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La visita di Pelosi a Taiwan e le relazioni degli USA con la Cina

di Alessandro
Scassellati

Viviamo tempi tragici e turbolenti, caratterizzati da accelerazioni improvvise, profondi cambiamenti e drammatici conflitti nelle relazioni geopolitiche e geoeconomiche globali. In questo articolo cerchiamo di ragionare sui segnali di crisi del dominio globale degli Stati Uniti alla luce delle evoluzioni delle relazioni tra gli USA, Taiwan e la Cina, della guerra tra Russia e Ucraina, dello scontento degli europei e dei possibili nuovi equilibri politici interni che si potranno determinare con le prossime elezioni di medio termine dell’8 novembre.

La storica visita del presidente della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, e di una delegazione di cinque Democratici della Camera a Taiwan il 2-3 agosto – vissuta da Pechino come una “provocazione” e una sfida aperta alla sovranità e integrità territoriale cinese e alla politica “una sola Cina” indivisibile e sovrana, in vigore dagli anni ’70 (Pechino considera l’isola territorio cinese, anche se di fatto è indipendente1) – ha sicuramente urtato la classe dirigente cinese – Xi Jinping aveva avvertito Biden che “chiunque gioca con il fuoco si brucerà” e alcuni commentatori nazionalisti hanno invocato la prospettiva di una guerra mondiale –, suscitando una dura risposta da parte della Cina. L’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) ha condotto una serie di esercitazioni intorno all’isola che equivalgono a un blocco parziale dello Stretto di Taiwan e ad una simulazione di una invasione dell’isola a 10 miglia dalla costa (con lancio di missili balistici nell’acqua, impiego di navi, droni ed aerei, attacchi informatici2. Inoltre, Pechino ha annunciato sanzioni contro Taiwan, colpendo 100 prodotti alimentari taiwanesi dalle torte all’ananas (una prelibatezza taiwanese) al pesce e alle arance, lasciando intatta l’esportazione più preziosa di Taiwan: i semiconduttori (da cui la Cina, come l’Occidente, dipende)3; ha anche dichiarato otto contromisure in risposta alla visita di Pelosi, che includono la cancellazione dei dialoghi tra i leader dei teatri militari cinesi e statunitensi e la sospensione dei colloqui congiunti sino-americani sui cambiamenti climatici. Gli analisti affermano che l’interruzione di alcune delle attività bilaterali, in particolare quelle legate all’esercito, minaccia di rompere quelli che la Casa Bianca chiama “guardrails” tra i due Paesi, pensati per impedire una escalation, ossia che la situazione sfugga al controllo. Le due maggiori potenze ora non sono in grado di dialogare tra loro in modo produttivo. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha detto che la reazione della Cina è stata “flagrantemente provocatoria“. “Il fatto è che la visita della Pelosi è stata pacifica. Non c’è giustificazione per questa risposta militare estrema, sproporzionata e crescente“, ha detto Blinken.

La nostra delegazione è venuta a Taiwan per chiarire inequivocabilmente che non abbandoneremo Taiwan e siamo orgogliosi della nostra duratura amicizia“, ha detto Pelosi. Ora più che mai, la solidarietà degli Stati Uniti con Taiwan è “cruciale”. “È davvero importante che il messaggio sia chiaro“, ha affermato Pelosi. “[Gli Stati Uniti] sono impegnati per la sicurezza di Taiwan… ma si tratta dei nostri valori condivisi di democrazia e libertà e di come Taiwan sia stato un esempio per il mondo… Se ci sono insicurezze del presidente della Cina relative alla sua stessa situazione politica io non lo so.

La tensione nello Stretto di Taiwan ha scosso il mondo. I ministri degli Esteri del G7 hanno invitato la Cina a “risolvere le divergenze attraverso lo Stretto con mezzi pacifici”. Tuttavia, ci sono state anche molte critiche a Pelosi e in molti si sono domandati perché abbia voluto a fare il viaggio a tutti i costi ora4. Ad esempio, sul New York Times, Thomas Friedman, che generalmente è un opinionista particolarmente entusiasta della potenza militare americana, ha definito la sua visita “assolutamente sconsiderata, pericolosa e irresponsabile“, un evento “puramente simbolico” che avrebbe rischiato l’apertura di un nuovo fronte oltre a quello ucraino-russo, portando gli USA in una “guerra contemporaneamente con due superpotenze” dotate di armi nucleari, senza il sostegno degli alleati europei nel caso di una guerra contro la Cina. Per tali critici, la visita non avrebbe portato alcun vantaggio (avrebbe rischiato di infiammare le relazioni tra Stati Uniti e Cina senza rendere Taiwan più sicura) e non sarebbe potuta accadere in un momento peggiore: il 1 agosto era il PLA Day, una festa che celebra la fondazione dell’esercito cinese (95 anni). Anche Biden a fine luglio aveva detto del viaggio della Pelosi che “i militari pensano che non sia una buona idea in questo momento“. Ma, un certo numero di deputati e senatori repubblicani ha sostenuto la Pelosi e, da allora, anche la Casa Bianca ha affermato pubblicamente il suo sostegno ad una visita5.

Inoltre, la visita è avvenuta subito prima della conferenza di Beidaihe – un raduno segreto delle élite del partito comunista cinese in cui vengono prese le principali decisioni politiche – e del 20° congresso del Partito Comunista Cinese, dove si ritiene che il presidente Xi Jinping stia perseguendo un terzo mandato senza precedenti. Il tempismo ha quindi reso la visita di Pelosi altamente provocatoria. Xi non poteva permettersi di perdere la faccia davanti agli americani e ai cinesi in questo momento critico.

Un’implicazione di queste critiche è che la tensione attuale potrebbe attenuarsi dopo pochi mesi. Una volta che Pechino riterrà di aver sufficientemente rimproverato Pelosi e punito Taipei, la tensione potrebbe placarsi. Ma, questo è tutt’altro che certo. La visita di Pelosi è stata solo un fattore scatenante. La crisi riflette questioni più profonde che affliggono le relazioni sino-americane. Se non verranno affrontate positivamente, ci possiamo aspettare una maggiore instabilità nello Stretto di Taiwan e l’evoluzione della competizione tra Cina e USA verso conflitti sempre più aspri.

Negli ultimi anni, politici, opinion leader e “opinione pubblica” in Cina hanno paragonato sempre più l’America – che è il garante della sicurezza di Taiwan in caso di invasione cinese, anche se la politica americana è tutta incentrata sull'”ambiguità strategica6 – a una “tigre di carta“. Da un lato, si ritiene che gli Stati Uniti siano perniciosi. Custodendo gelosamente la propria egemonia, non accettano e non possono accettare l’ascesa della Cina, dicono; dall’amministrazione Trump, Washington ha iniziato a svuotare sistematicamente il “principio di una sola Cina” con l’intenzione di utilizzare Taiwan come una pedina per contenere la Cina7. D’altra parte, si ritiene che Washington manchi di determinazione e capacità. E’ opinione diffusa in Cina che sebbene gli Stati Uniti siano malevoli, sono anche deboli. Mentre i 1,4 miliardi di cittadini cinesi sono uniti e guidati da Xi e dal PCC nella loro ricerca del “sogno cinese” di un “ringiovanimento nazionale” e di un “socialismo con caratteristiche cinesi” che prevede anche che Taiwan debba rientrare nella Repubblica Popolare Cinese entro 27 anni (2049), l’America è afflitta da contraddizioni interne che vanno dalla polarizzazione partigiana alle tensioni razziali. Se gli Stati Uniti non hanno inviato truppe in Ucraina, potranno avere la volontà/capacità di difendere Taiwan?

La linea della “tigre di carta” è non solo sprezzante e offensiva, ma complica notevolmente gli sforzi per mantenere la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan. Se Pelosi avesse deciso di annullare il suo viaggio a Taiwan dopo le proteste di Pechino, la Cina avrebbe probabilmente lanciato una campagna di propaganda ridicolizzando l’affermazione di Washington secondo cui il suo impegno per Taiwan era “solido come una roccia“. Tuttavia, ogni volta che gli Stati Uniti cercano di segnalare la propria determinazione e capacità, è probabile che Pechino la interpreti come una prova di ostilità. Washington è intrappolata tra Scilla e Cariddi. Se gli Stati Uniti tentano di rassicurare la Cina, ciò rischia di sembrare una pacificazione o una resa al nemico. Se segnalano la loro intenzione di difendere l’ordine internazionale liberale nell’Indo-Pacifico, ciò potrebbe innescare una crisi incontrollabile della sicurezza. Nel contesto di questa dinamica, come reagirebbe Pechino se gli Stati Uniti vendessero a Taiwan sistemi d’arma offensivi (come missili antinave) paragonabili a quelli che sono stati recentemente forniti all’Ucraina?

Anche se gli Stati Uniti mancano di determinazione, schernirli serve solo ad alimentare sentimenti anti-cinesi e costringere Washington a rafforzare la propria posizione. D’altra parte, il Segretario di Stato Tony Blinken in un importante discorso sull’Asia a maggio ha sottolineato che la politica verso la Cina è stata “coerente attraverso decenni e amministrazioni” e ha affermato: “Sebbene la nostra politica non sia cambiata, ciò che è cambiato è la crescente coercizione di Pechino“.

Ma, non c’è dubbio che dopo la stretta cinese su Hong Kong, ossia sul modello possibile di una riunificazione pacifica fondata su “due sistemi” in un solo Paese, e soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina si sia accentuata la sensazione tra i leader americani ed occidentali che Taiwan sia in grave pericolo. Sembrano credere che solo un sostegno forte e dichiarato, fatto anche di visite di alto livello e maggiore assistenza militare, possa scongiurare l’attacco cinese contro la “provincia ribelle”.

 

L’evoluzione dei conflitti in corso: Russia-Ucraina, USA/NATO-Russia-Cina

Un’ambiguità simile a quella relativa alla questione Cina-Taiwan infonde l’atteggiamento egli USA e del resto dell’Occidente nei confronti della Russia rispetto all’Ucraina. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno ribadito che la Russia “deve fallire ed essere vista fallire”. Ma si può davvero pensare che la Russia distrugga una sempre maggiore parte dei suoi armamenti senza una escalation? L’Occidente sembra intenzionato a prolungare la guerra in Ucraina, sperando di evitare sviluppi più tragici (uso delle armi nucleari). Le atrocità continuano ed è sempre possibile che ci sia una maggiore intensificazione della guerra che potrebbe creare le stesse incertezze che hanno sopraffatto la diplomazia europea nel 1914. Allora, i governanti tremavano mentre i generali si pavoneggiavano e agitavano le sciabole. Sventolavano le bandiere e i giornali si riempivano di conteggi di armi e soldati. I negoziati sono sfociati in ultimatum. Mentre la prima linea chiedeva aiuto, chiunque predicasse il compromesso veniva emarginato e criminalizzato come traditore.

Quello che sembra ormai evidente è che il confronto USA/NATO con la Russia in Ucraina, dove gli Stati Uniti (insieme ai Paesi dell’Unione Europea) hanno versato decine di miliardi di dollari, oltre ad essere più direttamente coinvolti in operazioni semi-segrete per assassinare generali russi e affondare navi russe, sta raggiungendo esattamente l’opposto dell’obiettivo americano di impedire alla Russia, alla Cina e ai loro alleati di agire indipendentemente dal controllo statunitense sul loro commercio e politiche di investimento. L’interruzione delle catene di approvvigionamento mondiale di energia, cibo e minerali e la conseguente inflazione dei prezzi ha imposto enormi tensioni economiche agli alleati degli Stati Uniti in Europa e nel Sud del mondo. Il tasso di cambio del dollaro, anche grazie ai progressivi aumenti dei tassi di interesse da parte della FED, è salito alle stelle rispetto all’euro, che è precipitato nella parità con il dollaro e sembra destinato a scendere ulteriormente verso gli 0,80 dollari di una generazione fa. Il dominio degli Stati Uniti sull’Europa è ulteriormente rafforzato dalle sanzioni commerciali contro petrolio e gas russi8.

Identificando la Cina come il principale avversario a lungo termine dell’America dal punto di vista geopolitico e geoeconomico, il piano dell’amministrazione Biden era di separare la Russia dalla Cina e quindi paralizzare la stessa capacità militare ed economica della Cina. L’effetto della diplomazia americana, invece, è stato quello di saldare Russia e Cina tra loro (anche se la Cina finora non ha fornito alla Russia un’assistenza simile a quella data dagli USA all’Ucraina9, unendosi all’Iran, all’India e ad altri alleati (con il possibile allargamento del blocco BRICS e il progetto di creare una banca del gruppo BRICS-plus). Per la prima volta dalla Conferenza delle nazioni non allineate di Bandung nel 1955, si è creata una massa critica potenzialmente autosufficiente per avviare il processo di indipendenza dalla diplomazia del dollaro dominante dal 1945 (anche grazie a FMI, Banca Mondiale e WTO)10.

Di fronte alla prosperità industriale cinese basata sull’investimento pubblico autofinanziato nel mercato socializzato cinese, gli strateghi statunitensi riconoscono che la risoluzione di questa lotta richiederà diversi decenni per essere vinta. Armare il regime ucraino per procura è semplicemente la mossa di apertura per trasformare la Seconda Guerra Fredda (e potenzialmente/o addirittura la Terza Guerra Mondiale) in una lotta per dividere il mondo in alleati e nemici in merito al fatto se saranno i governi (con “economie miste”) o il settore finanziario a pianificare l’economia e la società mondiale11. Gli USA si battono per la seconda opzione, in linea con il paradigma ideologico neoliberista di regolazione del processo di accumulazione, caratterizzando pertanto lo scontro come contrapposizione tra “democrazia” e “libero mercato” (finanziarizzazione e privatizzazione), da una parte, e “autocrazia” e crescita economica sovvenzionata dallo Stato, dall’altra.

Lo Speaker Pelosi che è un fervente difensore di Taiwan e critico delle violazioni dei diritti umani in Cina, durante la visita a Taiwan ha indicato come motivazione del suo viaggio proprio la lotta globale tra democrazia ed autocrazia (uno dei temi preferiti anche di Joe Biden), sostenendo che “non possiamo tirarci indietro“. “Non possiamo restare a guardare mentre il PCC continua a minacciare Taiwan – e la stessa democrazia”. “In effetti, facciamo questo viaggio in un momento in cui il mondo si trova di fronte a una scelta tra autocrazia e democrazia. Mentre la Russia conduce la sua guerra premeditata e illegale contro l’Ucraina, uccidendo migliaia di innocenti, persino bambini, è essenziale che l’America e i nostri alleati chiariscano che non cediamo mai agli autocrati12.

La spinta degli Stati Uniti a mantenere il loro potere unipolare di imporre al mondo politiche finanziarie, commerciali e militari targate “America First” implica un’ostilità intrinseca verso tutti i Paesi che cercano di perseguire i propri interessi nazionali. Avendo sempre meno da offrire sotto forma di reciproci vantaggi economici, la politica degli Stati Uniti minaccia sanzioni, confisca le riserve monetarie estere in banche o titoli statunitensi (è quanto è capitato a Iran, Libia, Venezuela, Afghanistan e Russia), persegue interventi “coperti” di politica estera (destabilizzazione, bombardamenti a distanza, colpi di Stato militari e civili e “proxy wars”). Il sogno degli Stati Uniti prevede l’esistenza di una versione cinese di Boris Eltsin che sostituisce la leadership del Partito Comunista e vende il suo patrimonio pubblico al miglior offerente, presumibilmente dopo che una crisi monetaria ha spazzato via il potere di acquisto interno, proprio come avvenne nella Russia post-sovietica sotto la regia delle terapie economiche ed istituzionali d’urto suggerite dagli “Harvard boys”, lasciando come acquirenti la comunità finanziaria internazionale.

 

La “tempesta perfetta”, questioni critiche ed elezioni americane dell’8 novembre

La guerra tra Russia e Ucraina ha completamente mutato lo scenario economico politico globale. Una guerra combattuta sul terreno con soldati, bombardamenti missilistici, distruzioni sistematiche di villaggi e città, uccisioni e dislocazioni della popolazione civile, ma anche, attraverso sanzioni e controsanzioni, nei mercati finanziari, energetici, delle materie prime ed alimentari, ha avuto effetti dirompenti sull’economia globale. Ha fatto schizzare verso l’alto l’inflazione in tantissimi Paesi, ha messo in moto una spirale dei prezzi nei mercati energetici, ha creato una crisi della sicurezza alimentare nei Paesi emergenti e poveri, ha fatto esplodere la crisi del debito di Paesi già oberati di debiti come Sri Lanka, Bielorussia, Pakistan, Libano, Argentina, Venezuela, Suriname, Ecuador, El Salvador, Egitto, Zambia, Tunisia e tanti altri Paesi africani13.

La guerra ha anche rafforzato la spinta verso la de-globalizzazione iniziata nel 2018 con la guerra commerciale e tecnologica tra USA e Cina (rapidamente trasformatasi in una nuova “guerra fredda”) e verso una frammentazione geopolitica e geoconomica del mondo in blocchi, tra i Paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti e dalla NATO, e una probabile alleanza Cina-Russia, allargata ad altri Paesi (a cominciare dagli altri appartenenti al gruppo BRICS), con la maggioranza dei Paesi del mondo che ha assunto una posizione “non allineata” rispetto a quella dei Paesi occidentali (ad esempio, sulla condanna della Russia all’ONU e sull’imposizione di sanzioni economiche)14.

Proprio nel momento in cui, come umanità, abbiamo bisogno di uno sforzo globale coordinato per sfuggire alle nostre crisi esistenziali – collasso climatico, collasso ecologico, la marea crescente di sostanze chimiche sintetiche che uccide tutti gli esseri viventi, un’emergenza alimentare globale in aumento – le classi dirigenti globali scelgono di dividersi, di riaprire una corsa al riarmo e di fomentare nuovi mortiferi conflitti che insanguinano e frammentano il mondo in fronti contrapposti, rendendo impossibile perseguire qualsiasi ragionevole via condivisa per la salvezza della vita umana sul pianeta.

Il mondo è diventato “maledettamente disordinato” (“bloody messy”) come ha affermato la premier neozelandese Jacinda Ardern in un discorso di alto profilo. In pochi mesi, sotto l’assillo della crisi energetica creatasi a seguito della guerra tra Russia e Ucraina, le classi dirigenti dell’Unione Europea si sono rimangiate tutti i loro impegni di promuovere l’agricoltura agroecologica e di costruire economie circolari sganciate dalle emissioni di carbonio, arrivando a classificare gas metano e nucleare “energie verdi” come le rinnovabili, anche riavviando centrali elettriche a carbone e costruendo nuovi inceneritori (in Italia rinominati “termovalorizzatori”). Mentre le global corporations petrolifere registrano profitti record proprio nel momento in cui dovremmo porre fine all’economia fossile che provoca il riscaldamento globale e l’unico settore che si sta espandendo è quello digitale, sotto la spinta dell’oligopolio GAFAM, con tutti i risvolti positivi e negativi che questo comporta.

Dal punto di vista finanziario e geopolitico, l’Occidente e il mondo tutto stanno andando incontro ad una “tempesta perfetta” che comporta il dover fronteggiare contemporaneamente molteplici pericolose sfide interconnesse tra loro: la guerra, che solleva lo spettro del conflitto nucleare; i cambiamenti climatici che minacciano desertificazione, carestie, inondazioni, ondate di calore estremo e incendi; l’inflazione elevata che spinge le banche centrali – terrorizzate da un possibile innesco della “spirale salari-prezzi” in stile anni ‘70 – ad operare una stretta monetaria (rialzo dei tassi di interesse e fine delle politiche di quantitative easing), a schiacciare la domanda dei consumatori, a deprimere i valori dei titoli azionari e a progettare un forte rallentamento e, se necessario, una forte contrazione economica15; la pandemia con la chiusura di fabbriche e strutture logistiche e il sovraccarico degli ospedali. La prospettiva sembra dunque essere quella di una recessione globale – o quanto meno dell’area euro-americana (con un’economia in stagflazione) – entro il 202316.

Una combinazione di sfortuna (inflazione), inettitudine (gestione dell’uscita dall’Afghanistan), divisioni interne al Partito Democratico, (mal)funzionamento delle strutture della politica statunitense (la soppressione degli elettori e il gerrymandering, ossia il ridisegno partigiano dei distretti che eleggono i membri della Camera da parte delle 26 amministrazioni statali repubblicane, e il Senato che sovrarappresenta le parti conservatrici e rurali del Paese) e la spietatezza dei nemici politici mettono in pericolo non solo il futuro dell’amministrazione Biden, ma della stessa repubblica americana. L’8 novembre si terranno le elezioni di mezzo termine nel Paese leader dello schieramento occidentale, con l’elezione di un terzo del Senato e dell’intera Camera dei Rappresentanti17. Il 79enne presidente democratico Biden ha un basso indice di gradimento (sotto il 40%), nonostante il successo nell’amministrare la più rapida ripresa economica degli ultimi decenni (il problema chiave è l’elevato aumento del costo della vita, il 9,1% a giugno, il tasso più alto dal 1981, mentre i salari reali diminuiscono e l’economia è in bilico sull’orlo della recessione)18, e se perdesse il controllo della Camera e/o del Senato si trasformerebbe in una “anatra zoppa” fino alle prossime elezioni presidenziali del 2024 (anno in cui si terranno anche le elezioni per il Parlamento Europeo). Il che vorrebbe dire che i repubblicani potranno utilizzare i negoziati sul tetto del debito per paralizzare il governo, come hanno fatto nel secondo mandato di Barack Obama, e Biden non riuscirebbe a far approvare alcuna nuova legge e dovrebbe governare attraverso degli ordini esecutivi – come ha fatto l’8 luglio e il 3 agosto 2022 sulla questione della salvaguardia all’accesso ai servizi di salute riproduttiva, compreso l’aborto e la contraccezione, dopo lo smantellamento della sentenza Roe vs Wade da parte della Corte Suprema il 24 giugno – che potrebbero essere tranquillamente aboliti dal presidente successivo.

Inoltre, una possibile vittoria del Partito Repubblicano l’8 novembre 2022, prevista dalla maggior parte degli analisti politici, darebbe forza ad una ricandidatura alla presidenza dell’ex presidente Donad J. Trump, che attualmente deve fronteggiare diverse inchieste giudiziarie (con un ruolo attivo dell’FBI) e soprattutto è il principale obiettivo della commissione di inchiesta del Congresso sul tentativo fallito di colpo di Stato del 6 gennaio 2021, pianificato da lui e dal suo staff di consiglieri per mesi e poi realizzato da gruppi organizzati del suprematismo bianco. Nei comizi, Trump è stato relativamente esplicito riguardo ai suoi progetti. “Questo è l’anno in cui riprenderemo la Camera, riprenderemo il Senato e riprenderemo l’America. E nel 2024, soprattutto, ci riprenderemo la nostra magnifica Casa Bianca“.

Negli ultimi due anni, Trump ha reclutato nel Partito Repubblicano finanziatori, attivisti e centinaia di candidati per cariche elettive federali e statali ispirati dalla sua convinzione che le vittorie elettorali del Partito Democratico siano intrinsecamente illegittime. In un sistema politico bipartitico come quello statunitense, se un partito non si impegna a rispettare le regole del gioco democratico è improbabile che la democrazia sopravviva a lungo. Nel suo complesso, il Partito Repubblicano si è rivelato essere antidemocratico senza doverne pagare alcuna conseguenza negativa (non sono stati puniti da elettori, attivisti o donatori). L’eventuale vittoria dei repubblicani farebbe tornare al potere un partito che negli ultimi due decenni ha sposato apertamente molte delle tesi politico-ideologiche sostenute dai teorici e dai terroristi del suprematismo bianco19.

I quattro anni di presidenza di Trump, la sua ideologia nazionalista Make America Great Again e America First!, i suoi metodi di governo autoritari e unilaterali a somma zero, la sua teoria del complotto sulle elezioni “rubate20 e il suo tentativo di colpo di Stato fanno presagire cosa potrebbe accadere alla democrazia americana e, di conseguenza, alla cosiddetta “alleanza occidentale delle democrazie” liberali promossa da Biden se lui (o un suo clone meno sregolato come il senatore del Texas Ted Cruz o il governatore della Florida Ron DeSantis) dovesse prendere il potere nel 2024. Un ritorno al potere del Partito Repubblicano, ispirato dal trumpismo e dalle sentenze antidemocratiche e divisive su aborto, armi, ambiente e religione della Corte Suprema, la cui maggioranza ultraconservatrice (6-3) Trump ha contribuito a creare attraverso la selezione di tre giudici, significherebbe l’implementazione di un’agenda politico-ideologica, coltivata per decenni, basata sulle idee anti-egalitarie, autoritarie, nazionaliste, misogine e razziste della destra radicale e del suprematismo bianco (quasi sette repubblicani su 10 sono bianchi e cristiani in un Paese che è solo per il 44% bianco e cristiano).

Il presidente Biden, un centrista moderato, firmando l’ordine esecutivo sull’aborto ha affermato: “Non possiamo permettere che una Corte Suprema fuori controllo, che lavora in collaborazione con elementi estremisti del Partito Repubblicano, ci tolga le libertà e la nostra autonomia personale. La scelta che dobbiamo affrontare come nazione è tra il mainstream e l’estremo“. Il Partito Democratico, invece di puntare a costruire una grande coalizione delle classi lavoratrici di tutti i generi e razze con un programma di riforme democratiche radicali, continua a dare la priorità ai voti degli “elettori suburbani oscillanti” bianchi (ceto medio dei white collars) che presumibilmente determinano i risultati elettorali, e dipende ancora dai soldi delle grandi corporations e dei super ricchi.

E’ all’interno di questo contesto politico delicato e complesso che va inquadrata la crisi della cosiddetta Pax Americana – quel sistema che ha governato le relazioni internazionali politiche ed economiche sotto il dominio americano -, insieme alla crisi del modo di regolazione neoliberista del capitalismo. Sia chiaro, l’apparato governativo degli Stati Uniti conserva ancora poteri straordinari. Le decisioni della FED sui tassi di interesse influiscono sull’economia globale. La spesa per la difesa e la sicurezza nazionale – un tema su cui Democratici e Repubblicani concordano – è enorme ed aumenta di anno in anno, alimentando un gigantesco military-industrial complex. Gli USA rimangono la superpotenza militare dominante. Ma, come dimostra la frustrazione dell’amministrazione Biden, le forze politiche che animano la gigantesca macchina dello Stato americano sono diventate faziose ed incoerenti. Potrebbe essere solo questione di tempo prima che quell’incoerenza politica cominci a colpire le maggiori leve del potere economico e militare. Ora che gli Stati Uniti entrano nel lungo ciclo elettorale 2022-2024 dovremmo aspettarci che le disfunzioni diventino ancora più evidenti. L’enigma che devono affrontare gli alleati dell’America – a cominciare dagli europei – è come far fronte al declino (e alla possibile implosione) di una grande potenza imperiale che è ancora una grande potenza imperiale, il garante dell’ordine mondiale che è la più grande fonte potenziale del suo disordine 21.

Alessandro Scassellati

  1. L’America, dai tempi di Nixon e Kissinger, riconosce l’esistenza di “una sola Cina”: la “one China policy”, applicata dalla stragrande maggioranza dei 193 Paesi che siedono all’ONU insieme a Pechino, ha permesso a Washington la storica apertura dei primi anni ’70 alla Cina di Mao. Nel comunicato di Shanghai del 1972 si è affermato che: “Gli Stati Uniti riconoscono che tutti i cinesi, da entrambi i lati dello stretto di Taiwan, ritengono che esista una sola Cina e che Taiwan sia parte della Cina. […]. Il governo della Repubblica Popolare Cinese è l’unico governante legale della Cina; Taiwan è una provincia della Cina che da tempo è stata riannessa alla madrepatria; la liberazione di Taiwan è una questione interna della Cina, nessun altro Paese ha il diritto d’interferire”. Pechino considera Taiwan una “provincia ribelle” da riportare sotto il suo controllo ed afferma che fa parte del suo territorio integrale da tempo immemorabile. La storia è più complessa. Fu incorporata in Cina solo durante la dinastia Qing nel 17° secolo, ma l’impero Qing controllava solo una parte dell’isola e non sembrava particolarmente interessato ad essa, cedendo Taiwan al Giappone dopo la guerra sino-giapponese nel 1895. Dopo la guerra civile cinese, che portò al trionfo dei comunisti nel 1949, il controllo di Taiwan cadde dalla parte dei perdenti, il Kuomintang (KMT), guidato dal nazionalista Chiang Kai-shek (che aveva rubato e portato con sé le riserve auree della Cina), che portò una nuova ondata di migranti, ma sottopose anche Taiwan al periodo dell’autoritarismo noto come Terrore Bianco. Taiwan è ora una democrazia di circa 23 milioni di abitanti riconosciuta ufficialmente da soli 13 piccoli Paesi e dal Vaticano. Il Partito Democratico Progressista, emerso dal movimento democratico di Taiwan, detiene il potere dal 2016. Attualmente sostiene il mantenimento dello status quo (il che significa la posizione ambigua in cui Taiwan è de facto, ma non de jure indipendente). Il KMT continua ad essere un partito politico, essendosi reinventato come un sostenitore politico dell’unificazione, anche se ha subito una sconfitta nelle ultime elezioni del gennaio 2020 e sta cercando di cambiare la sua immagine pro-Cina. Anche la maggior parte dei taiwanesi sembra sostenere lo status quo, con solo piccole minoranze che vogliono la piena indipendenza o l’unificazione con la Cina il prima possibile. Il quadro completo è difficile da accertare poiché ci sono argomentazioni secondo cui i taiwanesi sarebbero più fermamente indipendentisti se non ci fossero le minacce della Cina.[]
  2. Taiwan è stata presa di mira da diversi attacchi informatici, sebbene l’autore sia sconosciuto. Il sito web dell’ufficio presidenziale di Taiwan è stato colpito da un attacco di negazione del servizio, mentre gli schermi degli onnipresenti minimarket 7-Eleven di Taiwan sarebbero stati violati per visualizzare messaggi in cinese semplificato che definivano Pelosi una guerrafondaia.[]
  3. La Cina ha comunque sospeso l’export di sabbia naturale (silicio) verso Taiwan, allo scopo di mettere in difficoltà la produzione di semiconduttori. Taiwan domina l’industria globale dei semiconduttori, componenti critici utilizzati in tutto, dagli smartphone e dispositivi medici alle automobili e agli aerei da combattimento. L’isola detiene il 64% dei ricavi della produzione globale di semiconduttori, secondo TrendForce, con il leader del settore Taiwan Semiconductor Manufacturing Co (TSMC) che da solo assorbe più della metà della torta totale. La Corea del Sud, il secondo produttore più grande, controlla meno di un quinto del mercato globale. Per i semiconduttori più avanzati, Taiwan rappresenta il 92% della produzione globale, secondo un rapporto di Boston Consulting. Dopo anni di domanda esplosiva, i semiconduttori rappresentano ora quasi il 40% delle esportazioni e circa il 15% del PIL. Taipei dipende per il suo 28% di export complessivo da Pechino e per il 24% per il suo import, la Repubblica Popolare Cinese è di gran lunga il suo primo partner economico-commerciale. Un eventuale blocco navale da parte di Pechino paralizzerebbe in breve tempo l’industria di Taiwan e causerebbe un enorme sconvolgimento economico globale. Limitare l’esportazione di chip porterebbe a colli di bottiglia nell’offerta, maggiore inflazione e crescita più debole. Inevitabilmente, ci sarebbero anche pressioni sugli Stati Uniti non solo per imporre sanzioni economiche e congelamento dei beni, ma anche per intervenire militarmente. E’ bene ricordare che nel 1958 ci fu una fase di acutissimo scontro, anche militare, tra Taipei e Pechino. Allora, con l’appoggio militare degli USA, Taipei vinse lo scontro bellico apertosi nello Stretto e dopo questa vittoria la marina militare Usa ha trasformato l’isola in una base militare avanzata contro la Repubblica Popolare Cinese.[]
  4. Alcuni si sono chiesti: perché adesso? Per Pelosi, potrebbe essere semplicemente dovuta all’aritmetica elettorale poiché sembra pronta a perdere il martelletto dello Speaker della Camera a favore dei repubblicani alle elezioni di medio termine di novembre e, all’età di 82 anni, è potenzialmente in pensione. La visita a Taiwan potrebbe essere il culmine di una lunga carriera di una politica che denuncia le violazioni dei diritti umani da parte di Pechino.[]
  5. Tra i repubblicani c’è uno scarso entusiasmo per il consistente appoggio finanziario e di armi dato all’Ucraina contro la Russia, mentre preferirebbero che il focus della politica estera americana rimanesse accentrato sulla questione della competizione con la Cina. L’ostilità verso Pechino è una delle poche cose su cui repubblicani e democratici sono d’accordo. Il maggiore sostenitore del viaggio della Pelosi è stato l’ultraconservatore repubblicano Newt Gingrich che nel 1997 era Speaker della Camera e andò a Taiwan, mentre il democratico Bill Clinton era presidente. Gingrich ha detto al Guardian che: “Una volta che è diventato pubblico, ha dovuto andare fino in fondo. Altrimenti Xi Jinping avrebbe avuto l’impressione che potremmo essere vittime di bullismo. Non aveva scelta una volta che era pubblico ed è stato deludente vedere l’amministrazione Biden confusa da quella realtà“. Anche la visita di Gingrich aveva suscitato lamentele, ma quella volta Pechino alla fine aveva ingoiato la sua irritazione. Indubbiamente, la Cina oggi ha più strumenti nella sua cassetta degli attrezzi e le sue capacità militari superano di gran lunga quelle di 26 anni fa, sebbene siano ancora molto indietro rispetto a quelle degli Stati Uniti.[]
  6. Ufficialmente, gli Stati Uniti riconoscono la pretesa della Cina su Taiwan, ma non la avallano. Gli Stati Uniti affermano ufficialmente di non sostenere l’indipendenza di Taiwan, ma garantire l’autonomia di Taiwan è ritenuta fondamentale per le azioni statunitensi in Asia. Non ci sono legami diplomatici formali tra gli Stati Uniti e Taiwan, ma molti non ufficiali; le relazioni sono dettate da una serie di protocolli e leggi diplomatiche: il Taiwan Relations Act (approvato dal Congresso nel 1979), i tre comunicati congiunti (tra USA e Cina negli anni ’70 e ’80) e le sei assicurazioni (tra USA e Taiwan). È così che gli Stati Uniti possono, tra le altre cose, vendere armi a Taiwan per la sua autodifesa contro la Cina, preservando le relazioni con la Cina. La politica di ambiguità strategica – indipendentemente dal fatto che gli Stati Uniti sosterrebbero Taiwan in un attacco cinese – persiste, come ha sottolineato il Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan a luglio. Ma a maggio Biden aveva suggerito il contrario, suscitando polemiche affermando che “questo è l’impegno che abbiamo preso” per difendere Taiwan se la Cina dovesse attaccarla, sebbene la politica statunitense non offra tale impegno (l’ufficio del presidente ha immediatamente fatto marcia indietro, riaffermando una politica di “ambiguità strategica”). Nel 2021 i marines hanno pubblicamente partecipato ad esercitazioni militari con le forze armate taiwanesi e i persistenti commenti senza copione di Biden sull’impegno USA hanno portato molti a ipotizzare che stia cambiando politica. Le osservazioni di Biden suggeriscono, come ha affermato il giornalista David Sanger del New York Times, che l’ala aggressiva nell’amministrazione Biden sta “vincendo la giornata” e “la seconda cosa che ti dice su questa amministrazione è che potrebbero ripensare all’utilità dell’ambiguità strategica”. La politica di ambiguità strategica ha comportato un delicato equilibrio che ha contribuito a dissuadere Taiwan dal dichiarare la piena indipendenza e la Cina dall’invadere l’isola. Ora alcuni temono che Biden stia soppiantando questa posizione di lunga data con la “confusione strategica“.[]
  7. L’approccio cauto, seppure fermo del team di Biden nel seguire una strategia aggressiva contro la Cina contrasta con quello più roboante adottato dall’amministrazione Donald Trump, con guerre commerciali (con l’avvio di un processo di disaccoppiamento delle due maggiori economie del mondo), parole aggressive e approvazione di oltre 18 miliardi di dollari di vendita di armi a Taiwan (Biden ha approvato poco più di 1 miliardo finora). Trump, in qualità di presidente eletto, ha infranto la politica degli Stati Uniti tenendo una telefonata con la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen. In qualità di segretario di Stato, Mike Pompeo ha pronunciato un discorso che è stato interpretato come una minaccia di cambio di regime in Cina. E da quando ha lasciato il governo, Pompeo e l’ex segretario alla Difesa Mark Esper hanno entrambi visitato Taiwan. Con il basso indice di gradimento di Biden e un’altra elezione presidenziale in soli due anni, molti nel governo cinese vedono come imminente un’amministrazione repubblicana molto più anti-cinese, il tutto mentre i membri di entrambi i partiti negli Stati Uniti indeboliscono la politica “una sola Cina“.[]
  8. A quasi 6 mesi dall’inizio della guerra tra Russia ed Ucraina appare evidente che gli interessi nazionali degli Stati Uniti divergono nettamente da quelli dei suoi satelliti NATO. Il complesso militare-industriale americano, i settori petrolifero e agricolo ne traggono vantaggio, mentre gli interessi industriali europei soffrono. Ciò è particolarmente vero in Germania e in Italia a causa del blocco delle importazioni di gas North Stream 2 e di altre materie prime russe da parte dei loro governi. Ciò solleva la questione di quanto a lungo i partiti politici tedeschi possano rimanere subordinati alle politiche della NATO sulla Guerra Fredda a scapito dell’industria tedesca e delle famiglie che devono far fronte a forti aumenti dei costi del riscaldamento e dell’elettricità. Gli Stati Uniti sono un esportatore di GNL, le società statunitensi controllano il commercio mondiale di petrolio e sono i principali distributori ed esportatori di cereali del mondo ora che la Russia è esclusa da molti mercati esteri. I produttori di armi statunitensi non vedono l’ora di realizzare profitti dalle vendite di armi all’Europa occidentale, che si è quasi letteralmente disarmata inviando cannoni e obici, munizioni e missili in Ucraina. I governi europei hanno promesso alla NATO di aumentare le loro spese militari al 2% del loro PIL, e gli americani stanno sollecitando livelli molto più alti per passare alla più recente serie di armi. I politici statunitensi sostengono una politica estera bellicosa per promuovere le fabbriche di armi che impiegano manodopera nei loro distretti elettorali. E i neocon che dominano il Dipartimento di Stato e la CIA vedono la guerra come un mezzo per affermare il dominio americano sull’economia mondiale, a cominciare dai propri partner della NATO. Allo stesso tempo, le sanzioni commerciali della NATO hanno avuto l’effetto di aiutare l’agricoltura e l’industria russa a diventare più autosufficienti obbligando la Russia a investire nella sostituzione delle importazioni. Un successo agricolo ben pubblicizzato è stato quello di sviluppare la propria produzione di formaggio per sostituire quella della Lituania e di altri fornitori europei. La sua produzione automobilistica e industriale è costretta a spostarsi dai marchi tedeschi e di altri europei ai produttori locali e cinesi. Il risultato è una perdita di mercato per gli esportatori europei.[]
  9. Secondo un “alto funzionario statunitense” citato da Thomas Friedman nel suo articolo, il presidente Biden e il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan hanno tenuto una “serie di incontri molto duri con la leadership cinese” – con Biden che ha minacciato personalmente il presidente cinese Xi Jinping sulle conseguenze economiche dell’assistenza militare alla Russia. Finora ha funzionato.[]
  10. Nel campo dei servizi finanziari, l’esclusione della Russia da parte della NATO dal sistema di compensazione bancario SWIFT non è riuscita a creare il caos previsto per i pagamenti. La minaccia era stata così forte per così tanto tempo che Russia e Cina hanno avuto tutto il tempo per sviluppare il proprio sistema di pagamento. Ciò ha fornito loro una delle precondizioni per i loro piani di separare le loro economie da quelle degli Stati Uniti/NATO.[]
  11. Negli ultimi decenni, le aziende industriali statunitensi hanno puntato maggiormente a “creare ricchezza” aumentando il prezzo delle loro azioni utilizzando oltre il 90% dei loro profitti per riacquisti di azioni e pagamenti di dividendi invece di investire in nuovi impianti di produzione e assumere più manodopera. Il risultato di un investimento di capitale più lento è stato lo smantellamento e la cannibalizzazione finanziaria del settore industriale al fine di produrre guadagni finanziari. E nella misura in cui le aziende impiegano manodopera e avviano nuova produzione, ciò avviene all’estero, dove la manodopera costa meno. La maggior parte dei lavoratori asiatici può permettersi di lavorare con salari più bassi perché ha costi abitativi molto più bassi e non deve pagare il debito per l’istruzione. L’assistenza sanitaria è un diritto pubblico, non una transazione di mercato finanziata, e le pensioni non sono pagate in anticipo da salariati e datori di lavoro, ma sono pubbliche. L’obiettivo in Cina in particolare è prevenire il settore finanziario, assicurativo e immobiliare dal diventare un oneroso sovraccarico i cui interessi economici differiscono da quelli di un governo socialista. La Cina considera il denaro e le banche come un’utilità pubblica, da creare, spendere e prestare per scopi che aiutano ad aumentare la produttività e il tenore di vita (e sempre più per preservare l’ambiente). Rifiuta il modello neoliberista sponsorizzato dagli Stati Uniti e imposto dal FMI, dalla Banca Mondiale e dal WTO.[]
  12. Anche se la democrazia americana si sgretola internamente, non c’è niente come un grido di battaglia affinché la democrazia all’estero riunisca i principali partiti politici. Ventisei senatori repubblicani, tra cui il leader della minoranza, Mitch McConnell, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta a sostegno della visita di Pelosi. Anche Fox News di Rupert Murdoch l’ha lodata.[]
  13. Su questi temi si vedano i nostri articoli: La lotta delle popolazioni indigene ecuadoriane contro le politiche neoliberiste di governo e FMI,  Transform! Italia, 29 giugno 2022, https://transform-italia.it/la-lotta-delle-popolazioni-indigene-ecuadoriane-contro-le-politiche-neoliberiste-di-governo-e-fmi/; Inflazione, tassi d’interesse, salari, profitti e recessione, Transform! Italia, 22 giugno 2022, https://transform-italia.it/inflazione-tassi-dinteresse-salari-profitti-e-recessione/; Primi effetti della crisi globale del debito: caos economico e politico in Sri Lanka, Transform! Italia, 18 maggio 2022, https://transform-italia.it/primi-effetti-della-crisi-globale-del-debito-caos-economico-e-politico-in-sri-lanka/; Guerra in Ucraina e contadini indiani, Transform! Italia, 4 maggio 2022, https://transform-italia.it/guerra-in-ucraina-e-contadini-indiani/; Il mondo trema. Cause e conseguenze dell’inflazione, Tranform! Italia, 27 qprile 2022, https://transform-italia.it/il-mondo-trema-cause-e-conseguenze-dellinflazione/; Accordo sul gas tra Algeria e Italia per uscire da due gravi crisi politiche, Transform! Italia, 20 aprile 2022, https://transform-italia.it/accordo-sul-gas-tra-algeria-e-italia-per-uscire-da-due-gravi-crisi-politiche/; L’incombente crisi del debito nel Sud del mondo. Come fermarla?, Transform! Italia, 23 marzo 2022, https://transform-italia.it/l-incombente-crisi-del-debito-nel-sud-del-mondo-come-fermarla/; Verso una grave crisi della sicurezza alimentare mondiale, Transform! Italia, 16 marzo 2022, https://transform-italia.it/verso-una-grave-crisi-della-sicurezza-alimentare-mondiale/; Alzare i tassi d’interesse vuol dire far pagare il conto ai lavoratori, Transform! Italia, 23 febbraio 2022, https://transform-italia.it/alzare-i-tassi-vuol-dire-far-pagare-il-conto-ai-lavoratori/; La strada stretta dei banchieri centrali: domare l’inflazione senza produrre dolorosi effetti collaterali, Transform! Italia, 19 gennaio 2022, https://transform-italia.it/la-strada-stretta-dei-banchieri-centrali-domare-linflazione-senza-produrre-dolorosi-effetti-collaterali/.[]
  14. Su questi temi si vedano i nostri articoli: I Paesi BRICS vogliono inaugurare una nuova era per lo sviluppo globale, senza il peso dell’Occidente, Transforma! Italia, 29 giugno 2022, https://transform-italia.it/i-paesi-brics-vogliono-inaugurare-una-nuova-era-per-lo-sviluppo-globale-senza-il-peso-delloccidente/; USA e America Latina: il 9° Vertice delle Americhe, un’occasione perduta, Transform! Italia, 15 giugno 2022, https://transform-italia.it/usa-e-america-latina-il-9-vertice-delle-americhe-e-unoccasione-perduta/; Né con Russia (e Cina), né con Ucraina (e USA). Il rilancio del Movimento dei Paesi Non Allineati, Transform! Italia, 13 aprile 2022, https://transform-italia.it/ne-con-russia-e-cina-ne-con-ucraina-e-usa-il-rilancio-del-movimento-dei-paesi-non-allineati/; Lo stato delle relazioni UE-Cina: c’è ancora modo di evitare una nuova guerra fredda?, Transform! Italia, 6 aprile 2022, https://transform-italia.it/lo-stato-delle-relazioni-ue-cina-ce-ancora-modo-di-evitare-una-nuova-guerra-fredda/; Se la nuova guerra fredda USA-Cina diventa una battaglia navale. Il caso AUKUS, Transform! Italia, 22 settembre 2021, https://transform-italia.it/se-la-nuova-guerra-fredda-usa-cina-diventa-una-battaglia-navale-il-caso-aukus/.[]
  15. L’insistenza di FED, BCE e altre banche centrali nell’aumentare i tassi di interesse per cercare di tornare alla “normalità” economica è perversa. Di fronte alle massicce interruzioni globali della produzione, logistica e vendita di beni e servizi, al proseguimento della pandemia da CoVid-19, della guerra tra Russia e Ucrania, della carenza di cibo e della crisi climatica, tutti fenomeni scioccanti che le banche centrali non possono controllare, questa insistenza aggiunge ai maggiori costi e carenze derivanti da questi shock l’aumento del prezzo dei prestiti. Non ci sono tassi di interesse a Washington, Francoforte o Londra che riducano il prezzo del gas dal Qatar o facciano crescere più grano in Canada o in Argentina. Tutto quello che l’aumento dei tassi di interesse può fare è aumentare il rischio di una recessione, poiché la domanda viene schiacciata e famiglie e piccole imprese vengono ulteriormente spremute. Il vero obiettivo delle banche centrali è quello di indurre una contrazione economica in modo da sopprimere le richieste salariali.[]
  16. Nei primi anni ’80, Stati Uniti e Paesi europei sono riusciti ad azzerare l’inflazione (allora definita stagflazione) aumentando di molto i tassi di interesse. Ma, hanno potuto farlo solo perché la Cina e altri Paesi dell’Asia orientale hanno fornito al mondo, compresi gli Stati Uniti, enormi quantità di prodotti di alta qualità a prezzi relativamente bassi, e quindi hanno contribuito ad assicurare i mezzi di sussistenza delle popolazioni americane ed europee. Oggi, un’altra Cina non c’è, nonostante vi sia un’esaltazione di Paesi come il Vietnam o il Messico e delle possibilità di friendshoring e onshoring.[]
  17. Attualmente, per rompere l’ostruzionismo con 60 voti al Senato, i Democratici dovrebbero vincere il voto nazionale di almeno 16 punti tre volte di seguito. È vero che se i Democratici vincessero ogni corsa al Senato nel 2022, potrebbero avere i 50 voti per eliminare l’ostruzionismo senza il sostegno dei due senatori democratici conservatori, Joe Manchin (West Virginia) e Kyrsten Sinema (Arizona), ma questo conterebbe solo se mantengono anche la maggioranza alla Camera.[]
  18. L’amministrazione Biden ha implementato pacchetti di stimolo da trilioni di dollari ed euro, come lo stimolo (900 miliardi) successivo al CARES Act (2,3 trilioni di dollari) dell’amministrazione Trump e l’American Rescue Plan (1,9 trilioni). Ma l’agenda dell’amministrazione Biden era ancora più audace. Nella primavera del 2021 aveva presentato una serie di piani – su infrastrutture, clima e welfare – volti a garantire un futuro più verde. Era la versione democratica della promessa di Trump di “Rendere l’America di nuovo grande” e incarnava una teoria del cambiamento politico. Come con il New Deal negli anni ’30, la triplice spinta di Biden su lavoro, clima e welfare avrebbe dovuto creare il sostegno elettorale per consolidare a lungo termine l’egemonia del Partito Democratico. Ma solo frammenti di quell’agenda sono stati finora realizzati. Quello che avrebbe dovuto essere un audace programma di trasformazione sociale e politica è diventato un imbarazzante caso di studio di fallimento legislativo. Biden era entrato in carica facendo appello alla sinistra come presidente del clima. Rifiutando un approccio basato sulla tassazione e monetizzazione del biossido di carbonio, la sua amministrazione si era concentrata su incentivi positivi per la transizione energetica attraverso sussidi, investimenti e normative più severe. Con la sua agenda legislativa in stallo, l’aumento dei prezzi dei carburanti ha costretto Biden a rinunciare a buona parte di queste idee. Inoltre, una decisione della Corte Suprema del giugno 2022 ha reso più difficile per l’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA) regolamentare le emissioni di biossido di carbonio delle centrali elettriche, minando ulteriormente l’agenda di Biden sui cambiamenti climatici. Comunque Biden ha ottenuto alcune vittorie legislative, tra cui un importante legge per sovvenzionare con 52 miliardi di dollari la produzione di chip e semiconduttori negli Stati Uniti. In questi giorni è stato raggiunto un compromesso tra i senatori democratici e sta per essere approvato l’Inflation Reduction Act che prevede nuova spesa per 430 miliardi di dollari con misure energetiche ed ambientali (369 miliardi destinati alla riduzione delle emissioni di gas serra e all’investimento in fonti di energia rinnovabile), per la riduzione di parte dei costi sanitari (consente a Medicare di negoziare i prezzi di una parte dei farmaci da prescrizione direttamente con le aziende farmaceutiche e limita i prezzi di una parte dei farmaci da prescrizione per i destinatari di Medicare a 2 mila dollari all’anno; prevede sussidi federali per il pagamento della copertura assicurativa sanitaria prevista dall’Affordable Care Act fino al 2025) e fiscali (tassa minima del 15% sulle società con profitti superiori a 1 miliardo di dollari, controlli più rigorosi da parte dell’IRS e una nuova accise dell’1% sui riacquisti di azioni che dovrebbero raccogliere oltre 739 miliardi di dollari di nuove entrate, con 300 miliardi destinati alla riduzione del debito federale). Una legge che è diventata la principale misura su clima, sanità ed economia di Partito Democratico e amministrazione Biden prima delle elezioni di midterm dell’8 novembre.[]
  19. Il Partito Repubblicano è diventato un movimento radicale che crede che la libertà – definita principalmente come Stato “leggero” senza tasse punitive sui ricchi bianchi – sia più importante della democrazia, che la democrazia (con le sue regole consuetudinarie e norme scritte) minacci la libertà individuale, permettendo a molti di derubare i pochi attraverso imposte con aliquote progressive su redditi, patrimoni e successioni, salario minimo, assistenza sanitaria gratuita universale. E che usa il linguaggio cristiano per mascherare il sessismo e l’ostilità verso gli afroamericani e gli immigrati non bianchi nel tentativo di creare un’America cristiana bianca. Un partito che si è trasformato in una setta minoritaria alla continua ricerca della presa del potere sfruttando, da un lato le peculiari caratteristiche di un sistema politico-istituzionale decisamente anti-democratico in quanto sovra-rappresenta il peso dei poco popolosi Stati rurali conservatori al Senato (due senatori per Stato) e al Collegio Elettorale nazionale per l’elezione del Presidente, a scapito di quelli più popolosi, economicamente più rilevanti e politicamente più progressisti delle due coste, e dall’altro, con l’aiuto di una Corte Suprema a solida maggioranza conservatrice, attraverso la restrizione del diritto di voto e la persecuzione di donne, immigrati, afroamericani, persone LGBTQ+. Il partito che il 6 gennaio 2021 ha cercato di ribaltare l’elezione presidenziale persa attraverso il ricorso alla violenza invocata dall’alto, dai leader, a partire dall’ex presidente Trump, trasformatosi nell’architetto di “una rivoluzione armata” per rimanere al potere, di un colpo di Stato fallito (nel corso del quale sono morte sette persone, delle quali 5 erano poliziotti, mentre più di altri 140 sono rimasti feriti) giustificato da una teoria complottista della frode elettorale. Un’elezione “rubata” per la quale Trump era disposto a lasciare che i suoi sostenitori impiccassero il suo stesso vicepresidente, l’ultraconservatore Mike Pence, che aveva rifiutato di essere complice della rivolta, ma anzi stava certificando nel Congresso il risultato elettorale.[]
  20. Biden ha vinto il voto popolare, ma la sua vittoria nel Collegio Elettorale è dipesa dai risultati in tre stati chiave: Arizona, Georgia e Wisconsin. Alle elezioni per il Congresso, i Democratici sono andati relativamente male. La loro maggioranza alla Camera è scesa da 35 a 9 seggi. È stata solo la mobilitazione degli elettori in Georgia a fornire una maggioranza sottilissima al Senato (50-50, più il voto della vicepresidente Kamala Harris).[]
  21. Cfr. McTagu T., What America’s great unwinding would mean for the world, The Atlantic, 8 August 2022, https://www.theatlantic.com/international/archive/2022/08/europe-america-military-empire-decline/670960/[]
alleati europei, Cina, elezioni di midterm, Russia, Taiwan, Usa
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