Mentre il Parlamento europeo discute di sofa-gate, il Consiglio europeo di soldi a Erdogan per “trattenere” i migranti, in Turchia si processano decine di militanti e parlamentari curdi del partito Hdp per i “fatti di Kobane” e cioè l’appoggio a chi combatteva l’Isis, mi capita di vedere due fiction turche su Netflix.
Il che mi dà l’occasione di affrontare un tema storico come quello dei rapporti tra UE e stato turco secondo un punto di vista che ho maturato negli anni al Parlamento europeo.
Ho sempre detto, un po’ scherzando, che una delle pochissime cose su cui ero d’accordo con Prodi era l’idea dell’allargamento alla Turchia.
Chi mi rimandava un po’ a quella Europa dall’Atlantico agli Urali che proponeva il movimento pacifista negli anni ’80 della lotta agli euro missili.
Ho sempre pensato che la islamofobia, come la russiafobia, fossero un disvalore ma anche una copertura per altre logiche geopolitiche.
Che poi con la Turchia diventano ancora più perverse visto che Ankara fa parte della Nato. E infatti questa perversa doppiezza geopolitica è quella che impedisce di affrontare la vera questione spinosa e cioè quella curda. Che non è solo un “problema” per il nazionalismo turco ma per gli “equilibri” di una area dove la prospettiva di una riconnessione dei curdi, anche nelle logiche federali che pure loro stessi propongono, viene mal vista da troppi. I curdi vanno bene per combattere l’Isis ma poi li si processa per Kobane.
La UE non ha mai messo la questione curda al centro delle “trattative” di allargamento.
C’è stato un brutto balletto di aperture e chiusure legate agli ondeggiamenti in particolare tedeschi che hanno di fatto favorito l’involuzione turca in una logica di potenza intermedia.
E intanto sono andate avanti i cinici pagamenti anti migranti.
Che questo sia un peccato lo si avverte anche dalla visione di Ethos e Fatma che sono le due serie di cui parlavo all’inizio.
Ethos e Fatma stanno su Netflix ma sono state molto seguite e dibattute e per altro vi recitano attrici e attori che in patria vanno per la maggiore.
Cosa hanno queste due serie che fa riflettere? Innanzitutto delle straordinarie protagoniste femminili. Donne forti, nel caso di Fatma addirittura ferocemente “vendicative” di torti subiti. La violenza sulle donne, nei suoi aspetti anche “famigliari” è esplicitamente richiamata. Ma conosce una reazione, sia pure in percorsi travagliati. Il carattere duale della Turchia, tra Asia ed Europa, Islam e psicanalisi, campagne e città, velo e capelli liberi si svolge in narrazioni che non censurano. Quello che avevo letto nei libri di Pamuk o visto nei film di Ozpetek, ho ritrovato nella particolarità di fiction destinate a tutti.
Se si pensa, e si condanna, l’uscita della Turchia dalla convenzione di Inatabul contro la violenza sulle donne, guardando queste serie si ha la conferma che questa scelta non è pacifica ed indolore.
E io ho trovato la conferma all’idea che dicevo all’inizio. L’allargamento era possibile e permetterebbe un incontro costruttivo di popoli, di donne, di movimenti. Naturalmente, mai ai danni del popolo curdo, ma partendo dal riconoscimento dei suoi diritti.