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La sfiducia dei lavoratori inglesi

di Enrico
Sartor

Il 6 maggio 2021 la grande maggioranza degli elettori inglesi è andata alle urne per diverse prove elettorali, comprendenti l’elezione diretta dei sindaci di tredici provincie (tra cui le grandi municipalità di Londra, Manchester e Liverpool), di 143 consigli comunali, del Parlamento scozzese, del Senedd gallese e del nuovo membro del Parlamento per la costituency di Hartlepool.

Il risultato – decisamente negativo per i laburisti britannici – può a larghe linee essere considerato come una via di mezzo tra il risultato non troppo negativo per il partito e un esito assolutamente disastroso per Keir Starmer, da circa un anno leader del Labour.

Diciamo non troppo negativo per il partito con tutti i limiti della situazione di una forza politica che sembra aver perso ogni senso di direzione ed essere diventata incapace di contrastare i conservatori di Boris Johnson, forti del successo della campagna di vaccinazioni anti-Covid 19 e di un’economia in fase di rimbalzo, nonostante la crisi causata dalla Brexit. Come dicono i Tories, un successo basato su Jabs and Jobs.

Nonostante ciò, i laburisti hanno avuto un’avanzata record nel voto per il Parlamento gallese e per il sindaco della regione dell’Inghilterra Ovest, una vittoria enorme a Manchester e hanno tenuto a Liverpool; l’esito è positivo in altri comuni del Nord. Si tratta di vittorie del partito più che della leadership di Starmer, perché sono quasi completamente legate alle capacità personali dei candidati e delle strutture locali del Labour di creare un legame di programmi ed azioni con la specifica realtà del territorio. Il rieletto sindaco laburista di Salford, Paul Dennet, nel suo discorso per una vittoria che ha visto crescere le sue preferenze dal 49% del 2016 al 59% del 2021 ha criticato Stramer per l’assenza di una strategia di sviluppo economico in grado di rispondere alle richieste dell’industria manifatturiera del Nord Inghilterra. Il risultato per i laburisti è positivo laddove hanno promosso lo sviluppo e la crescita economica del territorio.

A tutto ciò si contrappone la mancanza di strategia della direzione di Starmer, il quale in un anno ha prodotto poco più che un’ipocrita campagna di epurazione all’interno del partito sulle basi delle accuse di antisemitismo ed una sterile e puramente negativa critica al governo conservatore su aspetti che una buona parte dell’elettorato considera marginali. La dissociazione tra il partito nazionale ed il suo elettorato è apparsa in tutta la sua evidenza nel seggio elettorale di Hartlepool, zona operaia – parte del bastione rosso – con livelli di disoccupazione del 15% e tassi di povertà infantile del 50% e che per i 64 anni della sua storia è sempre stato laburista. In queste elezioni la candidata conservatrice al Parlamento, una possidente terriera con residenza nelle Cayman Islands, ha doppiato nei consensi il candidato laburista, un medico che durante la pandemia si è prodigato per la comunità.

Una sconfitta cosi umiliante ha chiaramente radici più profonde della semplice vacuità strategica di Keir Starmer. C’è da considerare il cambio demografico della regione, soprattutto in relazione alla scomparsa durante il thatcherismo delle grosse fabbriche e delle strutture organizzative operaie associate. La nuova working class del nord è per lo più costituita da self-emploied (lavoratori autonomi), partite iva con l’iconico furgone bianco, o da famiglie di generazioni di disoccupati o lavoratori precari. Se la promessa centrale del programma del candidato laburista di migliori servizi scolastici e sanitari poteva essere determinante per l’operaio con il lavoro garantito a vita nella grossa fabbrica, quella conservatrice di investimenti per generare posti di lavoro e opportunità economiche è chiaramente più attrattiva per la nuova composizione sociale: Jabs, Jobs and Hope.

E poi vi è ancora la Brexit, che resta un cardine forte della culture war dei conservatori, e su cui i laburisti non possono avere una posizione chiara, dilaniati fra l’elettorato pro Brexit del Nord e la base remain delle città. Ma anche lì appare veramente vacuo e patetico lo sforzo di Starmer di rincorrere a destra i conservatori affermando il valore di sinistra del patriottismo e facendosi fotografare con la bandiera alle spalle. Patetico soprattutto perché gli manca il radicalismo di un Boris Johnson, che ha completamente ridefinito in termini  populisti il suo partito: si pensi a B.J. che manda un paio di incrociatori della marina militare a difendere a Jersey contro i pescherecci francesi interessi economici quasi inesistenti. Niente potrebbe essere più spettacolare – come direbbe Debord – di questa assolutamente sproporzionata reazione che non ha nessun rapporto col reale, ma che il reale può profondamente modificare grazie al potere mobilitante della sua iconicità immaginaria.

Che il vuoto della strategia laburista sotto la leadership di Starmer sia stata al centro della sconfitta elettorale, lo aveva accennato anche Angela Rayner, prontamente e un po’ vigliaccamente individuata da Starmer come capro espiatorio all’indomani dei risultati elettorali. Ms Rayner era persona di enorme potere all’interno del partito, come vice capo del gruppo parlamentare, segretaria di stato del governo ombra, presidente del partito e coordinatrice nazionale della campagna elettorale. Con una solida base working class ed unionista, la sua nomina alla presidenza del partito era stato un tentativo iniziale di Starmer – appena nominato segretario generale – di ricucire con la sinistra: infatti Rayner aveva appoggiato la candidatura di Rebecca Long-Bailey, corbynista di ferro. Tanto potente che Starmer ha dovuto fare rapidamente marcia indietro nel suo tentativo di licenziarla, lasciando a Rayner tutti i ruoli, a parte quello di coordinatrice nazionale (che ha affidato ad altra persona più fidata) e quello di segretaria di Stato (che però è stato rimpiazzato con ben due incarichi nel governo ombra laburista: la Duchy of Lancaster (ministero preposto al controllo delle proprietà della casa reale) e il nuovo ministero del Futuro del Lavoro, inventato su misura).

Queste e l’idea di trasferire la sede centrale del partito da Londra a qualche città del Nord sono per ora le due mosse di Starmer. Poco, nulla. Le strade delle città inglesi sono piene di povertà, ingiustizia sociale e rabbia. Solo un partito in grado di coinvolgere i soggetti sociali in un progetto che offra un concreto futuro migliore – come il partito a direzione Corbyn del 2016 e, per alcuni aspetti, il populismo targato B.J. per quanto riguarda alcune componenti sociali – può acquistare la forza politica per dirigere il Paese. Per ora Starmer è per molti inglesi solo un avocato molto ricco della parte buona di Londra, che chiede di essere votato solo perché critica un altro ricco privilegiato.


da Londra

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