Il deserto della sinistra italiana –
In quest’ultimo decennio abbiamo vissuto una progressiva desertificazione del quadro politico nazionale soprattutto per quanto riguarda la sinistra. Sicuramente vi sono molte cause (che meritano una riflessione ben più accurata e profonda di questo scritto) che hanno contribuito a questa situazione. Cause oggettive e soggettive.
Alcune, quelle oggettive, vengono da più lontano e riguardano, da un lato il susseguirsi di crisi economico finanziarie, e dall’altro un trentennio di sconfitte del movimento sindacale che hanno ridotto la capacità di azione di tutti i movimenti anticapitalisti.
Quelle soggettive riguardano una certa incapacità di riflessione e autocritica delle forze di sinistra, sia per quanto riguarda i contenuti politico culturali, sia per quanto riguarda il settarismo e la supponenza di alcuni gruppi dirigenti che ha contribuito ad aumentare la frammentazione a sinistra.
Per quanto riguarda l’aspetto dei contenuti, credo vada la pena sottolineare una sola questione tra le molte: la non piena acquisizione dell’ecologismo come questione strutturale. Nella attuali formazioni della Sinistra, la questione ambientale è, se pur considerata importante, una questione fra le altre (lavoro, diritti sociali, ecc.), non ne caratterizza l’identità politica e non ne condiziona, in modo trasversale, le analisi e le iniziative politiche.
Ad esempio, non viene compreso a fondo come la questione ambientale sia diventata anche una chiave di lettura per comprendere le incombenti strategie di ristrutturazione capitalistica che, attraverso la transizione digitale e l’occasione della green economy, modifica l’organizzazione del lavoro, la distribuzione delle merci e le modalità di controllo sociale. Non viene neppure colto il fatto che la crisi ambientali diventa sempre più un fattore guerra vera per il controllo delle risorse. Tutto ciò, naturalmente a spese delle classi e dei popoli più deboli. Naturalmente, senza risolvere realmente i problemi ambientali che abbiamo d fronte.
Inoltre, non si coglie il fatto che la questione ambientale è anche una strada per ricostruire un’identità di sinistra anticapitalista, in grado di riconnettere temi che talvolta si sono presentati in modo contraddittorio (vedi i temi del lavoro e delle industrie inquinanti), un’identità che permetterebbe di ricostruire una strategia e una tattica per il cambiamento dell’attuale modello economico sociale, mettendo insieme molti temi, quali: la cura del territorio e dell’ambiente, la sanità pubblica, il lavoro, il modello di consumi, la ricerca scientifica, sino ad arrivare a questioni riguardanti il come e il cosa produrre.
Vi è poi un’altra causa soggettiva: la guerra condotta dal Pd contro tutto quello che si muoveva alla sua sinistra, sia attraverso le leggi elettorali, sia attraverso operazioni politiche, non escluse quelle relative all’arruolamento di personalità e organizzazioni nel cosiddetto “campo lungo del centro sinistra”.
Certo, chi si è lasciato arruolare non lo ha fatto solo, o sempre, per opportunismo, qualcuno ha dato credito a proprie riflessioni sul modo migliore di contribuire alla politica nazionale senza rimanere irrilevanti. Forse questa è la cosa che pensava Vendola nella famosa foto di Vasto del 2011 con Bersani e Di Pietro, o quando si presentò alle Primarie del Pd nel 2012. Ma certamente, ciò fu un errore. Ciò che è rimasto di SEL, nonostante le giravolte di SI, è stato irrilevante nella politica nazionale, ha contribuito a regalare compagni alla delusione e ha favorito la fuoriuscita di figure opportuniste verso il Pd o peggio.
Per quanto riguarda l’esperienza dei verdi nazionali, non credo che vada la pena di parlarne, sempre disponibili, per uno spazio nelle istituzioni, alle alleanze con vari personaggi e formazioni politiche (sia in Italia che all’estero). Forse perché non hanno mai fatto una vera scelta anticapitalista. Comunque, irrilevanti anche loro (almeno a livello nazionale).
Luci ed ombre a livello europeo
Ciò che accade in Europa nella sinistra ha molte ombre, ma anche qualche raggio di luce.
Mentre la Linke tedesca mostra una crisi preoccupate e, in genere, in tutte le forze di sinistra europea che fanno parte del GUE si avverte un forte bisogno di riflessione politico organizzativa che potrebbe portare verso strade non certe, un segnale positivo importante (tra altri di minore rilevanza) arriva dal risultato delle elezioni presidenziali francesi, dove Jean-Luc Mélenchon, con un programma nettamente di sinistra anticapitalista, supera il 21% dei voti sfiorando la possibilità di arrivare al ballottaggio. Si tratta certamente di un risultato importante (certo favorito dal fatto che si votava su due turni), perché manda a monte tutti i discorsi sul “voto utile”, bandiera usata come clava qui da noi. Il risultato di Melenchon dimostra che il vero voto utile è quello che è capace di raccogliere le esigenze e i bisogni reali delle persone e le indicazioni espresse nelle lotte.
E qui è uno dei nodi da affrontare per riuscire ad attraversare il deserto: essere capaci di contribuire ai conflitti di classe, essere capaci di starci dentro, con una capacità di dare e ricevere.
Qui c’è un altro segnale positivo (questa volta italiano): la lotta dei lavoratori della GKN, portata avanti con il motto “INSORGIAMO”. Una mobilitazione operaia, tra diverse altre meno conosciute, per la difesa del lavoro, ricca di contenuti, che ha unito molti movimenti e le organizzazioni della Sinistra.
E qui si torna ai nodi politico culturali che vanno affrontati.
Rosso-Verde non è un ornamento
Ovvero fare della questione ambientale una questione strutturale del nostro impegno.
Il recente rapporto IPCC forte della ufficialità e autorevolezza della fonte appare chiaro si po’ riassumere in poche parole: NON C’È PIÙ TEMPO! BISOGNA AGIRE SUBITO E A LIVELLO GLOBALE.
Ma quali sono le risposte sinora adottate?
Dopo l’uscita scena (almeno per il momento) del negazionista Trump, la nuova presidenza USA sembrava riprendere il confronto con il resto del mondo e la Cina sembrava fare importanti promesse. Ma ora con la guerra in corso (alcuni vorrebbero che continuasse per molto tempo) sembra essere saltata qualsiasi strategia mondiale, o nazionale (se mai c’è stata). Ciò nonostante il tema ambientale è diventato molto di moda. Se ne parla in tutte le trasmissioni televisive e in tutti gli altri media. Talvolta in maniera più approfondita e sulla base di dati scientifici chiari e precisi, talvolta in maniera superficiale e imprecisa. Molto spesso con richiami alla necessità di un impegno individuale per modificare comportamenti dannosi. Ma raramente o quasi mai, con l’indicazione precisa delle responsabilità dei governi locali, nazionali e, soprattutto, delle grandi multinazionali, legati alla accettazione cieca di un modello economico ultra liberista dove l’acqua è diventata una merce da quotare in borsa e dove ci voglio tutti asserviti al feticcio chiamato “mercato”.
Va sottolineato (come in parte fatto all’inizio), che la questione ambientale è una questione politica, connessa a un preciso modello economico, sociale e culturale.
Un modello economico basato sull’estrazione di valore dal lavoro e dalla natura che ha come scopo non la soddisfazione di bisogni reali ma solo il profitto.
Un modello sociale, basato sulla sperequazione, tanto a livello delle singole società, quanto a livello del mondo intero. Un modello culturale, che ci rende dipendenti da un modello di consumi e di vita che spesso riteniamo l’unico possibile.
La risposta vera per affrontare il tema non può quindi essere una risposta politica imperniata sulla critica al modello politico economico imperante. Altre risposte, come quelle di molte organizzazioni ambientaliste piccole e grandi impegnate a migliorare qualche aspetto ambientale della vita quotidiana o come quelle delle aziende della green economy, non sono risposte adeguate ad affrontare la gravità e l’urgenza dei problemi, proprio perché non mettono in discussione il modello politico- economico. La piena acquisizione dei temi riguardanti il rapporto tra uomini e natura nella storia umana, permetterebbe di riaffrontare in maniera critica molte vecchie questioni: da quelle derivanti dalla imposizione, nei rapporti umani, della società patriarcale, a quelle relative alla proprietà dei mezzi di produzione e al ruolo delle forze produttive.
Per questo motivo è urgente e utile far nascere un soggetto Rosso-Verde. Un soggetto che sappia mettere a frutto non solo le nuove importanti esperienze di questi ultimi anni, come ad esempio quella del movimento dei giovani Friday for future, ma anche quelle di molti decenni fa, come ad esempio quelle nate negli anni ‘70 dalle lotte in fabbrica per una ambiente di lavoro e di vita migliore, lotte che avevano provato a realizzare momenti di unità sul territorio, esperienze che avevano provato ad incidere sulla identità e sulla impostazione culturale e strategica delle forze politiche della sinistra e del sindacato.
Ma oggi, molto più che degli anni ’70, in una fase in cui i conflitti per il controllo delle risorse sono diventati, a causa della crisi ambientale, certamente più devastanti, pertanto tale tentativo va rifatto.
Infatti ai conflitti per il controllo del petrolio o delle risorse minerarie, si sono aggiunti o hanno aumentato di intensità quelli per altre risorse naturali come l’acqua o i terreni fertili. Conflitti che hanno avuto, e avranno sempre più, come conseguenza l’aumento della povertà, il peggioramento delle condizioni sociali di intere popolazioni e l’aumento dei fenomeni migratori. Insomma la piena acquisizione i questi contenuti, aiuterebbe a riprendere seriamente i contenuti internazionalisti un tempo molto presenti nella sinistra, ma oggi un po’ dimenticati.
In proposito, vale la pena ricordare e tener presente per una riflessione, anche alcune importanti esperienze internazionali Rosso Verdi di questi ultimi anni.
La prima, anche se i contenuti si sono un po’ annacquati, quella del movimento del SEM Terra nella sua lotta contro il latifondo e per la difesa dell’Amazzonia. L’altra, più piccola ma forse più ricca di contenuti, quella del popolo Curdo del Rojava (vi invito a leggere il libriccino “Make Rojava green again”- edizione italiana a cura della rete Kurdistan Italia.
Insomma, volendo sintetizzare in pochi punti i nodi che abbiamo di fronte da affrontare per riuscire compiere la traversata del deserto, voglio sottolineare tre punti:
- È quanto mai necessario un soggetto ANTICAPITALISTA, fuori dall’orbita del PD (un partito liberista, completamente asservito alla NATO e agli USA);
- Gli attuali gruppi dirigenti della sinistra devono ridurre al minimo il loro campanilismo e i residui (molto ingombranti) di settarismo che li contraddistinguono;
- È necessario lavorare per costruire un soggetto politico con una identità eco-socialista, pacifista e internazionalista
In questo senso mi sembra che si muova l’appello, a cui hanno già aderito molte personalità della sinistra, “ROSSO-VERDE non è un ornamento”.
Mi sembra quindi utile concludere con la citazione delle frasi finali dell’appello che ben riassume il senso dell’impegno che abbiamo di fronte.
“Ciò a cui non possiamo rassegnarci è che sia più facile immaginare la fine del Mondo che quella del capitalismo. Non sono le idee e le proposte giuste che mancano, anzi vi è una ricchezza straordinaria. Che chiede una nuova grande soggettività sociale e politica, alternativa, capace di agire sulla dimensione europea per la quale ci vogliamo impegnare.”