Si può vincere ricorrendo a tattiche brutali, come in Iraq e nell’Irlanda del Nord, ma poi?
È il marzo del 2003. Ci sono tante cose che non vanno nel mondo. Ho passato gran parte del mio ultimo anno all’università a cercare di costruire l’opposizione degli studenti all’incombente guerra in Iraq. Per sfuggire a ciò che percepivo come il provincialismo soffocante della politica nell’Irlanda del Nord, mi ero buttato nella ricerca dei modi per affrontare le disuguaglianze globali. La guerra in Iraq costituisce un pericolo molto serio. Intanto a casa, nell’Irlanda del Nord, l’Assemblea consociativa si è disfatta nel 2001 per uno scandalo di spionaggio e per la questione del disarmo delle organizzazioni paramilitari. Piano piano i partiti stavano venendo a un accordo sulla sua riconvocazione. Ma prima ci dovevano essere le elezioni.
Ripenso molto a quel periodo, e alle analogie tra le due situazioni. Non per l’entità della violenza, ma per le strutture sottostanti che hanno creato le condizioni per il loro fallimento, dal punto di vista sociale, in entrambi i luoghi.
Shock and Awe – Colpisci e terrorizza
Una delle analogie più impressionanti è stato lo spiegamento della retorica dello “Shock and Awe” da parte sia del governo americano prima dell’invasione dell’Iraq sia, in misura alquanto più comica, del partito unionista oltranzista DUP [Partito Democratico Unionista, F.L.] nell’Irlanda del Nord. Entrambi si caratterizzano per l’idea della “sequenza OODA”, formulata da un colonnello della Air Force USA, John Boyd. OODA è l’acronimo di Osserva-Orienta-Decidi-Agisci. È un modo estremamente efficace di controllare per i propri fini l’incertezza in situazioni di caos. Questa è la ragione per cui funziona nei combattimenti aerei. In tale contesto è fondamentale cambiare velocità e direzione più rapidamente del tuo avversario. OODA, si dice, consente al combattente di “entrare dentro il ciclo decisionale dell’avversario” e di ottenerne vantaggio.
Dick Cheney, segretario di Stato per la difesa USA al tempo della prima guerra della Golfo, adottò questo approccio che portò alla vittoria nel 1991. Era ancora vivo nell’immaginazione pubblica americana lo spettro della guerra in Vietnam. Quel che si prevedeva sarebbe stato un lungo conflitto tipo Vietnam finì in pochi mesi, con una vittoria completa per l’OODA. Cheney, diventato nel frattempo il vice di George W. Bush, propose la medesima strategia nell’invasione dell’Iraq nel 2003. Anche se questa volta ci si aspettava di più la vittoria, nondimeno la velocità e l’efficacia dell’attacco americano furono ancora sorprendenti. Cheney ribattezzò allora OODA “Shock and Awe” – Colpisci e Terrorizza.
Al varo della campagna per le elezioni dell’Assemblea nel marzo del 2003, l’elettorato unionista venne informato che l’oltranzista DUP intendeva distruggere il più moderato Partito Unionista dell’Ulster usando il metodo dello “Shock and Awe”. Tale approccio vide salire il DUP dal terzo al primo posto e sostituire il partito più moderato quale partito più rappresentativo a Stormont [sede dell’Assemblea nordirlandese, F.L.]. La tattica implicava una pesante insistenza sulle concessioni fatte dagli Unionisti dell’Ulster per raggiungere un accordo. La linea del DUP era che non ci sarebbe dovuto mai essere un conflitto, che non c’era niente che non andasse bene nello stato nordirlandese del 1969, e che tutte le concessioni erano un “tradimento” dell’elettorato unionista. Funzionò. Il DUP guadagnò 10 seggi, mettendo quindi il proprio leader in grado di diventare il nuovo Primo Ministro.
Shock and awe davvero. Ma cosa venne dopo?
I limiti del peacebuilding liberale
Il processo di pace nell’Irlanda del Nord è un classico esempio di peacebuilding liberale. Le radici del conflitto vengono identificate nelle istituzioni: ossia, la mancanza di un’Assemblea legislativa nell’Irlanda del Nord e l’incapacità del governo di Stormont, dissolto nel 1971, di includere i punti di vista e le istanze dei nazionalisti irlandesi. La pace si ottiene vincolando le minoranze radicali, spesso creando dei canali per coinvolgerli nel governo, e i dividendi della pace rafforzano allora questa situazione. I benefici sono accentuati dalla fine del ciclo di violenza, che in molti casi, incluso quello dell’Irlanda del Nord, rischiano di autoperpetuarsi all’infinito.
Questo approccio richiedeva che i rappresentanti politici delle organizzazioni armate repubblicane e lealiste fossero inclusi nei processi politici. Ma dà anche slancio ai rappresentanti degli “estremi”. Nel caso dell’Irlanda del Nord questo ha esacerbato il problema. In realtà c’è una sorta di simbiosi, per cui tanto più scandalose sono le azioni di una “parte”, tanto più rafforzano sia quella parte sia l’opposizione. Ciò consente che i partiti più moderati vengano stritolati. Nel 1998 i partiti moderati – lo SDLP [Partito Socialdemocratico e Laburista, partito nazionalista irlandese moderato, F.L.] e il Partito Unionista dell’Ulster – ottennero tra loro 52 seggi. Il DUP e lo Sinn Féin ebbero 38 seggi. Già nel 2017 c’erano 28 seggi per l’UUP e l’SDLP insieme, e 55 per lo Sinn Féin e il DUP.
L’assunto alla base del peacebuilding liberale è che i benefici economici della pace possono costruire un consenso che impedirà il ritorno della violenza. Certamente, la Belfast di oggi è molto diversa da quella in cui sono cresciuto. Ci sono vistosi centri commerciali come il Victoria Square, file di trattorie fiancheggiano la Lisburn Road, e c’è un livello di benessere inimmaginabile nei tardi anni Ottanta. Ma se ti sposti dal centro della città a Ballyhackamore per andare a mangiare in qualcuno dei suoi simpatici ristoranti, ti trovi a passare davanti ai nuovi murali della Newtownards Road. Come mi ha fatto notare un compagno di scuola, dieci anni fa i nuovi murali celebravano la leggenda del calcio George Best e il musicista Van Morrison, entrambi originari della East Belfast protestante. Il messaggio era chiaro: celebriamo una cultura che non è di violenza. Ora i nuovi murali raffigurano uomini che indossano un passamontagna e tengono fucili d’assalto, e che proclamano la loro lealtà alla Gran Bretagna. Il messaggio è ugualmente chiaro: la nostra cultura può attendere, noi intanto siamo una minaccia.
La pace nell’era neoliberale
Uno dei problemi reali per gli unionisti nell’Irlanda del Nord e per tutti in Iraq è che l’approccio liberale al peacebuilding quando si unisce alle tattiche OODA shock and awe lascia il vincitore senza un piano su cosa fare della propria vittoria. Naturalmente gli USA presero il petrolio che volevano dall’Iraq, e nell’Irlanda del Nord Ian Paisley riuscì a diventare Primo Ministro. Ma questi erano obiettivi di puro vantaggio personale. Paesi come l’Iraq sono stati a lungo ritenuti ingovernabili a causa delle loro tensioni interne. E, al di là della fine del ciclo di violenza, non ci fu nessun tentativo di costruire uno stato nell’Irlanda del Nord. In Iraq, i paesi occidentali avevano colluso nell’eliminazione dei socialisti arabi – così come avevano fatto in tanti altri paesi del Medio Oriente. Nell’Irlanda del Nord il movimento operaio fu indebolito fatalmente dall’Ordine di Orange unionista [una sorta di massoneria protestante molto potente nel cinquantennio di governo unionista autonomo fino al 1972, F.L.], che offriva posti di lavoro ai suoi membri escludendo quelli che non lo erano.
Nell’Irlanda del Nord il periodo dopo l’Accordo del Venerdì Santo del 1998 fu caratterizzato da un’imponente espansione del commercio al dettaglio. C’è stata anche un’enorme crescita dell’economia legata alla vita serale e notturna. Tutto questo ha funzionato bene fino alla grande recessione del 2008. Semplicemente, lo shopping e le cene fuori non erano una base sufficiente su cui costruire una società. Quando il DUP nel 2010 perse il seggio di East Belfast a favore del Partito dell’Alleanza [un partito “biconfessionale” di ispirazione liberal, F.L.], si ripromise di riconquistarlo. Quando i repubblicani cercarono di limitare l’esposizione della Union Jack sul Municipio di Belfast, ci furono manifestazioni di protesta “per la bandiera” da parte di unionisti avviliti da ciò che percepivano come uno sminuimento della loro cultura.
Il DUP riconquistò il seggio nel 2015, ma questo rivelava qualcosa di più profondo. Rivelava che i vecchi contenuti mantenevano ancora tutta la loro risonanza. Un punto importante dell’Accordo del Venerdì Santo era il principio che l’unificazione dell’Irlanda poteva realizzarsi solo con il voto a maggioranza in un referendum. Non era più possibile alcun altro modo. Il fatto che questo fosse racchiuso nell’Accordo di Venerdì Santo avrebbe dovuto rassicurare gli unionisti che l’unificazione dell’Irlanda era lontana.
Il grande fallimento nell’Irlanda del Nord consisteva nel fatto che non c’era stato nessun tentativo di costruire una visione per il futuro. Era il mercato che doveva funzionare. Solo che non l’ha fatto. Anche prima del crollo del 2008 c’era un diffuso scontento. La politica aveva portato la pace, ma non aveva dato un senso. Ed è appunto il problema del senso, che ha cacciato gli unionisti nordirlandesi nei pasticci. Mentre i nazionalisti possono prospettare un’Irlanda unita che è sempre più probabile, gli unionisti avevano bisogno di costruire un senso specifico di cosa significasse essere nordirlandese. Analogamente, il governo iracheno è stato incapace di soddisfare tutti i suoi cittadini, con le sue istituzioni caotiche e corrotte e il favoritismo diffuso. Senza un significato, senza nessuna progettualità collettiva al di là del mercato, non c’era nulla con cui creare un senso di identità condivisa. Le vecchie identità “settarie” trovarono un vuoto da riempire, e così fecero.
L’eliminazione del socialismo arabo con la repressione e l’assassinio, e la marginalizzazione delle voci progressiste all’interno della comunità protestante ha fatto danni enormi alle possibilità di un futuro migliore. L’assunto neoliberale che il mercato avrebbe apportato benefici per tutti si è rivelata falsa. Con le crisi cicliche del capitalismo, di cui il crollo del 2008 è stato solo la più recente, si è fatta più acuta la necessità della ricerca di un’alternativa.
Il progetto nazionale e la fine del neoliberalismo
Nel 1930 Antonio Gramsci osservava che “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. A partire dal 2008 questa citazione è diventata onnipresente a causa del fallimento del neoliberalismo e degli sconvolgimenti creati da questo fallimento. Da Trump alla Brexit, da Sanders al movimento per l’indipendenza scozzese, voci che un decennio prima sarebbero state marginali sono giunte ora al centro del dibattito.
L’epoca di Gramsci si caratterizzava per il grande scontro ideologico tra le idee di sinistra e di destra. Il nostro tempo è segnato da differenze ideologiche meno definite. Spesso la destra nativista ha adottato il linguaggio e la politica della sinistra, come nel caso della richiesta da parte dell’amministrazione Trump che fosse consentita la sindacalizzazione dei lavoratori messicani come parte dei negoziati del NAFTA. Talvolta il centro è stato tirato a sinistra, come nel caso dei sostanziosi programmi di spesa dell’amministrazione Biden. Ma questi non sono cambiamenti programmatici che possono rispondere a quella mancanza di senso che rende tanto difficile per la politica soddisfare i cittadini.
Il dispiegamento di tattiche spietate – le sequenze OODA usate dal DUP, da Dominic Cummings, e da tanti altri politici di destra – ha avuto successo solo perché il neoliberismo ha reso la politica inconsistente. Se si può indurre la gente a dare il consenso a queste tattiche laddove la sinistra non ha nulla da offrire, persino a destra si è insoddisfatti del risultato. La crisi sempre più profonda del proprio progetto politico di cui soffre il DUP dà una chiara lezione al riguardo. Dobbiamo trovare i modi di ridistribuire la ricchezza, includere i cittadini in una varietà più ampia di processi decisionali nella società, e di prendere il controllo dei processi decisionali stessi riguardo al futuro, i quali ora sono totalmente privatizzati.
La citazione di Gramsci sulla natura della crisi viene talvolta interpretata a significare “ora è il tempo dei mostri” “piuttosto che “si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Se dobbiamo sconfiggere quei mostri, abbiamo bisogno di ricostruire la sostanza della nostra politica con una visione strategica. Perché la sola tattica condurrà la nostra politica in una spirale mortifera senza uscita. Provate a chiedere al DUP.
Traduzione di Francesca Lacaita