editoriali

La glorificazione del passato nell’incertezza del presente e nell’angoscia del futuro

di Roberto
Rosso

La morte di Silvio Berlusconi ha surclassato ogni altro avvenimento, inondando i media con rievocazioni della biografia del personaggio, rievocando la storia del Paese degli ultimi 30-40 anni; una vera alluvione, come si fosse rotta una diga che tratteneva questa pulsione a rievocare il processo storico  -che ha portato al presente – ed aspettava solo la morte dell’indiscusso protagonista del periodo per esprimersi liberamente. Si è aperto uno squarcio nella coltre di nebbia delle vicende quotidiane che copre le profondità della psicologia collettiva di questo paese. Questo a prescindere dall’operazione di autoglorificazione della destra al governo che ha dichiarato il lutto nazionale e bloccato per una settimana i lavori del parlamento.
Nelle ore precedenti all’annuncio della morte le cronache erano focalizzate sul viaggio di Giorgia Meloni in compagnia di  Ursula von der Leyen e Mark Rutte in Tunisia e sull’esito fallimentare del tentativo di convincere il presidente Kais Faied  a fare del suo Paese una diga ai flussi migratori che vi originano o vi transitano; Paese che si trova sull’orlo di un default finanziario e quindi in predicato di dover passare per le forche caudine delle condizioni imposte dal Fondo Monetario Internazionale per ottenere un prestito di almeno un miliardo di dollari. L’Europa, l’Unione Europea gioca il ruolo di mediazione tra Tunisia e FMI mentre eroga in proprio una quota di finanziamento in cambio del blocco alle migrazioni. A sua volta il viaggio segue quello di una settimana prima di Giorgia Meloni in solitaria e soprattutto l’accordo-non accordo sul Patto per l’Asilo e Migranti raggiunto a maggioranza tra i ministri degli interni dell’UE.

La Tunisia costituisce una punta particolarmente acuta della crisi che investe  una molteplicità di Paesi, in particolare dell’Africa, sul piano finanziario e degli approvvigionamenti agro-alimentari ed energetici, anche in conseguenza della guerra russo-ucraina; il Paese gioca il doppio ruolo di punto di passaggio dei flussi migratori e di punto di origine in funzione dell’aggravarsi della sua crisi, peraltro sul punto di esplodere con le conseguenze scontate in termini di incremento delle partenze verso l’Europa, verso l’Italia in particolare. La realtà attuale costituisce l’esito drammatico, la smentita di tutte le speranze che erano nate, proprio a partire dalla Tunisia, dalle cosiddette Primavere Arabe, che si svilupparono nel contesto di uni sviluppo globale di rivolte e movimenti a partire dal 2009 in Iran1 e negli anni successivi, in particolare nel 2011.

Il tentativo europeo appare destinato a fallire, come svuotare il mare col cucchiaino, cercare di chiudere un foro in un colabrodo, dove il colabrodo è la condizione globale di poli-crisi, incrocio di diversi processi di crisi tra guerra, riscaldamento globale e crisi finanziarie, mentre chi cerca di intervenire è una Unione Europea incapace di giocare un proprio ruolo definito nel contesto di queste contraddizioni globali che si rovesciano e si manifestano in modo specifico al suo interno e ai suoi confini. Il Patto conferma la concezione della Fortezza Europa, non garantisce il ‘ricollocamento obbligatorio’ dei migranti nei diversi Paesi, sostituito dalla ‘solidarietà obbligatoria’ che si esprime in termini finanziari, opera la finzione di individuare i ‘Paesi terzi di origine e transito ovvero Paesi terzi sicuri per i respingimenti: pure finzioni nel contesto reale costituito dalla situazione dei paesi da cui originano i migranti.

L’Europa e l’Italia, che non mutano in maniera sostanziale l’approccio ai flussi migratori, a loro volta vivono una fase carica di contraddizioni; innanzitutto la stagnazione dell’economia tedesca – in recessione tecnica2 – che comincia a subire gli effetti della fine delle forniture di gas a basso costo da parte della Federazione Russa, con aumento dei costi a livello di produzione e crescita di un processo inflazionistico, avviato già prima dello scoppio della guerra, ma che la guerra ha amplificato a livello globale. Il sistema produttivo italiano nella sua funzione di subfornitore delle filiere industriali tedesche ne subisce in pieno le conseguenze con il crollo ad aprile della produzione industriale3. Questi dati evidenziano il fatto che il buon andamento del Pil rispetto agli altri paesi europei è stato sorretto innanzitutto dai flussi turistici e parte dei servizi, riconfermando una sostanziale debolezza dell’apparato produttivo, di fragilità dell’economia complessiva del Paese.

Questi dati che riguardano il presente ed il recente passato, confermano la fragilità della formazione economica e sociale del nostro Paese, in ogni suo aspetto: dove il ruolo subordinato nello sviluppo tecnologico globale  -tanto nelle filiere produttive quanto nei servizi, nella pubblica amministrazione e negli assetti territoriale – si associa alla crescita delle diseguaglianze, alla privatizzazione dei servizi essenziali, alla tragedia di assetti idrogeologici precari da decenni, devastati dalla cementificazione ed oggi colpiti con sempre maggiore frequenza da fenomeni metereologici estremi amplificati dal riscaldamento climatico.

Il contesto, più volte evidenziato si queste pagine, è quello che coniuga crisi climatica, innovazione tecnologica che nella sua crescita e diffusione esponenziali giunge al limite della singolarità – della rottura di ogni continuità e prevedibilità dei processi – mancanza di ogni accordo efficace a livello globale per affrontare gli effetti di queste crisi concomitanti con processi di trasformazione radicale, a fronte di una competizione su tutti i piani che si esprime in una militarizzazione crescente del confronto nelle varie regioni del globo, che vivono fenomeni di guerra attuale o potenziale, simmetrica o asimmetrica, dove intere regioni non trovano modo di uscire da una condizione endemica di guerra civile. Abbiamo avuto modo di evidenziare in un precedente articolo4 di come lo sviluppo tecnologico assuma un carattere sostanzialmente duale tra uso civile e militare, dove le differenze sfumano nella definizione della sicurezza interna ed esterna. L’uso militare delle tecnologie, dato il contesto delle relazioni internazionali, è in crescita come si vede dai bilanci ed arriva a toccare lo spazio circostante il pianeta5, dato inevitabile stante che gli apparati satellitare sono diventati il supporto delle infrastrutture di comunicazione, di posizionamento ed osservazione dello stato e delle dinamiche dei territori. La guerra ai suoi confini ha dato un impulso straordinario agli investimenti negli apparati militari di tutti i paesi, in primo lugo della Germania che ha avviato uno sforzo straordinario da 100 miliardi di euro mentre la Polonia si candida ad essere uno dei paesi guida nel processo di riarmo6.

Il sistema di tecnologie che raggruppa sotto la definizione di Intelligenza Artificiale, costituisce il fattore trainante di quel processo di innovazione pervasivo e trasversale che porta ad una sorta di singolarità nel suo progredire, una soglia oltre la quale appunto si interrompe ogni continuità e possibilità di previsione; del resto un regime di competizione, l’uso della tecnologie di ogni conoscenza a fini competitivi e di confronto totale tra grandi potenze, impedisce la condivisione delle conoscenze necessaria a realizzare previsioni che vadano oltre il breve o brevissimo periodo, si accresce a dismisura il grado incertezza. La certezza, la sicurezza viene ricercata entro la determinati confini, che eventualmente si vogliono allargare a discapito di altri, in un circolo vizioso che alimenta la partizione dei processi globali e riduce la possibilità di governarli, di determinarne la traiettoria.

Se questo è il contesto e precipitiamo nuovamente entro la situazione italiana, possiamo essere presi da un senso di claustrofobia, di impossibilità di uscire dalla condizione in cui è precipitato il paese dai vincoli in cui la sua storia lo costringe ad evolversi e contemporaneamente da una condizione d’incertezza totale rispetto al futuro, alla possibilità di determinarlo efficacemente.

Si spiega allora questo desiderio di riattraversare il passato, di ricucire il senso degli ultimi decenni, caratterizzati dalla rottura con il periodo storico precedente nel quale era stata costruita l’identità la struttura del paese che poi sono andate sfaldandosi, nell’incapacità di tenere  il passo delle trasformazioni globali, nell’impossibilità di ritrovare il senso di un possibile futuro nell’ambito sovranazionale europeo il quale non si è mai costituito come ambito unitario, capace di costruire progressivamente una propria identità, la condivisione di processi di autogoverno partecipati dalle differenze di cui l’Europa è costituita.

Il consumarsi, sino all’esito finale, dell’esistenza del Berlusca, lo spegnersi del corpo – sempre più esaust o- che ha attraversato gli ultimi 40 anni di storia del Paese, è stata ed è la straordinaria occasione per  tutti di riattraversare il proprio ed altrui passato, di ritrovare il senso unitario ed assieme contraddittorio e conflittuale della propria storia, per ricostruire una realtà del Paese – nazione come ama dire una parte, termine che tutti usano nelle competizioni sportive – terreno solido su cui poggiare e muoversi, a partire dalla quale prospettare ragionevolmente un futuro. Lo sguardo rivolto al passato, le considerazioni sulle conseguenze di ciò che è stato non producono alcuna ragionevole previsione sul nostro futuro, non producono alcun senso di comunità di interessi, non dissolvono il velo spesso di incertezza che ci impedisce di intravvedere un qualsiasi futuro orizzonte, non si producono prospettive di riduzione se non superamento delle diseguaglianze scavano solchi nel corpo del paese. Siamo in presenza dell’emergere dei bisogni profondi del Paese, una manifestazione della psicologia collettiva, sino alle sue radici inconsce, che passato il momento lascerà chi esausto chi preda di una euforia passeggera. In alcuni, noi compresi, si consoliderà la percezione acuta della necessità di un processo di liberazione ineludibile per tornare a vivere veramente, nel quale il passato non si seppellisce come in un rito funebre e non si congela come un ritratto sul luogo della sepoltura, ma è luogo da riattraversare per rinnovare le ragioni profonde della propria rivolta.

Roberto Rosso

  1. https://transform-italia.it/chi-si-ricorda-del-2011-di-occupy-wall-street-degli-indignados-delle-primavere-arabe-delle-fabbriche-occupate-argentine/.[]
  2. La Germania è ufficialmente in recessione: nel primo trimestre del 2023, il Pil ha fatto registrare il segno meno (-0,3%), così come successo nell’ultima parte del 2022 (-0,5%). Quando il prodotto interno lordo si contrae per due trimestri di fila, gli economisti parlano di “recessione tecnica”.[]
  3. Ad aprile la produzione industriale crolla del 7,2% su base tendenziale, facendo registrare il calo più significativo da luglio 2020, quando era diminuita dell’8,3%. Negativo anche il dato mensile: ad aprile la produzione industriale cala dell’1,9%, evidenziando il calo più importante da settembre 2022, quando era diminuita del 2,2%  – https://www.istat.it/it/archivio/285401.[]
  4. https://transform-italia.it/dottor-jekyll-e-mister-hyde-la-doppia-faccia-dello-sviluppo-tecnologico/.[]
  5. https://www.theguardian.com/science/2023/may/28/us-ready-to-fight-in-space-military-official.[]
  6. https://www.analisidifesa.it/2022/06/spese-per-la-difesa-al-3-per-cento-del-pil-il-riarmo-di-varsavia/ https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Il_riarmo_polacco_evoluzione_Nato.html. []
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3 Commenti. Nuovo commento

  • Mariella
    14/06/2023 16:18

    Riattraversare 40 anni di storia del paese va bene, purchè l’analisi sia oggettiva e non una vanagloria di un personaggio che ha sdoganato fake news, escort, falsi in bilancio, evasione fiscale in un minestrone politico e giuridico che ha prodotto solo la rottura del patto sociale tra stato e cittadino.
    Pensare di ricostruire un paese dalle ceneri di Silvio come una catarsi collettiva mi sembra un peccato di ingenuità, come minimo. E poi, cosa c’entrano i migranti e la Tunisia?

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  • Aristide Bellacicco
    16/06/2023 12:22

    La formazione di Forza Italia, nel 1994, e il suo significativo successo elettorale, segna materialmente la trasformazione politico- culturale italiana riconducibile a due eventi non a caso concomitanti: il crollo – e la svendita- dell’Unione sovietica e quell’iniziativa giudiziaria chiamata “Mani pulite”. La fine – tramite le aule dei tribunali – della Democrazia cristiana e dei suoi alleati e la smobilitazione a passo di carica del Partito comunista, entrambi in esito ai due avvenimenti citati, lasciò largo spazio alla formazione di un organizzazione politica, Forza Italia appunto, che introdusse un modello di partito fino ad allora inedito nella storia italiana almeno a partire dal secondo dopoguerra: un partito d’opinione, reazionario e “di massa” , sullo stile dei partiti nordamericani, fondato sulla pura e semplice propaganda e intimamente legato a strutture semi- legali o del tutto illegali come le P2 e la mafia siciliana. Con in più un elemento di leaderismo esasperato e declinato in chiave populista che avrebbe fatto scuola.
    Il successo della destra liberal- conservatrice della Meloni & co. è, in effetti, la più recente conseguenza dell’incredibile spazio politico che la “sinistra” in fase di dissolvimento concesse a Silvio Berlusconi.
    Per me è abbastanza chiaro che né il PCI né la Democrazia cristiana avrebbero potuto permettersi, nei confronti del loro stesso elettorato, una politica di brutale respingimento degli immigrati e di sostegno in accordo con i regimi libico, turco e, adesso, tunisino; e forse nemmeno un’adesione acritica e incondizionata alla politica aggressiva ed espansionistica, post- guerra fredda, della NATO.

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  • Aristide Bellacicco
    20/06/2023 13:24

    La formazione di Forza Italia, nel 1994, e il suo significativo successo elettorale, segna materialmente una trasformazione politico- culturale italiana riconducibile a due eventi non a caso concomitanti: il crollo – e la svendita- dell’Unione sovietica e quell’iniziativa giudiziaria chiamata “Mani pulite”. La fine – tramite le aule dei tribunali – della Democrazia cristiana e dei suoi alleati e la smobilitazione a passo di carica del Partito comunista, entrambi in esito ai due avvenimenti citati, lasciò largo spazio alla formazione di un organizzazione politica, Forza Italia appunto, che introdusse un modello di partito fino ad allora inedito nella storia italiana almeno a partire dal secondo dopoguerra: un partito d’opinione, reazionario e “di massa” , sullo stile dei partiti nordamericani, fondato sulla pura e semplice propaganda e intimamente legato a strutture semi- legali o del tutto illegali come le P2 e la mafia siciliana. Con in più un elemento di leaderismo esasperato e declinato in chiave populista che avrebbe fatto scuola.
    Si è trattato forse della principale avvisaglia del tramonto del ruolo che ai partiti assegna la nostra Costituzione e del ritorno a un qualunquismo di massa che era rimasto sostanzialmente estraneo alle forze politiche di ispirazione comunista e cattolica che avevano sostenuto la prima Repubblica,
    Basti dire questo: né il PCI né la Democrazia cristiana avrebbero potuto permettersi, nei confronti del loro stesso elettorato, una politica di brutale respingimento degli immigrati; e forse nemmeno un’adesione acritica e incondizionata alla politica aggressiva ed espansionistica, post- guerra fredda, della NATO.

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