Le primarie della coalizione di centrosinista al governo in Cile, coalizione che esprime l’attuale presidente in carica, Gabriel Boric, hanno decretato un chiaro successo della candidata comunista Jeannette Jara, con oltre il 60% dei voti.
L’ex Ministra del Lavoro, carica alla quale ha rinunciato qualche mese fa per poter partecipare alla gara presidenziale, ha battuto nettamente la favorita della competizione, Carolina Tohà, anche lei ex Ministra, ed espressione delle correnti moderate della sinistra cilena. Queste sono rappresentate principalmente dal Partito Socialista e dal Partito per la Democrazia (nel quale, al momento della fondazione, erano confluiti anche esponenti comunisti), eredi della cosiddetta Concertacion che ha governato il Cile per diversi anni con una politica sociale piuttosto centrista e l’accettazione di una uscita dalla dittatura condizionata dai compromessi imposti dai militari. Carolina Tohà si è fermata al 28%.
Il candidato del Frente Amplio, la formazione politica del Presidente Boric, non è andato oltre il 9%, segno evidente di una crisi di questo progetto politico sorto da settori del movimento studentesco che si sono caratterizzati per una prospettiva post-moderna e post-marxista. La sconfitta di Frente Amplio è principalmente la conseguenza della deludente politica portata avanti da Boric che non ha mantenuto le aspettative di rinnovamento politico e sociale che lo avevano condotto alla vittoria. Progressivamente, Il Presidente, che nelle primarie precedenti aveva battuto il comunista Daniel Jadue, poi vittima di una persecuzione giudiziaria, si è inclinato alle condizioni imposte dai settori dell’establishment tradizionale.
La coalizione progressista ha pagato duramente anche la sconfitta del progetto di riforma costituzionale. Se da un lato la gestione di governo si è rivelata sempre meno coraggiosa, nella elaborazione della costituzione hanno pesato tendenze radicali identitarie che non hanno convinto la maggioranza dell’elettorato popolare.
Jeannet Jara ha vinto grazie al lavoro positivo svolto da Ministra del Lavoro, anche se alcune scelte politiche, frutto di difficili mediazioni con la controparte padronale, sono state considerate insoddisfacenti anche all’interno dello stesso Partito Comunista. Attorno alla sua personalità sono convogliate una serie di spinte non solo politiche ma anche emotive. Le sue origini popolari, la sua capacità di comunicare in modo semplice anche attraverso le reti sociali, il suo rifiuto di scadere nella polemica demonizzante dell’avversario, si sono imposti come valori positivi. La sua campagna elettorale è andata continuamente in crescendo e ha portato ad una mobilitazione sempre più significativa di giovani e al sostegno di sindaci indipendenti eletti in zone popolari.
La Presidenza Boric ha attraversato momenti controversi anche per quanto riguarda il posizionamento di politica estera. A partire da una concezione di “democrazia radicale”, debitrice delle prime elaborazioni di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe contenute in “Hegemony and Socialist Strategy”, che già sviluppavano una lettura non classista dell’egemonia gramsciana, Boric ha assunto posizioni molto critiche sia del Venezuela che di Cuba, in dissonanza con settori importanti della sinistra cilena e latinoamericana.
Un atteggiamento che è stato rafforzato anche dall’impatto della immigrazione dal Venezuela nella quale sono confluiti sia elementi di ceto medio e di borghesia ma anche importanti settori popolari, vittime delle difficili condizioni economiche del paese.
Su questi aspetti, Jeannette Jara ha tenuto a mantenere una certa distanzia dalle posizioni più strettamente filo-Maduro e filo-cubane del suo partito, rivendicando per sé, in qualità di eventuale futura presidente, il potere di dettare la politica estera.
La vittoria nelle primarie con oltre 800.000 voti è solo il punto di partenza di una competizione elettorale che si concluderà a novembre. Mentre il centro-sinistra si presenta compatto e per questo ha svolto le primarie, la destra è divisa in tre candidature, che vanno dalla destra tradizionale (Matthei), alla destra estrema (Kast), all’ultra estrema destra ispirata da Trump e Milei (Kaiser). Tutti e tre sono di ascendenze tedesche ma mentre Kast è figlio di nazisti, Kaiser proviene dalla famiglia di un socialdemocratico esiliato dalla Germania per l’ascesa di Hitler. Il che non gli impedisce di seguire una politica reazionaria e provocatoria.
La destra si sente sufficientemente forte da non ritenere necessario il ricorso alle primarie. In pratica sarà il primo turno elettorale a decidere chi prevarrà nella gara del fronte reazionario. I sondaggi sembravano persino indicare la possibilità di un secondo turno dal quale risultasse esclusa la sinistra. E’ stata introdotta l’obbligatorietà del voto ma questo (contrariamente a quanto farebbe supporre qualche mitologia sulla natura dell’astensionismo) tende a favorire la destra. Ma non si può escludere una dinamica di mobilitazione popolare in favore di Jeannette Jara.
Il primo sondaggio successivo all’esito delle primarie, vede Jara al primo posto con il 26%, al secondo Kast con il 23%, al terzo Matthei col 19% e solo al quarto Kaiser col 9%. Se così fosse il passaggio al secondo turno sarebbe garantito, ma la somma dei candidati di destra sarebbe comunque superiore al 50%.
Jeannette Jara dovrà affrontare una violenta campagna anticomunista per il solo fatto di essere militante di quel partito. Il suo programma in realtà può essere considerato un ragionevole catalogo di proposte riformiste che, nell’attuale contesto di ascesa dell’estrema destra e di rifiuto crescente delle oligarchie economiche ad accettare anche un minimo di politiche di ridistribuzione della ricchezza, rappresenterebbe comunque una inversione di tendenza sui decenni precedenti. Finora né la socialdemocrazia e il centro-sinistra della Concertacion, né la nuova “nuova sinistra” postmarxista di Boric sono state in grado di tradurre in politiche di governo le aspirazioni popolari.
Jeannette Jara potrà vincere se riuscirà a dare credibilità alle sue proposte programmatiche di tutela dei diritti lavorativi e sociali e di ripresa del ruolo riequilibratore dello Stato. Una sfida certamente complicata, ma la sua stessa vittoria alle primarie sembrava impossibile fino a poche settimane fa.
Per i comunisti cileni la partecipazione a “fronti popolari” rappresenta una costante nella storia, alternati a momenti di isolamento politico dal quale sono sempre riusciti a riemergere. Negli anni ’30, nell’immediato dopoguerra e poi con l’esperienza, conclusa tragicamente, di Unidad Popular, il PCCh ha perseguito la possibilità di portare al potere gli interessi delle classi popolari.
Dopo la fine della dittatura, il Partito Comunista ha perseguito la costituzione di diversi raggruppamenti che inglobavano vari settori dell’estrema sinistra, provando a costituire un’alternativa al bipolarismo, senza però riuscire ad entrare in Parlamento. Solo verso il 2005-2006, il PCCh, che aveva comunque mantenuto significative presenze sia nel movimento sindacale (da cui proviene l’attuale segretaria generale Barbara Figueroa) che in quello studentesco (in cui hanno militato esponenti della nuova generazione come Camila Vallejo), è tornato a partecipare ad alleanze “frontiste” più ampie, sempre mantenendo una propria forza autonoma di mobilitazione e relazioni dirette con importanti settori sociali.
Con la vittoria nelle primarie ora si apre uno scenario del tutto inedito, nel quale una comunista guida l’intera coalizione progressista e si apre una possibilità, per quanto ancora difficile, di accesso al potere.
La vicenda cilena ha sempre avuto delle importanze risonanze con la realtà politica italiana. Lo stesso Partito Comunista, pur mantenendo un profilo più “filosovietico” di quello italiano si è posto problemi simili di costruzione di una “via al socialismo” utilizzando la dimensione democratica ed elettorale. L’esperienza di Unidad Popular degli anni ’70 venne interrotta nel sangue. Oggi siamo in contesto generale di minore radicalizzazione, ma dal Cile, come dalla città di New York potrebbe venire una nuova – e purtroppo ancora rara – nota di speranza.
Franco Ferrari
