La ripetizione del primo turno delle elezioni presidenziali in Romania ha confermato l’ascesa dell’estrema destra. Il candidato rappresentante di quest’area, George-Nicolae Simion, leader dell’Alleanza per l’unione dei romeni (AUR) ha raccolto 3.862.761 voti, pari al 40,96%. I due principali candidati centristi, Nicusor Dan, sindaco di Bucarest e Crin Antonescu, del Partito Nazional-Liberale in rappresentanza della coalizione governativa in carica che comprende anche i socialdemocratici, si sono giocati il ballottaggio collocandosi in un fazzoletto tra il 20 e il 21%. Ha prevalso Dan, che non aveva il sostegno di nessuna forza politica significativa.
Sulla carta la somma dei voti del secondo e del terzo arrivato sarebbero sufficienti per sconfiggere Simion ma si tratta di un’ipotesi tutt’altro che scontata. Il quarto arrivato Victor Ponta proviene dalla socialdemocrazia ma ha virato in direzione del nazionalismo e quindi i suoi voti, 1.230.164 non hanno un destino scontato. Inoltre Nicusor Dan si è affermato politicamente grazie alla sua campagna contro i partiti di governo contestandoli soprattutto sul terreno della corruzione e dell’inefficienza.
In questi giorni i candidati esclusi dovranno decidere se schierarsi ufficialmente per l’uno o l’altro candidato. Secondo il quotidiano rumeno Adevarul, lo stesso Partito Socialdemocratico che, al di là del nome, mantiene poco della tradizione della socialdemocrazia, è diviso tra i due contendenti del ballottaggio. Sembra probabile che non venga data alcuna indicazione ufficiale e questo lascerebbe in pratica ai sindaci del partito, che ne costituiscono la vera ossatura anche per le reti clientelari di cui dispongono, la decisione di mobilitarsi, a seconda delle preferenze per Simion o per Dan.
Il candidato dell’estrema destra si era già presentato alle elezioni dell’anno scorso, poi annullate prima del secondo turno, ma il consenso dell’elettorato attratto da posizioni populiste antisistema aveva privilegiato lo sconosciuto Calin Georgescu. Essendo quest’ultimo impossibilitato a ripresentarsi, Simion ha raccolto più voti di quelli ottenuti separatamente dai due esponenti dell’estrema destra lo scorso anno.
Le elezioni vennero annullate sulla base di affermazioni dei servizi segreti romeni, sulla cui attendibilità non è facile avere certezze, di un intervento nascosto di forze estere (accusa implicitamente riguardante la Russia) che si sarebbe soprattutto esplicitato attraverso migliaia di account fantasma su TikTok, un social molto popolare in Romania.
La decisione della Corte Suprema, sulla base di queste accuse, di annullare il ballottaggio e successivamente di escludere Georgescu dalla corsa hanno sollevato molte proteste popolari e sollevato un dibattito che si estende al di fuori della Romania sull’opportunità di utilizzare i mezzi legali per escludere dalla competizione elettorale esponenti o partiti dell’estrema destra. Dibattito che non ha riguardato solo una realtà periferica come la Romania ma anche Paesi come la Francia, a seguito della condanna e della dichiarazione di incandidabilità di Marine Le Pen e poi la Germania con la dichiarazione del Comitato per la difesa della Costituzione che ha etichettato l’AfD partito estremista, pericoloso per la democrazia e in contraddizione con i principi costituzionali.
Queste vicende rischiano di mettere in contrasto principi altrettanto importanti. Si rivendica da un lato la necessità di far funzionare lo “stato di diritto” e quindi di subordinare tutti i partiti e gli stessi esponenti politici al rispetto delle leggi, dall’altra si evidenzia il rischio che l’intervento della magistratura alteri il principio democratico della libertà di scelta degli elettori. In Francia questo dibattito ha attraversato la sinistra, con Mélenchon che ha dato più rilievo al secondo aspetto, mentre il resto della sinistra ha rivendicato la centralità del primato della legge e del rispetto dell’indipendenza della magistratura.
In Germania il confronto che attraversa tutte le forze politiche riguarda se far seguire alla dichiarazione della Commissione per la difesa della Costituzione lo scioglimento del partito, scelta che comunque spetterà eventualmente alla Corte costituzionale. Nella storia della Germania federale, dopo la fine della guerra mondiale, questa decisione ha colpito solo alcune formazioni di estrema destra dalle aperte simpatie naziste e il Partito Comunista Tedesco che col nazismo non aveva nulla a che fare ma che subiva una decisione fortemente condizionata dal clima della guerra fredda.
Al di là del dibattito di principio quello che sembra di poter registrare è l’inefficacia di decisioni affidate alla magistratura nell’arginare l’ascesa dell’estrema destra. In Romania lo si è visto in modo evidente, anche se ora bisognerà aspettare l’esito del ballottaggio per comprendere se ci sarà una reazione elettorale a favore del candidato centrista.
La difficoltà principale, per il sindaco di Bucarest, al di là del non essere particolarmente noto nella Romania rurale, dove l’appello della destra populista ha più successo, consiste nel sostenere, corruzione a parte, le stesse politiche di privatizzazione e taglio delle spese sociali condotte negli anni passati dai partiti di governo.
Nicusor Dan promette di centrare la sua campagna elettorale sulla difesa della collocazione “occidentale” della Romania. Nel suo caso la vocazione “occidentale“ implica l’adesione al progetto neoliberista sul quale si è fondata l’UE del dopo Maastricht. Come in quasi tutti i paesi emersi dal crollo del blocco socialista le società sono divise fra una parte soprattutto urbana e istruita e di classe media ascendente che considera valide le promesse di libertà e benessere del progetto europeista e un’altra che dell’Europa reale ha vissuto le ricadute negative sul piano occupazionale e delle tutele sociali.
La composizione sociale degli elettori dell’estrema destra rumena, simile alla base di tante altre analoghe formazioni europee, raccoglie un insieme di settori che sono o si ritengono i perdenti della globalizzazione fortemente voluta dall’Unione Europea.
Tutte le zone periferiche e rurali si orientano all’estrema destra, ma anche moltissimi giovani che non vedono prospettive diverse dall’emigrazione, e molta piccola e media borghesia i cui interessi economici non sono direttamente beneficiari del grande capitale multinazionale. Tutto questo viene cementato dalla retorica nazionalista e da elementi di conservatorismo sociale spesso legato al ruolo retrivo delle chiese ortodosse.
Se Dan si propone come l’ancoraggio ad un “Occidente” fortemente ideologizzato e idealizzato, non si deve pensare che Simion rappresenti un’alternativa “Orientale”. In realtà il candidato arrivato in prima posizione rivendica il proprio trumpismo e il proprio spirito “MAGA”. Non è favorevole alla prosecuzione del sostegno militare all’Ucraina ma rivendica pienamente il proprio ruolo nella NATO, di cui anzi auspica il rafforzamento. Non ha nessuna obiezione nei confronti dell’ampliamento della presenza militare in Romania che nella prospettiva di un confronto sempre più diretto con la Russia rappresenta il fronte sud fondamentale anche per il controllo del Mar Nero. Se ci sono simpatie filo-russe queste riguardano la retorica anti-LGBT+ e la scarsa propensione a riconoscere diritti civili, piuttosto che la collocazione “geopolitica”.
Tragicamente in Romania non esiste praticamente alcun progetto politico significativo di sinistra. Il Partito Socialdemocratico, in teoria, dovrebbe essere la forza che difende gli interessi delle classi popolari. In realtà se ne è sempre più allontanato in modo tale da avere perso molta credibilità. Dopo i primi anni ’90 quando l’allora Fronte Democratico per la Salvezza Nazionale, entrato in campo alla caduta di Ceausescu, si poneva ancora l’obbiettivo di evitare la “terapia shock” e di attenuarne le conseguenze sulle classi popolari, hanno prevalso sempre di più trasformismo e opportunismo e la mancanza di qualsiasi visione sociale forte.
Alla sua sinistra esistono solo piccole formazioni senza impatto elettorale o perché troppo attardate a guardare il passato o perché ispirate ad una politica movimentista ma priva di radicamento sociale.
Nel sistema istituzionale rumeno il Presidente della Repubblica dispone di poteri effettivi ma solo su alcune materie tra cui, e non è poco, la politica estera. Inoltre può nominare il primo ministro, mentre quello in carica nel frattempo di è dimesso visto lo scarso consenso ottenuto dal candidato filo-governativo, ma ha bisogno del voto favorevole del Parlamento perché entri in carica. Attualmente una maggioranza di estrema destra non c’è, ma non si possono escludere smottamenti e cambiamenti di campo tra i partiti che vi sono rappresentati. Nella storia della Romania post-Ceasescu non sarebbe una novità.
Franco Ferrari