Investimenti ritardati e insufficienti nell’innovazione tecnologica, organizzativa e produttiva da parte delle case automobilistiche e la fine di sussidi e incentivi pubblici stanno danneggiando un settore fondamentale per la transizione verde. La crisi di mercato è un grave problema per l’industria automobilistica europea, tradizionalmente motore industriale del continente e protagonista sia sul fronte tecnologico sia sul fronte dei consumi, e con un rilevante peso politico. Una delle più grandi al mondo – vale il 7% del PIL del continente e impiega direttamente e indirettamente 13 milioni di persone (l’8,5% dell’occupazione manifatturiera) -, si trova oggi a dover affrontare una fase di trasformazione strutturale critica. I dati sulle vendite mostrano un mercato in declino, le aziende fermano interi stabilimenti e minacciano chiusure e licenziamenti, i dipendenti organizzano scioperi. Gli acquirenti sono alle prese con la pressione per passare all’elettrico mentre i veicoli a batteria continuano a essere più costosi delle già costose auto con motore a combustione.
Questo autunno, aziende come Renault, Peugeot/Fiat/Stellantis e Volkswagen si trovano ad affrontare il problema del crollo del mercato per le auto elettriche. I governi di tutta l’UE hanno ritirato o finito sussidi e incentivi1 e non riescono a fornire livelli rassicuranti di investimento in infrastrutture di ricarica e capacità di rete. A oggi manca in molti Paesi un’appropriata rete di distribuzione capillare di rifornimento dell’energia, che limita l’utilizzabilità delle auto elettriche su larga scala2. Di conseguenza, le vendite di veicoli elettrici sono molto lontane dal ritmo necessario nel percorso verso gli obiettivi di zero emissioni del 2035. Secondo i nuovi dati dell’Associazione europea dei costruttori di automobili (ACEA), agosto ha registrato il quarto calo mensile consecutivo delle vendite (un calo del 43,9% rispetto all’agosto dell’anno precedente, con una quota totale di mercato in discesa dal 21% al 14,4%). Nel complesso, le vendite di auto elettriche sono al minimo da tre anni, con cali a due cifre in Francia (-31%), Germania (-61%) e Italia (-41%)3. I dirigenti della Volkswagen, simbolo della forza industriale della Germania, hanno dichiarato l’intenzione di chiudere fabbriche nazionali per la prima volta nella storia dell’azienda (si veda il nostro articolo qui).
Oltre alla crisi del costo della vita e al prezzo relativamente alto dei veicoli elettrici4, gran parte delle case automobilistiche europee attribuisce la causa della crisi alla concorrenza delle aziende cinesi, soprattutto in Cina, dove si è registrata una contrazione della domanda di veicoli a combustione ed elettrici europei, causata dalla crescente concorrenza dei produttori locali. I sussidi statali e l’accesso ai materiali essenziali per le batterie stanno consentendo ai produttori cinesi di indebolire notevolmente le aziende europee e, cosa altrettanto importante, di rappresentare una seria minaccia al dominio del loro enorme mercato interno. Le case automobilistiche cinesi stanno dando una prova di forza al Salone dell’auto di Parigi questa settimana: il costo di produzione di un veicolo elettrico in Cina è più basso che altrove, anche se non si considerano i sussidi, a causa dell’impressionante aggiornamento tecnologico della Cina e delle enormi economie di scala5.
I grandi gruppi automobilistici europei si trovano quindi a fronteggiare la crescente concorrenza cinese in Cina, in Europa e altrove nel mondo, insieme ad una domanda troppo debole in Europa per rendere la transizione energetica sostenibile dal punto di vista economico. In uno scenario internazionale in rapido mutamento e in fase di ripensamento delle supply chains globali, l’Europa si trova a dover gestire difficoltà competitive legate a costi più elevati. Inoltre, l’aumento del rischio di dipendenze di tecnologia e di materie prime (strategiche e non) mette a repentaglio la propria posizione di eccellenza industriale.
La posta in gioco non potrebbe essere più alta. Se non si affrontano le difficoltà dei marchi nazionali di punta e di grandi aziende come Volkswagen e Stellantis (che negli ultimi anni ha puntato tutto sulla riduzione dei costi e l’aumento dei profitti, mantenendo alti i prezzi di vendita soprattutto negli USA, a scapito degli investimenti6) che operano nel settore dei grandi volumi e si trovano ad affrontare tutta la forza della concorrenza cinese, ai partiti di estrema destra come Alternative für Deutschland o la Lega di Salvini verrà dato ulteriore spazio per attaccare gli obiettivi verdi come una minaccia alla prosperità nazionale.
Riconoscendo la crisi, la Commissione europea ha introdotto misure di difesa commerciale e ha pianificato di imporre pesanti dazi sui veicoli elettrici cinesi dopo un’indagine anti-sovvenzioni durata un anno (vedi il nostro articolo qui). Saranno validi per cinque anni, e hanno l’obiettivo di ostacolare i produttori cinesi di auto sul mercato europeo. I negoziati tra Commissione e Cina per trovare una soluzione di compromesso (su meccanismi quali impegni sui prezzi o investimenti in Europa) sono ancora in corso, ma i toni sono per ora alti da entrambe le parti, mentre alcune delle principali case automobilistiche cinesi (come BYD, Geely e SAIC) stanno avviando impianti produttivi in Ungheria, Spagna e altri paesi (anche in Marocco e Turchia). BYD, il secondo produttore mondiale di auto elettriche dopo Tesla, prevede di produrre e comprare componenti in Europa e di assemblare pacchi batteria nei suoi stabilimenti in Ungheria e Turchia, importando solo la cella della batteria dalla Cina7. Una mossa che aggraverà la sovracapacità produttiva nella regione e spingerà alcuni produttori locali a chiudere delle fabbriche. Nonostante le case automobilistiche cinesi abbiano criticato il protezionismo dell’UE, avvertendo che i dazi previsti dall’UE porteranno solo a prezzi più alti e scoraggeranno gli acquirenti, continuano a portare avanti i piani di espansione europea e finora nessuna ha dichiarato che aumenterà i prezzi per coprire i dazi.
La strada dei dazi protezionistici creerà nuovi problemi. Una guerra commerciale con la Cina avrà inevitabilmente conseguenze dannose per gli esportatori europei di auto e di altri beni. Nel giro di pochi giorni, infatti, la Cina ha annunciato alte tariffe sulle importazioni di brandy europei (soprattutto francesi)8. Prossimi obiettivi cinesi potrebbero essere la carne di maiale, i prodotti lattiero-caseari e i beni di lusso (come quelli del “made in Italy”). Ecco perché la Germania (insieme a Ungheria, Slovacchia, Slovenia e Malta) si è opposta ai dazi (fino al 45,3%) approvati sulle importazioni di auto elettriche cinesi il 4 ottobre (Italia, Francia, Polonia e altri sette paesi hanno votato a favore, mentre 12 si sono astenuti, compresi Spagna e Svezia)9. Teme che un atteggiamento troppo combattivo possa provocare una escalation che mette a rischio le sue esportazioni di veicoli con motore a combustione di grossa cilindrata verso la Cina e l’integrazione industriale che molte sue aziende hanno coi partner cinesi, da cui dipende una quota importante dei profitti di molte grandi aziende tedesche10. E agire per tenere i veicoli elettrici cinesi economici fuori dal mercato europeo non farà nulla per aumentare la domanda dei consumatori, in un settore fondamentale per la transizione verde.
Per il settore auto europeo, la sfida più significativa è rappresentata dalla necessità di adeguarsi alle politiche green promosse dall’UE, che impongono obiettivi ambiziosi (il divieto di vendere veicoli a benzina e diesel al 2035) e richiedono sforzi superiori a quelli previsti per altri settori11. Di fronte alle proteste degli agricoltori, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha già fatto marcia indietro su alcuni degli obiettivi climatici che hanno definito il suo primo mandato12. Mentre la prossima fase della transizione cerca di decarbonizzare elementi essenziali della vita quotidiana, comprese le auto che guidiamo, il passaggio al green deve essere visto come accessibile per i consumatori, compresi i meno abbienti, e come una fonte di rinnovamento economico e crescita per le aziende e le regioni europee.
La spinta verso la conversione del trasporto dal motore endotermico a quello elettrico, se non supportata da un adeguato intervento strutturale pubblico potrebbe mettere a rischio le prospettive di sostenibilità economica e sociale delle imprese che operano nel mondo dell’auto. Bruxelles e i governi nazionali proattivi dovrebbero assumere la guida attraverso una combinazione di sussidi e investimenti su larga scala per sostenere la fiducia dell’industria e dei consumatori. Questo è lo spirito dell’analisi delle prospettive economiche dell’Europa di Mario Draghi pubblicata il mese scorso. Draghi include l’auto elettrica tra i 10 settori strategici per la competitività europea, identificando una serie di obiettivi e misure di intervento per sostenerne lo sviluppo, richiedendo un piano d’azione industriale specifico per questo settore. “Nonostante l’ambizione dell’UE di mantenere ed espandere la capacità produttiva di tecnologie pulite, ci sono molti segnali di un movimento nella direzione opposta, con le aziende europee che annunciano tagli di produzione, chiusure e delocalizzazioni parziali o totali”, si legge nel rapporto. Draghi ha criticato “la mancanza di pianificazione dell’UE” nel settore automobilistico, a cui sono stati assegnati obiettivi climatici ambiziosi senza una strategia industriale a sostegno (si veda il nostro articolo qui).
Ci si è affidati al mercato, alla libera scelta di aziende private, guidate dal perseguimento del profitto nel breve termine. Il risultato è che le case automobilistiche europee hanno accumulato un ritardo nel settore ormai difficilmente colmabile. Ora, mentre l’UE reintroduce rigide regole fiscali sulla spesa nazionale (con il nuovo Patto di stabilità), la traiettoria della politica è determinata da un’attenzione miope al pareggio dei conti. Senza un cambio di approccio, è probabile che i guai dell’industria automobilistica si aggravino mentre è impegnata in una transizione che rappresenta una sfida esistenziale che definisce un’epoca.
Alessandro Scassellati
- In Italia per l’intero 2024 erano stati stanziati 240 milioni di euro, e le richieste li hanno fatti terminare in appena 9 ore. All’inizio di quest’anno, un esperimento francese aveva offerto uno sguardo sorprendente su cosa può realizzare una politica verde progressista. Nel tentativo di aumentare la domanda, il governo di Emmanuel Macron aveva introdotto un programma di leasing sociale che consentiva ai pendolari meno abbienti di pagare una tariffa mensile accessibile (100 euro) per un nuovo veicolo elettrico. Nel giro di un mese, la domanda era esplosa al punto che il programma è stato bruscamente sospeso. Secondo i ministri, le case automobilistiche francesi non erano riuscite a tenere il passo con l’improvviso aumento di interesse.[↩]
- Uno studio dell’ACEA, l’Associazione europea dei costruttori di automobili, mostra come le vendite di auto elettriche siano maggiori dove c’è una maggiore disponibilità di colonnine sul territorio: questo si vede per esempio dal fatto che i due paesi dove sono concentrate più colonnine – Paesi Bassi e Germania, che insieme ne hanno il 42% – sono anche tra quelli dove la quota di mercato delle auto elettriche è più alta. È così anche in Norvegia, un paese che ha puntato molto sugli incentivi all’acquisto e sulle infrastrutture, dove ormai in circolazione ci sono più auto elettriche che a benzina.[↩]
- In Europa, le vendite annuali di auto sono ancora di 3 milioni di unità sotto i livelli di prima della pandemia. Gli stabilimenti europei stanno lavorando alla metà della loro capacità produttiva: è il caso di Volkswagen, che ha già fatto intendere di voler chiudere alcuni stabilimenti e di iniziare licenziamenti di massa, ed è anche il caso di Stellantis, che in Italia tiene migliaia di lavoratori in cassa integrazione e sta producendo sempre meno veicoli rispetto al passato. L’azienda ha deciso di interrompere la produzione del modello elettrico Fiat 500 per quattro settimane (dal 13 settembre) a causa della mancanza di ordini in Europa. Ma anche aziende come BMW e Mercedes-Benz non sono messe bene. A settembre, i veicoli elettrici, siano essi completamente elettrici o ibridi plug-in, venduti in tutto il mondo hanno raggiunto i 1,69 milioni (dati di Rho Motion). Le vendite in Cina sono aumentate del 47,9% e hanno raggiunto 1,12 milioni di veicoli, mentre negli Stati Uniti e in Canada sono aumentate del 4,3% a 0,15 milioni. In Europa, le vendite di veicoli elettrici sono aumentate del 4,2%, raggiungendo 0,3 milioni di unità, grazie a un balzo del 24% nel Regno Unito e a guadagni in Italia, Germania e Danimarca.[↩]
- Da un punto di vista tecnico, la diffusione di veicoli elettrici nel mercato di massa è rallentata a causa di una tecnologia tuttora in fase di maturazione (resa evidente da autonomie chilometriche non ancora comparabili rispetto ai tradizionali sistemi a combustione interna), che porta a prezzi al dettaglio fuori dalla disponibilità economica della maggior parte della popolazione. La gran parte delle persone cerca veicoli per spostarsi con praticità e a basso costo. Al momento i modelli elettrici in circolazione non rispondono a queste due esigenze. Sono innanzitutto ancora molto costose rispetto a quelle col motore a combustione: sono ancora pochi i modelli elettrici sotto i 20mila euro, anche tra le auto di fascia bassa (la Fiat 500 elettrica costa 25 mila euro). In più sono ancora poco pratiche: da una parte i modelli di fascia più bassa non consentono di fare grandi distanze con una ricarica; dall’altra le colonnine di ricarica sono ancora poco diffuse sul territorio. Per ora sono insomma auto adatte per le piccole e medie percorrenze. Inoltre, i veicoli elettrici usati ora vengono venduti a prezzi stracciati (per l’obsolescenza delle batterie), mettendo in difficoltà proprietari e concessionari.[↩]
- Il successo cinese è frutto della pianificazione statale, oltre che delle capacità delle imprese. Nel suo piano “Made in China 2025”, presentato nel 2015, Pechino aveva delineato gli ambiti preferenziali per la crescita industriale, indirizzando qui le risorse pubbliche, con l’obiettivo di favorire rapidi avanzamenti tecnologici. Tra i settori individuati come cruciali semiconduttori, tlc, intelligenza artificiale, robotica, aerospazio, energie rinnovabili e, appunto, auto elettrica.[↩]
- Stellantis quest’anno ha riacquistato 3 miliardi di dollari di azioni societarie e distribuito 5 miliardi di dollari di dividendi agli azionisti. Il CEO Carlos Tavares vuole adottare la mentalità low cost dei produttori cinesi di veicoli elettrici nonostante i dazi europei e statunitensi che critica come anticompetitivi. Tavares definisce i dazi una “trappola”, sostenendo che danneggeranno le case automobilistiche tradizionali, nascondendo loro il fatto che i rivali cinesi producono veicoli elettrici a un prezzo circa un terzo inferiore. Per Tavares, invece, il modo migliore per competere è “cercare di essere cinesi noi stessi”. Questa convinzione ha portato Stellantis ad acquistare una quota del 21% del produttore cinese di veicoli elettrici Leapmotor, lo scorso ottobre, creando una joint venture che dà a Stellantis accesso alla tecnologia Leapmotor e diritti esclusivi per produrre i suoi veicoli elettrici al di fuori della Cina. Stellantis produce i veicoli elettrici Leapmotor nel suo stabilimento di Tychy in Polonia, insieme ai modelli dei marchi più noti Fiat, Jeep e Alfa Romeo. Tavares ha anche affermato che per tenere il passo con i rivali cinesi e continuare a generare profitti potrebbe essere necessario licenziare lavoratori (da dicembre 2019 al 2023, Stellantis ha ridotto l’occupazione di 47.500 operai sui 242.000 totali), chiudere stabilimenti o cedere marchi, aggiungendo che spetta ai clienti del gruppo decidere quali marchi avranno un futuro e quali potranno essere ceduti. Fim, Fiom e Uilm hanno indetto per il 18 ottobre uno sciopero nazionale di otto ore dei lavoratori di Stellantis, con manifestazione a Roma, contestando il progressivo abbandono degli insediamenti produttivi italiani. Il governo italiano, che è in disaccordo con Stellantis per il calo della sua produzione in Italia, ha dichiarato di essere in trattative con case automobilistiche cinesi per possibili investimenti produttivi, tra cui Dongfeng e Chery Auto.[↩]
- BYD deve ancora decidere se trasferire il costo delle tariffe – il 17% in aggiunta a una tariffa esistente del 10% – sui consumatori o assorbire il colpo. BYD non si aspetta di essere in grado di vendere auto in Europa a meno di 30 mila euro.[↩]
- Da venerdì scorso, gli importatori cinesi di brandy originari dell’Unione Europea devono versare depositi cauzionali dal 34,8% al 39% del valore delle importazioni, secondo le misure temporanee annunciate dal Ministero del Commercio cinese la scorsa settimana. Se tali misure diventassero permanenti, i dazi aggiuntivi porterebbero a un crollo delle esportazioni verso la Cina, il secondo mercato più grande del cognac dopo gli Stati Uniti, ha affermato l’organismo commerciale francese Bureau National Interprofessionnel du Cognac. Non sembra essere un caso: la Francia è uno dei principali sostenitori dei dazi europei sulle auto cinesi. Anche se i funzionari cinesi negano che queste misure siano collegate ai dazi europei sulle auto elettriche cinesi. La Commissione Europea ha già fatto sapere che intende fare ricorso all’Organizzazione Mondiale del Commercio, come d’altra parte ha già fatto la Cina per i dazi europei sulle auto. Comunque, la Commissione europea ha pubblicato venerdì sul suo sito web un avviso di apertura di un procedimento antidumping riguardante le importazioni di compensato di legno duro originario della Cina, sostenendo che la denuncia è stata presentata il 27 agosto dal Greenwood Consortium per conto dell’industria del compensato di legno duro del blocco. Altri procedimenti aperti dalla UE riguardano le turbine eoliche e i pannelli fotovoltaici. Ma, le tensioni commerciali tra Bruxelles e Pechino riguardano anche le restrizioni cinesi alle esportazioni di materie prime critiche come gallio e germanio, essenziali per la produzione di chip destinati anche all’industria dell’auto, e grafite, fondamentale per la produzione di batterie per le vetture elettriche. Dall’introduzione dei controlli nell’estate 2024, le esportazioni di gallio dalla Cina sono diminuite di circa la metà, mentre il prezzo del germanio è aumentato del 52% dall’inizio di giugno 2024.[↩]
- Nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, il candidato repubblicano Donald Trump ha ipotizzato che la Cina potrebbe dominare la futura produzione automobilistica per cui lui si impegnerà per contrastarla con ogni mezzo, mentre l’amministrazione democratica Biden ha accusato la Cina di inondare i mercati globali con esportazioni di automobili a causa della sovracapacità e sta proponendo regole (dazi del 100%) che di fatto impedirebbero a quasi tutte le auto cinesi di entrare nel mercato statunitense. Il governo degli Stati Uniti propone ora anche di vietare l’uso di software e hardware cinesi sui veicoli sulle strade americane per garantire la “sicurezza nazionale”. Questa potrebbe essere l’arma più potente finora messa in atto per bloccare i veicoli elettrici cinesi.[↩]
- Nel 2023, nonostante la crisi commerciale globale, il commercio tra Cina e UE ha raggiunto i 783 miliardi di dollari. La Cina è diventata primo partner commerciale della Germania già nel 2016 e attualmente (dati 2022) i due paesi hanno un volume di scambi pari a più di 300 miliardi di dollari. Lo stock di investimenti bilaterali tra Cina e UE supera i 250 miliardi di dollari e le aziende di entrambe le parti continuano a considerare favorevolmente i rispettivi mercati. Secondo il Business Confidence Survey 2023 pubblicato dalla Camera di commercio dell’Unione europea in Cina, oltre il 90% delle aziende europee intervistate prevede di fare della Cina la propria destinazione di investimento. Il rapporto annuale 2023 della Camera di commercio cinese per l’UE mostra che l’80% delle aziende cinesi intervistate prevede di migliorare la propria attività in Europa. A differenza degli USA, ormai orientati al “decoupling” con la Cina (vista come avversario) nei settori dell’alta tecnologia “dual use”, la linea ufficiale dell’Unione Europea è quella della competizione connotata dal “de-risking”, ossia dalla riduzione delle dipendenze strategiche eccessive dalle supply chains cinesi.[↩]
- L’Unione Europea ha posto alcuni obiettivi intermedi ambiziosi per limitare gradualmente le emissioni delle nuove auto immatricolate: il primo di questi obiettivi è nel 2025, e imporrà ai produttori di non superare in media i 95 grammi di anidride carbonica al chilometro per le vetture vendute complessivamente, se non vorranno essere multati. È un obiettivo che fu ritenuto quasi irrealistico quando venne fissato, e ha spinto alcune aziende a sospendere gli obiettivi di lungo termine per lo sviluppo dei modelli completamente elettrici, promuovendo invece veicoli ibridi capaci di far abbassare le emissioni medie del totale venduto già nel breve periodo. Per come sono messe ora le vendite di auto elettriche secondo ACEA non sarà in ogni caso possibile rispettare gli obiettivi del 2025, col rischio praticamente certo per i produttori di incorrere in «multe multimiliardarie»: secondo i calcoli di ACEA servirebbe che le auto elettriche arrivassero a una quota di mercato del 40%, e al momento questa è ferma al 14%. Il divieto di vendita dei veicoli a benzina e diesel fa parte dell’ambizioso progetto europeo per contrastare il riscaldamento globale, che mira a raggiungere la cosiddetta neutralità carbonica entro il 2050. L’Unione Europea è la terza produttrice mondiale di CO2 e le automobili rappresentano il 12% di tutte le emissioni, mentre l’intero settore dei trasporti è responsabile di un quarto del totale. Proprio in questi giorni, il direttore generale di BMW, Oliver Zipse, ha sostenuto che l’Europa deve annullare il suo piano di vietare le nuove auto che emettono combustibili fossili dal 2035 per ridurre la dipendenza dalla filiera di fornitura delle batterie cinese e sfruttare i suoi punti di forza tecnologici nel fossile (e-fuel e biocarburanti) e nell’idrogeno.[↩]
- Giorgia Meloni, ha criticato l’UE per le politiche “autodistruttive” sul passaggio alla produzione elettrica e ha promesso di impegnarsi per cambiarle. Da settimane in Italia e in Europa si sta dibattendo molto sulla possibilità di far slittare in avanti gli obiettivi del 2025 – una richiesta partita da ACEA – e addirittura di anticipare al 2025 (quindi di un anno) la discussione sulla clausola di revisione degli obiettivi del 2035. Quest’ultima è una proposta partita dall’Italia e dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, appoggiato dalla Germania: Italia e Germania, proprio per l’importanza economica della loro industria automobilistica, sono stati tra i paesi che più hanno ostacolato l’entrata in vigore del regolamento sul divieto di vendita di veicoli a benzina e diesel dal 2035.[↩]