di Franco Ferrari
Domenica 15 marzo meno di metà degli elettori francesi si sono recati alle urne per rinnovare i loro sindaci. Il calo della partecipazione è stato del 19%, in contrasto con l’abituale interesse portato dall’elettorato alle elezioni comunali che sono, normalmente, le più partecipate dopo le elezioni presidenziali.
L’appuntamento ha coinciso con il deciso rafforzamento delle misure di “distanziamento sociale” destinate a combattere la diffusione dell’epidemia legata al Covid-19. Macron non ha usato la parola “confinamento” dei francesi nei propri appartamenti, e per questo è stato criticato, ma le misure introdotto hanno ripercorso il modello “italiano” che noi ormai ben conosciamo.
Non è mancato in Francia come in Italia un periodo di confusione e di indicazioni contraddittorie. Ancora pochi giorni fa lo stesso Macron non mancava di invitare a proseguire normalmente la vita sociale e a partecipare all’attività culturale. Un po’ come la “Milano non si ferma” del sindaco Sala, o l’aperitivo in galleria organizzato dal PD con Zingaretti. Ora il discorso ufficiale è completamente cambiato e si tratta di rendere consapevoli i francesi della necessità di accettare disciplinatamente le misure decise dal governo.
Sul governo d’oltralpe si sono anche abbattute le parole della candidata macroniana a Parigi ed ex ministro della sanità, fino a poco tempo fa, Agnes Buzyn, la quale ha dichiarato di avere preavvertito già a gennaio Primo Ministro e Presidente della Repubblica dei pericoli legati all’epidemia. I “macroniani” hanno cercato di gettare acqua sul fuoco ma la polemica è subito divampata con critiche arrivate da sinistra (Melenchon) e da destra (Le Pen).
L’irrigidimento dell’atteggiamento del governo che ha portato lo stesso Macron, nel suo discorso ai francesi, a ripetere più volte il mantra “siamo in guerra” è dovuto a due fattori. La rapida saturazione delle terapie intensive degli ospedali situati nelle zone dove la diffusione del virus si è fatta più veloce, e le previsioni catastrofiche derivate da alcuni modelli matematici di espansione dell’epidemia, in mancanza di misure drastiche, presentate al governo dagli epidemiologi.
Anche per Macron, come per gli altri capi di Stato e di governo, si tratta ora di predisporre degli interventi che, oltre a fermare la diffusione del virus e il pericolo di crollo del sistema sanitario (alle fine in Francia i posti in terapia intensiva sono un po’ più di 7.000, un numero non molto diverso da quello italiano), siano in grado di fronteggiare l’emergenza economica, offrendo aiuti immediati ai cittadini e una protezione complessiva di tutto il sistema economico e finanziario per evitare la scomparsa di interi settori economici.
Il Presidente francese è arrivato a dover fronteggiare questa emergenza in un momento di grande debolezza politica dovuta alla scelta di imporre una riforma delle pensioni molto impopolare e che ha suscitato un forte movimento sociale e di scioperi. Dopo averla imposta utilizzando il 49.3, un articolo della Costituzione che consente di bloccare il dibattito parlamentare, ha ora deciso di fare marcia indietro sospendendo l’attuazione.
Nel suo penultimo discorso ai francesi in relazione all’epidemia aveva cercato di presentare un profilo più “di sinistra” rivendicando la difesa dello “stato sociale”, la gratuità della sanità per tutti e così via. Discorsi in contrasto con politiche che lo hanno fatto sempre più identificare dalla maggioranza dei francesi come il “Presidente dei ricchi”, espressione di élite sempre più lontane dai problemi concreti che vivono i cittadini comuni e soprattutto i ceti popolari.
Per questo si attendeva che per il partito di Macron, La Republique En Marche (LREM), le elezioni municipali sarebbero state una “Berezina” (luogo celebre per la sconfitta di Napoleone nella campagna di Russia ed equivalente della nostra “Caporetto”) ed in effetti così è stato. Ma la scarsa partecipazione al voto e lo spostamento dell’attenzione dell’opinione pubbliche alle nuove misure di contenimento dell’epidemia hanno fatto sì che questi risultati non focalizzassero il dibattito politico. Tanto più che, dopo le polemiche per aver mantenuto le elezioni municipali, il governo ha deciso di rinviare la tenuta del secondo turno elettorale.
Malgrado tutto qualche indicazione è emersa dal voto, pur in un quadro caratterizzato da notevole frammentazione e confusione. Sicuramente la scarsa presa dei candidati macroniani sul terreno anche se qua e là ha assorbito sindaci uscenti provenienti da altri partiti, alcuni ex socialisti e altri provenienti dalla destra di tradizione gollista. Laddove LREM si è alleata lo ha fatto schierandosi a destra.
Il partito gollista, Les Republicaines, sul cui elettorato Macron aveva pescato abbondantemente in occasione del voto europeo, ha recuperato consensi rispetto alle scadenze più recenti, ma è lontano dall’ondata di successi ottenuti nel 2014. Sull’estrema destra, il Rassemblement National (ex Front National), ha difeso brillantemente i sindaci uscenti e potrebbe sperare, se e quando si terranno i ballottaggi, di conquistare una citta di media grandezza Perpignan. Continua a restare marginale a Parigi e ha avuto un risultato inferiore alle aspettative a Marsiglia. Si radica e si consolida ma non si espande.
Un ottimo risultato hanno avuto i verdi di EELV (Europe Ecologie Les Verts) che a volte si sono presentati all’interno di liste unitarie della sinistra ma in diverse città hanno provato a misurare le proprie forze correndo da soli. Hanno ottenuto un ottimo risultato a Grenoble, città conquistata nel 2014 con una coalizione di sinistra alternativa ai socialisti, e sono in condizioni di confermarla. Sono arrivati al primo posto a Lione, dove il sindaco socialista uscente era passato ai macroniani, a Strasburgo e a Besançon. Laddove le loro candidature sono apparse come inutilmente divisive come a Parigi o a Marsiglia hanno ottenuto risultati più modesti. Può darsi che siano stati favoriti dal fatto che le astensioni da timore coronavirus hanno probabilmente coinvolto l’elettorato più anziano e che vota per i partiti tradizionali. Per i Verdi l’obbiettivo è di prendere la guida dello schieramento alternativo a Macron sul fianco progressista proponendo il loro leader Yannick Jadot come possibile nuovo presidente francese alla scadenza del mandato di Macron. Una prospettiva non impossibile stante il quadro politico attuale.
Il resto della sinistra si è presentato in ordine molto sparso. In alcune città erano presenti fino a 8 liste concorrenti. I socialisti hanno recuperato voti grazie all’insediamento locale e mantenuto alcune roccaforti, ma non si può ancora parlare di uscita dalla crisi. A Lille, Martine Aubry, si è collocata al primo posto ma col 30% non si può parlare di vero successo. Il dato più positivo è il buon risultato di Anne Hidalgo a Parigi che col 30% si colloca, nettamente davanti alla candidata di destra Rachida Dati, quando i sondaggi le davano testa a testa. Ha inoltre ampio margine di recupero dalle liste dei verdi e di France Insoumise, mentre sembra improbabile un’alleanza tra gollisti e macroniani.
Il Partito Comunista Francese ha difeso le proprie posizioni. Ha confermato al primo turno le due città superiori ai 100.000 abitanti che governava (Montreuil e Saint-Denis), mentre è in difficoltà a Aubervilliers, un’altra cittadina storicamente governata dai comunisti di circa 80.000 abitanti, a causa della frammentazione della coalizione di sinistra che aveva vinto nel 2014. Una seconda lista sorta da questa divisione è stata accusata di “comunitarismo”, perché sarebbe stata sostenuta dalla importante comunità musulmana locale, e si è collocata al secondo posto, dietro alla candidata della destra ma davanti alla sindaca comunista uscente. E’ possibile che si vada al ballottaggio con più di due liste concorrenti.
Positivo invece il risultato di Le Havre, l’importante città portuale della Normandia che conta 170.000 abitanti, che nel 2014 aveva eletto sindaco Eduard Philippe, ora Primo ministro di Macron. Philippe si è ripresentato al voto, anche se ovviamente non farà il sindaco nemmeno se rieletto, ma ha ottenuto l’8% in meno di 6 anni fa, quando era passato già al primo turno. E’ quindi costretto al ballottaggio contro il comunista Jean-Paul Lecoq che ha raccolto un eccellente 36%, con un balzo in avanti di venti punti rispetto al risultato del candidato comunista di 6 anni fa. Lecoq aveva l’appoggio di France Insoumise ma non dei verdi e dei socialisti che hanno ottenuto insieme l’8%. Philippe era appoggiato anche dai gollisti può quindi espandersi solo tra gli elettori del Rassemblement National, ma non gli sarà facile. Una sua sconfitta, oltre a riportare Le Havre a sinistra dopo trent’anni, avrebbe un’evidente risonanza nazionale. Complessivamente il PCF ha già eletto più di 1.000 consiglieri sulle proprie liste a conferma del suo radicamento territoriale.
La France Insoumise dal canto suo non ha investito molto in questo appuntamento elettorale. Ha ottenuto qualche risultato significativo localmente ma non ha certo mantenuto la dinamica delle elezioni presidenziali. Soprattutto ha fatto scelte a macchia di leopardo, a volte partecipando ad iniziative unitarie come a Marsiglia (ma Melenchon, che pure è deputato locale, non si è speso a sostegno della Primavera marsigliese), mentre in altre località si è presentata autonomamente sia contro i socialisti che contro i comunisti. Ciò è successo in particolare a Nancy (108.000 abitanti), dove LFI ha presentato una propria candidata Nordine Jouira contro il candidato socialista Mathieu Klein vicino a Manuel Vals (appoggiato invece dal Partito Comunista), che esce dal primo turno in posizione di vantaggio (37.9%) contro il sindaco centrista uscente.
Da Marsiglia è venuta comunque una buona notizia. La lista unitaria di Michele Rubirola è arrivata al primo posto sorpassando la candidata di destra uscente che doveva “ereditare “ il municipio dopo la lunga guida di Jean-Claude Gaudin, esponente dei Republicains. L’estrema destra del Rassemblement National, forte nel sud della Francia, è rimasta sotto il 20%. Rubirola dovrebbe poter contare sul 9% del candidato ecologista e sul 5% di una socialista dissidente. Molto dipenderà se la destra, che è arrivata divisa alle elezioni, riuscirà a ricompattarsi per il ballottaggio, prospettiva che al momento sembra difficile. Un successo della Primavera marsigliese sarebbe un buon segnale per la sinistra francese. Anche se, mai come in questo caso, si può dire che una rondine, non fa ancora primavera.