editoriali

La seconda potenza mondiale

di Roberto
Musacchio

È presto per dire che possa tornare. Eppure qualche primo passo viene mosso. Parlo di quel grande movimento pacifista che a cavallo del nuovo millennio così fu battezzato, la seconda potenza mondiale. Serviva ad indicarne l’essere alternativo al mondo unipolare ed alla egemonia della guerra preventiva e permanente, economica e militare. Era erede del pacifismo degli anni ’50 e ‘60, poi di quello contro gli euromissili ad Est e a Ovest. Era riuscito a non soccombere alla guerra fredda, al “campismo”, aveva saputo trarre dalle lotte di liberazione e dalle ideologie liberatorie una sincera spinta al valore della pace, della giustizia, delle singole vite umane. Aveva retto il primo impatto col nuovo mondo, quella della fine della Storia, sapendo cogliere la nuova realtà dei dominanti contro i dominati, del capitalismo finanziario globalizzato, della lotta di classe rovesciata. Non era solo pacifista ma, giustamente, fu detto movimento dei movimenti. Alterglobalista o no global. Credo che non abbiamo dedicato abbastanza tempo e attenzione a riflettere sulle ragioni della sua sconfitta e della sua diaspora. Cosa che sarebbe servita particolarmente in Italia. Dove quel movimento fu particolarmente forte ed erede di tante storie del “caso italiano”. E dove c’era un partito, il Prc, che era tra i pochi a partecipare in quanto tale a tutti i suoi livelli, da quelli mondiali a quelli europei e nazionali. Ispiratore di un partito e di un gruppo parlamentare europei che vivevano nelle sedi di movimento. Partecipe dei principali appuntamenti, in realtà conflitti, che il movimento ingaggiava col potere. Genova, il punto cruciale.
Nella riflessione italiana troppo poco si è tenuto conto del contesto globale di una sconfitta e di una diaspora. Si sono cercate scorciatoie, dal mai più al governo o mai con questo o quello, alla nuova subalternità alla politica dominante, al ritorno dei movimenti in un argine sociale altro dalla politica o per single issues. L’arretramento non è stato così evitato né ai movimenti né alla politica alternativa. Intanto le cause della sconfitta e della diaspora si andavano consolidando e le nuove dinamiche andavano per strade nuove ma in realtà antiche. Di fronte all’unipolarismo sono riemersi multipolarismi che però non propongono fondamentalmente alternative di società ma guerre militari, ideologiche, economiche dentro lo stesso contesto del capitalismo finanziario e della lotta di classe rovesciata. Con il sostegno di ideologie fondamentaliste, reazionarie, suprematiste, nazionaliste anche nelle loro versioni globaliste, religione come vero oppio. Non so dirmi perché tutto ciò ci ha anche scompaginati. Forse il nesso col socialismo, per quanto devastato dalla sua versione reale, era più necessario di quanto percepito. Certo le contraddizioni tra capitalismo si sono organizzate per conto proprio, per altre strade e lasciando fuori la lotta di classe. I neocon hanno sfondato a sinistra. Ma anche i campisti capitalisti. Ho detto che non so dire perché ciò sia avvenuto. Penso che la straordinaria congiunzione realizzata a cavallo tra ‘800 e ‘900 tra pensiero forte, movimenti forti e anche nuovi poteri sia stata una esperienza straordinaria e perciò combattuta dal capitalismo senza quartiere. E che da qui occorre ripartire.
Intanto, nel piccolo, stiamo provando a ripartire dalla cassetta degli attrezzi del movimento dei movimenti che molti ancora conservano. L’appello europeo Stop ReArm e le reti e le mobilitazioni che stanno riprendendo pazientemente piede provano a rilucidare gli arnesi. Un appello contro la scelta della potenza neonazionalista UE di fare del riarmo la propria ragion d’essere che seppellisce definitivamente l’Europa democratica e sociale che nacque dalla lotta al nazifascismo raccogle firme che in tutta Europa riconnettono anche chi si è trovato diviso, e impotente, sulla parte di guerra mondiale a pezzi che si svolge in Ucraina. La strada verso una mobilitazione europea nei giorni in cui a giugno la NATO si riunisce per riarmare la UE con il 21 giugno come data centrale è in costruzione. Dall’Italia e in Italia ci ritroviamo e ritroviamo la capacità di dare un contributo importante a questa ripartenza. Radicalità ed unita sono le bussole. Saper cucire. Riconnettere pezzi. Ricostruire un proprio punto di vista. Ecco che questo fine settimana passato si è stati a Roma su un ponte per Gaza, in piazza del Pantheon con mille sigle per la pace, a discutere con la tre giorni di Disarma. A Ghedi si è andati alla base NATO. Ad Anagni a quella fabbrica che fu Winchester e ora vogliono sia armeria per la UE. E l’ultimo giorno di Gaza, l’ultimo della Europa, è stato gridato un po’ ovunque. Ora si può, si vuole, si deve andare avanti. Il movimento vuole essere con la rete che combatte la repressione, la faccia della guerra interna, il 31 maggio. Nei referendum per lavoro e cittadinanza l’8 e il 9 giugno. E poi, con tutta Europa, il 21 in una grande manifestazione nazionale. Forse la vecchia talpa ha ripreso a scavare.
Roberto Musacchio

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