sono comportati come Riccardo Lombardi, negli anni.

Ci si dirà che ciò è vero ma “che il Movimento sociale, quantomeno alcuni suoi alti esponenti, sono stati al centro della strategia della tensione e di tentativi di svolte autoritarie nel Paese. Che qualcuno è stato coinvolto in fatti di sangue se non in indagini per le stragi degli anni Settanta”. Peccato che allora solo il pensiero forte ma scarsamente rappresentato della nuova sinistra (parlamentare ed extra) chiedeva la messa fuorilegge del Msi mentre chi aveva un peso maggiore nelle istituzioni ha presto cominciato a considerare questo partito, per quanto al di fuori dall’arco costituzionale (non avevano partecipato alla stesura della nostra Carta), come legittimato dal voto. Questo avveniva in nome di un concetto decontestualizzato di democrazia che ad esempio, per citare un altro socialista, Sandro Pertini, non poteva invece essere esteso ai fascisti e ai loro eredi.

Ma l’arco costituzionale è storia da Prima repubblica, ben presto si è deciso che non sussistevano più le ragioni per escludere una destra reazionaria dai luoghi decisionali, anzi, faceva anche comodo all’uopo. È accaduto molto presto, con la formazione di governi (cfr. Tambroni), le elezioni di Presidenti della Repubblica (cfr. Leone) e poi è divenuta prassi a cui neanche valeva la pena opporsi più di tanto. Poi si prendono come fatti folkloristici i saluti romani fatti da rappresentanti istituzionali alle adunate private o pubbliche di partito, i legami con le forze della destra radicale che non sono entrate ufficialmente nelle stanze dei bottoni ma forniscono manovalanza per i servizi d’ordine quando si muovono per i propri comizi determinati esponenti politici. Ed ancora, mentre, chi si definisce comunista non ha avuto problemi a fare i conti con lo stalinismo e i suoi crimini, non da oggi ma almeno 60 anni fa. Chi invece ha scelto di tagliare le proprie radici divenendo un partito geneticamente modificato, privo anche di una matrice realmente socialdemocratica, ma fondato sulla compartecipazione alla gestione neoliberista del mondo, fatta passare anche con l’utilizzo disinvolto della guerra, ha – come è solito dire un nostro collaboratore – sostituito semplicemente Bruxelles a Mosca, anzi per attualizzare in maniera ancora più netta, è divenuto (ma trattasi di un percorso iniziato decenni fa), perennemente schiacciato dal punto di vista militare sulla Nato (fino ad un anno fa da rottamare) e da un punto di vista politico da Washington. Continuare a definire l’occidente e i valori che propugna come quelli del “mondo libero”, significa ad avviso di chi scrive, aver così introiettato la sconfitta politica e culturale di cui si è stati anche causa, come l’unica forma di pensiero ammessa.

Chi è rimasto o ha trovato una propria collocazione politica e valoriale in un campo reazionario e conservatore ha avuto invece campo libero. Le nostalgie missine da partito d’ordine (dio, patria e famiglia) si sono innestate con le culture della nuova destra che è stata capace, in questi anni di devastazione, di creare senso, appartenenza, identità. Si badi bene, facendo i conti: le politiche economiche, militari, sociali, di Giorgia Meloni agiscono in perfetta continuità con quelle dei governi precedenti. Lo status quo è salvo. Ma l’impianto ideologico che ci troviamo davanti oggi è inquietante proprio perché tali forze hanno determinato una propria forma e una caratteristica egemonica, soprattutto nel mondo di chi ha meno garanzie ormai non più rappresentato, del lavoro, soprattutto precarizzato, delle periferie, del disagio.
Un oscurantismo che vale per la scienza, per i diritti delle donne, contro le persone Lgbtqi, che nega la possibilità del multiculturalismo e di fatto riafferma un proprio razzismo di stampo evoliano. Un impianto reazionario secondo cui, in nome della nazione, è giusto attuare manovre economiche ancora più dure per le fasce sociali deboli a cui non dovrà provvedere lo Stato ma la beneficenza delle persone agiate. Uno stato che recede dai propri obblighi di welfare, di sostegno alle persone vulnerabili perché le risorse di cui dispone dovranno essere utilizzate per potenziare la nazione, le sue vocazioni espansive, mercantili o militari che siano. Più esercito, più ordine per le strade, meno dissenso e maggior decoro. Del resto chi ha provveduto nei decenni passati ad umiliare il lavoro, a privatizzare i servizi, a rendere ogni intervento sociale come una spesa da diminuire in nome dell’osservanza dei parametri di Maastricht?

Come altro definire questo se non la realizzazione di un paese finalmente libero dal conflitto, in cui le funzioni delle istituzioni di rappresentanza sono ridotte al minimo, in cui si prospetta anche l’autonomia regionale differenziata, per definire garanzie diverse nell’accesso ai diritti in base anche alla Regione in cui si vive, in cui un presidenzialimo già in essere viene inserito nella Costituzione stravolgendone il senso? L’Italia di oggi – ma sarebbe interessante effettuare comparazioni col resto del continente – è un paese per giovani, bianchi, maschi, economicamente e socialmente ben protetti, per gli altri e le altre, da anni è tornato a farsi strada un percorso di emigrazione come unica soluzione ad una totale mancanza di prospettiva. Il fascismo del regime offrì alla povertà e alla disoccupazione di allora il sogno mirabolante della costruzione di un impero, di un “posto al sole” dove arricchirsi e “far grande la patria”, quello 2.0 di oggi, non può più – fortunatamente –  neanche prospettare questa soluzione né divenire fattore modernizzante. In pochi (maschile voluto) ce la fanno, per gli altri e le altre le briciole insieme a massicce dosi di controllo sociale.

Ma chi ha contribuito anno dopo anno a tale involuzione? Chi ne è stato anche l’alfiere, pensando di poterne poi dominare la gestione? Ebbene sì, ci si avvicina a grandi passi verso una forma di Stato sempre più simile a quella che vige oggi in alcuni Paesi del gruppo Visegrad, con gli spazi di democrazia sempre più ridotti.
Non è il “fascismo da operetta”, contro cui si scagliano gli antifascisti a fasi alterne ed anche per questo non esistono le condizioni per pensare a politiche frontiste utili solo a non mutare lo stato di cose esistenti. Esiste invece una storia da ricostruire, un’egemonia culturale da riconquistare, esiste la necessità di far riemergere la possibilità che un altro futuro sia prospettabile. Di questo futuro non fanno parte coloro che oggi si scandalizzano per i comportamenti irrituali, ma prevedibili, di qualche nostalgica/o del Msi e poi ne votano gli stessi provvedimenti di innalzamento delle spese militari o le scelte guerrafondaie. Costoro sono il problema, non la soluzione.

Stefano Galieni

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