Escluso per un soffio dalla possibilità di accedere al ballottaggio delle elezioni presidenziali francesi, Jean-Luc Melenchon rilancia con una nuova sfida. In un’intervista televisiva a due giorni dal voto per il primo turno, il leader della France Insoumise chiede ai francesi di eleggerlo primo ministro.
In realtà non è prevista l’elezione diretta del capo del governo e l’unica possibilità perché possa accedere a questo ruolo politico è la conquista di una maggioranza parlamentare nel voto che si terrà nel prossimo giugno. Si tratterebbe di una singolare forma di coabitazione, dato che il Presidente della Repubblica sarà necessariamente o Macron (dato in testa dai sondaggi) o la Le Pen.
Non sarebbe il primo caso di convivenze obbligata tra un Presidente della Repubblica di un orientamento e un governo di orientamento opposto. E, pur con qualche difficoltà, questo meccanismo è stato assorbito in un sistema che per sua natura è semi-presidenziale, dato che il ruolo di Presidente non coincide con quello di capo del Governo. Quando Presidente e maggioranza parlamentare si sovrappongono il ruolo presidenziale ne viene esaltato e diventa quasi monarchico, come è avvenuto con Macron.
Per ridurre i rischi di coabitazione furono i socialisti, allora guidati da Jospin, a cambiare la tempistica delle elezioni. Mentre nell’impostazione originaria voluta da De Gaulle, la Presidenza della Repubblica durava 7 anni e il Parlamento 5, con le modifiche apportate le rispettive durate venivano portate entrambe a 5 anni. Inoltre si stabiliva che le elezioni parlamentari sarebbero succedute a quelle presidenziali.
Il risultato, voluto, di queste modifiche istituzionali è stato di allineare la maggioranza presidenziale con quella parlamentare. E’ stato così anche nel 2017, quando Macron ha potuto conquistare una larga maggioranza assoluta pur avendo a disposizione un partito raccogliticcio e privo di radicamento territoriale.
Per molti elettori il vero confronto si gioca nella scelta del Presidente e le elezioni legislative sono state relegate ad elezioni di serie b. Nel 2017 hanno votato 37 milioni di elettori per scegliere il Presidente mentre se ne sono presentati 23 milioni all’appuntamento per l’elezione del Parlamento. Questa riduzione della partecipazione ha colpito soprattutto la sinistra che si è presentata divisa all’appuntamento e con una scarsa mobilitazione dei propri elettori.
Il rilancio di Melenchon, oltre ad essere l’ultima occasione di conquista del potere politico per l’esponente della sinistra che presumibilmente non potrà presentarsi alle prossime elezioni presidenziali (avrebbe 77 anni), può stimolare la partecipazione di un elettorato che si è mobilitato una settimana fa ma che potrebbe restarsene a casa tra un mese.
La sinistra complessivamente intesa, dai trotskisti ai verdi, può contare su oltre 10 milioni di voti e cinque anni fa Macron ha conquistato una larghissima maggioranza con 7-8 milioni di voti tra il primo e il secondo turno.
Mantenere mobilitati gli elettori è la prima condizione per avere quanto meno una presenza significativa nel prossimo parlamento. La seconda è il raggiungimento di un’intesa la più ampia possibile tra le diverse forze politiche che hanno portato al voto cinque candidati tra loro contrapposti (escludendo dal conto l’esponente di Lutte Ouvriere, gruppo considerato troppo settario per essere parte di qualsiasi accorso).
La convinzione di France Insoumise è che non si possa arrivare alle elezioni parlamentari in una posizione difensiva, dando l’idea che si cerca un accordo tra apparati solo per difendere le attuali posizioni parlamentari. Nel 2017, i socialisti hanno ottenuto 30 seggi, France Insoumise 17, il PCF 10, a cui vanno aggiunti 1 ecologista e 12 divers gauche. Il PCF è poi riuscito ad aggregare altri eletti per arrivare al fatidico numero di 15 deputati, necessario per poter costituire un proprio gruppo.
LFI ha scritto all’EELV (la formazione ecologista di Yannick Jadot), al PCF e al Nuovo Partito Anticapitalista (l’NPA di Besancenot, trotskista-movimentista) per avviare una trattativa in vista delle elezioni legislative. Non hanno coinvolto i socialisti, i quali a loro volta si sono mossi per proporre al movimento di Melenchon una qualche forma di accordo.
I rapporti di forza emersi dalle elezioni presidenziali sono evidentemente schiaccianti a favore di France Insoumise, la quale ora propone una vera e propria intesa politica che presuppone di assumere come base del confronto “L’Avenir en commun”, il programma di LFI, una convergenza nell’azione parlamentare ed ora evidentemente la volontà di convergere, qualora ne esistessero le condizioni, nell’elezione di Melenchon quale capo del governo.
Il rischio per France Insoumise è di sopravvalutare la propria forza, considerato che una parte del consenso (valutato forse nella metà) è stato ottenuto sulla base di una scelta tattica di elettori che di per sé non condividono interamente le proposte di Melenchon. Inoltre sia i socialisti che, in misura minore, i comunisti, mantengono un radicamento territoriale e una vicinanza all’elettorato che LFI non è mai riuscita a consolidare del tutto. Nata come strumento per supportare la candidatura di Melenchon alle elezioni presidenziali non ha avuto lo stesso successo nel consolidare una presenza diffusa nei diversi livelli istituzionali.
Sicuramente la proposta melenchoniana ha il vantaggio di consentire una campagna elettorale all’attacco e mobilitante, ma occorrerà vedere fino a che punto le altre forze politiche potranno accettare di diventare un’articolazione di una campagna elettorale di cui non determinerano né il contenuto politico né la struttura comunicativa. Mentre per il PCF il problema non deriva tanto dai contenuti programmatici quanto dalla volontà di mantenere aperto un dialogo con i socialisti, importante per difendere molte amministrazioni locali, per socialisti e verdi le differenze politiche sono assai più rilevanti. Questi ultimi preferirebbero certamente un accordo di non concorrenza nella presentazione delle candidature, molto meno impegnativo.
La France Insoumise ha dimostrato la propria capacità di raggiungere settori di elettorato popolare che si erano allontanati dal voto di sinistra (soprattutto in direzione dell’astensione) attraverso una strategia alternativa alla tradizionale Union de la gauche. Ora deve dimostrare di poter costruire uno schieramento unitario facendo pesare inevitabilmente la propria forza, ma anche di saper rispettare identità e storie diverse che mantengono una presenza nella società francese. Questo salto di qualità politico è indispensabile se vuol passare dall’essere il più forte soggetto politico in un campo di diventato strutturalmente minoritario ad essere il perno di una nuova maggioranza politica.
Intanto un risultato voto francese l’ha ottenuto. Smentire la narrazione di chi in Italia, commentando alcune elezioni nazionali (Portogallo, Norvegia, ecc.), vedeva ormai aperta la strada ad un ritorno ad una incontrastata leadership socialdemocratica e alla ricomposizione dei sistemi politici lungo la tradizionale alternanza fra simili convergenti al centro. Siamo ancora dentro una fase di smottamenti e cambiamenti e l’irruzione della guerra potrebbe rimettere in discussione ancora di più gli equilibri consolidati.
Franco Ferrari