In molti allo scoppio della guerra guerreggiata in Europa, hanno visto una svolta nelle scelte politiche dell’Europa, intesa come istituzioni della Unione Europea e non certo dei popoli. Risulta infatti maggioritaria in ogni singola nazione, se si fa eccezione di alcuni paesi nordici e la Polonia, storicamente avversa a Russia ma anche alla Germania, l’opinione che si debba fermare immediatamente lo scontro armato e ridare impulso ad una trattativa negoziale diplomatica.
Una guerra guerreggiata in Europa, lo voglio specificare perché in realtà la guerra mondiale a pezzetti, riprendendo la definizione di Papa Francesco, va avanti da parecchio e in molte altre parti del mondo e accompagnata da una guerra economica che vede contrapposti gli interessi del capitalismo occidentale con quello degli altri paesi del mondo. Non voglio certo dire che un capitalismo sia meglio di un altro, ma neanche che mi piaccia dovermi schierare con gli interessi dei capitalisti europei e nord americani ed essere arruolato nella guerra dell’occidente a difesa del giardino contro la jungla, come ci suggerisce il capo della diplomazia europea Josep Borrell.
In realtà. La guerra guerreggiata fa comodo ad entrambi gli schieramenti, imponendo politiche di riarmo e restringimento di discussione e democrazia.
Un riarmo che porta con sé taglio alle spese sociali, come dimostra la riduzione di spesa in sanità pubblica e di investimenti per la riconversione ecologica.
Persino il PNRR ammette la possibilità di spesa in munizioni invece che la ripresa e resilienza delle economie e dei territori.
Il legame tra guerra e interessi di classe, permettetemi questa schematica raffigurazione, è a mio avviso evidente e va a tutto discapito di lavoratori e lavoratrici, che si vedono erodere il loro salario nel dover far fronte all’inaudito aumento di tariffe e spese da sostenere a fronte di una retribuzione tra le più basse dell’Europa a tutto beneficio delle compagnie energetiche che continuano indisturbati i loro extra profitti.
Questo ci pone la questione. La Pace può essere definito un progetto politico? Può essere la chiave di volta per unire gli interessi diversificati e far convergere istanze e lotte che attraversano il nostro paese?
Certamente una questione che attraversa in molti e credo sia dirimente in un paese come il nostro che ha visto la mobilitazione di larghissimi strati di popolazione e che ha visto centinaia di migliaia di persone scendere in piazza contro la guerra e l’invio delle armi e che ancora oggi nonostante il bombardamento mediatico, vede la maggioranza dell’opinione pubblica schierata contro armi e guerra ad oltranza.
A me sembra evidente che, mentre non sarebbe possibile in altri paesi, la nostra specificità potrebbe far davvero diventare la Pace una questione politica su cui concentrare gli sforzi per unire un fronte ampio e ridare parola ad una sinistra capace di raccogliere la sfida.
Roberto Morea