Iniziando con la relazione di Raul Mordenti pubblichiamo in questo spazio 4 interventi al convegno “Cessate il fuoco! Giustizia per la Palestina. Pace per due popoli”, organizzato dal Partito della Rifondazione Comunista e da transform! italia, tenutosi sabato 18 novembre alla Casa internazionale delle donne di Roma. qui il video dell’intero evento
1. Non si possono uccidere i bambini e le bambine. Non si possono uccidere le donne, non si possono uccidere i civili. Non si può voler eliminare interi popoli, o comunità, in base all’assurdo concetto della responsabilità collettiva (la responsabilità è sempre individuale), non si può commettere genocidio.
Il Comandamento “Non uccidere” risuona in Esodo, 20, 13, e in Deuteronomio, 5, 17; così come nel Corano, V, 32: “Chiunque ucciderà una persona senza che questi abbia ucciso un’altra (…), è come se avesse ucciso l’umanità intera”. Nella lettera aperta inviata all’ISIS da 126 eminenti imam e sapienti dell’Islam il 14 settembre 2014, si legge (al punto 6): “Nell’Islam è vietato uccidere gli innocenti” e (ai punti 17 e 18) “Nell’Islam è vietato torturare le persone” e “Nell’Islam è vietato sfigurare i morti”.
Tutto ciò non impedisce all’islamofobia fascistoide dei nostri media di identificare con l’Islam le azioni di Hamas, allo scopo di incrementare e sfruttare il rifiuto razzista contro i migranti (peraltro dopo aver identificato – ignoranti come sono – tutto il popolo palestinese, largamente laico e multireligioso, con l’Islam).
Se quella somma di tutti gli orrori che si chiama guerra avesse limiti e regole, questi da cui siamo partiti sono le regole e i limiti della guerra. Persino della guerra. Che infatti il diritto internazionale, compreso il diritto di guerra, ha fatto propri, considerando “crimini di guerra” uccidere bambini e bambine, commettere genocidio, o bombardare gli ospedali, le ambulanze, le scuole, i luoghi di culto, uccidere i reporter di guerra e i volontari dell’ONU, perseguire la “pulizia etnica”. Secondo l’ONU assistiamo al numero più alto di uccisioni di bambini mai verificatosi: era “al massimo di centinaia, in pochi giorni a Gaza abbiamo migliaia e migliaia di bambini uccisi (…)”.
Tutto ciò è accaduto, anzi accade, oggi, in questo momento, mentre parliamo, accade sotto i nostri occhi, con il silenzio, dunque la complicità, dei governi di tutto l’Occidente. In altre città occidentali si è assistito a manifestazioni di massa senza precedenti, in Italia non è ancora accaduto ed è nostro compito che accada presto.
Il giudizio della storia sarà durissimo verso questa generazione complice dei massacri, per razzismo colonialista o per viltà.
Ma anche se la guerra non avesse regole e limiti, la resistenza certamente li ha e li ha sempre avuti. Mai nelle nostre guerre di resistenza sono stati uccisi bambini e bambine. È stato così nei venti mesi durissimi della resistenza italiana. È stato così nella lotta di Cuba per la libertà e in altri mille conflitti per la liberazione.
Non si possono uccidere i bambini e le bambine.
2. L’ex ambasciatore di Israele in Italia Drod Eydar (a “Stasera Italia” il 27 ottobre scorso ) ha dichiarato testualmente: “Noi in Israele non siamo interessati a tutti questi discorsi razionali (…), per noi c’è uno scopo: distruggere Gaza, distruggere questo male assoluto…”.
Se volessimo riassumere lo scopo di questo nostro incontro, basterebbe dire che noi vogliamo fare esattamente il contrario di ciò che pensa e che ha detto l’ambasciatore Eydar, il contrario esatto della sua premessa e il contrario esatto della sua conclusione: noi vogliamo che si fermi il massacro perché siamo interessati a “tutti questi discorsi razionali”; aggiungerei che siamo interessati ai discorsi razionali perché siamo esseri umani.
Degno di Drod Eydar è uno dei tanti giornalisti mascalzoni del capitale il quale ha scritto sul “Corriere della sera” proprio per criticare i “distinguo”, i “se” e i “ma”, e per denunciare come terrorista chiunque operi tali distinzioni. Ma la distinzione è la base necessaria di ogni ragionamento: i fascisti, i razzisti non distinguono, i bruti non distinguono, gli esseri umani dotati di ragione distinguono, cioè ragionano.
Faccio notare che la distinzione fra terroristi e popolazione civile fu praticata anche nel caso di terrorismi sanguinosi. Di fronte agli attentati dell’Ira in Irlanda non venne in mente a nessuno (nemmeno agli inglesi della Thatcher!) di radere al suolo Belfast per “distruggere quel male assoluto”, e lo stesso si può dire per l’Eta nei Paesi Baschi, non venne in mente a nessuno (nemmeno agli spagnoli franchisti) di radere al suolo Bilbao o Guernica per “distruggere quel male assoluto”.
Ora dunque è diverso, ed è peggio di qualsiasi altra cosa. Perché ora abbiamo a che fare con l’introduzione di una pazzesca categoria religiosa come “il male assoluto”. L’impostazione religiosa di quelli come l’ambasciatore Eydar rispecchia la presenza di categorie religiose altrettanto folli nel terrorismo di matrice islamista.
E allora, in quanto appartengono al “male assoluto”, sono da distruggere anche i bambini e le bambine, quelli che si trovavano nei kibbutzim del sud di Israele il 7 ottobre o quelli che si trovano a Gaza.
Il bestemmiatore Netanyahu ha osato citare il profeta Isaia e perfino Qōhelet a suo sostegno; in realtà Isaia (da profeta) parlava anche di lui e dei suoi complici quando affermava:
“Ma le vostre iniquità hanno scavato un solco/
fra voi e il vostro Dio; /
i vostri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto /
per non darvi più ascolto. /
Le vostre palme sono macchiate di sangue /
e le vostre dita di iniquità; /
le vostre labbra proferiscono menzogne, /
la vostra lingua sussurra perversità.” (Isaia, 59, 2)
3. Dunque (ci dispiace per Il Corriere della sera) noi siamo qui esattamente per distinguere (cioè per capire).
In quanto comunisti e comuniste noi distinguiamo sempre e anzitutto i popoli dai potenti che li governano, ed è questa la base di classe della nostra opposizione alle guerre, sempre volute e decise dai potenti, sempre combattute e sofferte dai popoli, che ne muoiono. Non dimentichiamocelo mai. Scriveva Brecht (si noti: nel 1939):
La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
C’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
Faceva la fame. Fra i vincitori
Faceva la fame la povera gente egualmente.
Occorre distinguere Hamas dai palestinesi, distinguere l’uccisione dei bambini e della bambine compiuta da Hamas dalla lotta legittima del popolo palestinese; distinguere le ingiustizie e i massacri dell’esercito di Netanyahu o dei coloni in Cisgiordania dal popolo israeliano; e ancora: distinguere gli ebrei dagli israeliani e anche fra gli israeliani distinguere gli estremisti di destra (che oggi sono al Governo) da tanti/e pacifisti e internazionalisti che in Israele si oppongono con coraggio a Netanyahu.
Saremo noi capaci di distinguere? E di far diventare queste fondamentali distinzioni “senso comune” delle masse popolari e del movimento?
Questa è la prima sfida, difficilissima, perché tutto, proprio tutto, dalle menzogne dei mass media allo stesso orrore per i massacri, spinge invece alla semplificazione della guerra; è una sfida, difficilissima ma non impossibile, e comunque è questa la sfida che abbiamo oggi di fronte.
Naturalmente per capire serve anche ricostruire la storia, cioè capire le cause di questa guerra: lo faranno certamente meglio di me alcuni dei nostri relatori. Io mi limito a dire che astrarre una guerra dalle sue cause storiche serve solo a renderla incomprensibile, cioè a naturalizzarla, come se fosse un temporale o un terremoto, e ai terremoti non ha senso opporsi.
Invece alle guerre sì, ha senso opporsi, anzi è necessario opporsi. Esse hanno cause storiche ed economiche, hanno dietro di sé volontà politiche precise e scelte dei potenti, e dunque ciò significa che ad esse è possibile e necessario opporsi e, soprattutto, è possibile e necessario porre fine.
Nella storia di questo conflitto non risalirò troppo indietro, al sionismo del secolo XIX, alla shoà o al 1948, mi limiterò a risalire al 1993, agli accordi di Oslo fra l’Israele di Rabin e l’OLP di Arafat. Lì si erano viste almeno le basi per la necessaria e possibile convivenza di due popoli nella pace e nel diritto. Rabin è stato assassinato da un israeliano estremista, oggi considerato un eroe dalla destra che è al Governo, Arafat è morto in circostanze misteriose e sospette, ma prima era stato umiliato in tutti i modi e con lui era stata umiliata e delegittimata agli occhi delle masse palestinesi l’ANP.
Gli accordi di Oslo, peraltro fragili e squilibrati in quanto asimmetrico è sempre stato il rapporto fra occupante e occupato, non sono stati mai applicati. In violazione di quegli accordi (e di tante delibere dell’ONU) centinaia di migliaia di coloni estremisti hanno occupato, protetti dalle armi e dall’esercito, terre palestinesi in Cisgiordania cacciandone gli abitanti, sradicando gli alberi, abbattendo le case, monopolizzando l’acqua.
A Gaza, ridotta a una prigione a cielo aperto, con la più alta densità abitativa del pianeta, mentre l’OLP veniva sradicata, in quanto realtà plurale, laica, composta da numerose forze della sinistra, Hamas ha potuto instaurare un proprio dominio garantendo anche un sistema di welfare, e tutt’ora tenta di islamizzare – prendendo a modello i Paesi dominati dai Fratelli Musulmani – l’intera società palestinese.
Hamas nata nel 1987, ha goduto, sin dall’inizio, di una protezione, di sostegni economici che giungevano dai Paesi del golfo ed è stata finanziata indirettamente da Netanyahu col dichiarato scopo di dividere i Palestinesi e di allontanare la prospettiva dello stato palestinese.
Nel 2018 Israele ha addirittura votato una legge che proclama il carattere etnico e teocratico dello Stato, il contrario di ogni possibilità di pace, che ammanta l’estremismo e l’apartheid con la religione, per renderli immutabili, a seguire la provocazione di dichiarare Gerusalemme (luogo cardine per trovare uno spiraglio di pace) come capitale indivisibile di Israele, ulteriormente allontanando qualsiasi prospettiva di pace.
Coloro che oggi dicono, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, che la soluzione del problema è “due popoli e due stati” (ora lo dicono anche gli Stati Uniti e, quindi, anche i loro servi europei come Meloni), dove erano in tutti questi anni, mentre accadevano queste cose che miravano a rendere impossibile la soluzione di un’entità palestinese a cui garantire continuità territoriale?
Questi sono i semi che hanno prodotto gli orrendi frutti del 7 ottobre e del mese di massacri che gli è seguito. E commetteremmo un tragico errore di miopia se ignorassimo i decenni in cui centinaia di migliaia di persone sono state costrette all’esodo e in cui generazioni intere di Palestinesi sono nate e cresciute avendo come unico orizzonte quello della guerra, dell’oppressione, dell’umiliazione e dell’occupazione.
Oggi l’informazione sembra partire unicamente dal 7 ottobre, ma sono stati dimenticati, per esempio, gli oltre 200 Palestinesi (di cui 38 minorenni) uccisi soltanto considerando il periodo che va dal primo gennaio al 18 settembre 2023.
Se per fare la pace non ci si può scegliere il nemico, facendo la guerra accade invece che il nemico si possa in parte costruirselo in base alle proprie esigenze. E non c’è dubbio che se la politica e i finanziamenti di Netanyahu hanno rafforzato Hamas è anche vero che le azioni di Hamas hanno rafforzato le posizioni più estreme in Israele, e questo terribile circolo vizioso continua e si alimenta ogni giorno.
Come si può fare a romperlo? Possono contribuire in qualche modo a spezzarlo gli internazionalisti italiani ed europei? È questa la domanda, per noi centrale, che rivolgiamo ai nostri interlocutori di oggi.
4. Torniamo alla base di ogni nostro ragionamento: “Non si possono uccidere i bambini e le bambine”. Se dobbiamo scartare la scusa comoda e colpevole della follia di chi ha ucciso e uccide i bambini e le bambine, dobbiamo capire (per quanto sia ripugnante farlo) quale scopo, se ne esiste uno, perseguivano e perseguono coloro che uccidono i bambini e le bambine.
Pure a prescindere dalle decisive motivazioni morali e giuridiche, era infatti del tutto evidente anche agli assassini che uccidere i bambini e le bambine comportava per loro dei danni, gravissimi.
Per Hamas era infatti chiaro che uccidere i bambini e le bambine comportava evidentemente un alto prezzo di sofferenze per il popolo palestinese, e che quel crimine sarebbe stato usato per legittimare l’apartheid, l’invasione e i massacri; ma pure per il governo di Israele è ben chiaro che procedere ai massacri di Gaza comporta, oltre alle perdite di vite umane, anche una catastrofe politica internazionale senza precedenti, incrementa l’odio e il rifiuto del mondo intero, lasciando Israele solo con il padrino-padrone americano (come sono rimasti soli, questi due stati, i soli sui 188 stati dell’ONU, a votare insieme per il mantenimento del criminale bloqueo americano a Cuba). Soprattutto ciò che sta facendo il governo Netanyahu, il più nazionalista, religioso e fascista della storia di Israele, si rivela assolutamente catastrofico per Israele se si guarda al “dopo” (non a caso questo “dopo” non compare mai negli interventi suoi e dei suoi sostenitori): o costoro pensano davvero alla “soluzione finale”, cioè allo sterminio sistematico di tutti i Palestinesi, a cominciare dai bambini e dalle bambine, oppure se non pensano a questo esito terribile, o semplicemente non lo ritengono materialmente possibile, è del tutto evidente che questo mese di massacri ha rafforzato enormemente Hamas e la prospettiva di un odio senza fine e senza limiti verso Israele. Chiunque può capirlo guardando gli occhi dei bambini che vengono estratti ancora vivi dalle macerie, magari unici superstiti della loro famiglia sterminata.
Il governo di Netanyahu sta seminando una intera generazione di nemici di Israele pronti a tutto, altro che eliminare Hamas! L’esito di questa semina sciagurata non può che essere, prima o poi, la catastrofe anche per Israele, non solo per la Palestina. Mi permetto di dire, en passant, che questo dovrebbe spingere gli amici di Israele e la diaspora ebraica a schierarsi per la pace (come è accaduto negli Stati Uniti) e non a subordinarsi agli ex fascisti e ai fascisti nell’invocare, in obbedienza al padrone americano, sempre più guerra e più massacri.
Ma domandiamoci: perché mai questi crimini simmetrici che si alimentano reciprocamente sono stati commessi, se essi oltre che criminali erano e sono anche del tutto controproducenti rispetto a qualsiasi obiettivo politico sensato?
5. Una risposta possibile consiste nell’orrendo miscuglio che è stato operato fra politica nazionalistica di potenza e religione. L’integralismo religioso non si cura delle conseguenze, esso innalza la blasfema bandiera dei crociati Deus vult! (Dio lo vuole!) capace di condurre alle peggiori catastrofi, come la storia dei secoli ha più volte dimostrato.
Quando Dio e la guerra si incontrano, la guerra diventa Dio.
Ma perché mai questo è potuto accadere proprio in questo tempo del XXI secolo?
Io credo che per capire qualcosa sia necessario capire che siamo in guerra, che il mondo è in guerra. È questo il vero legame che esiste fra la guerra russo-ucraina e quella israelo-palestinese, non certo il gossip spionistico di cui parlano i propagandisti atlantici.
La guerra è l’esito, l’unico possibile, che l’imperialismo riesce a pensare e praticare a fronte della sua crisi irreversibile. Lo ha esplicitato il documento della Presidenza statunitense, sul “Secolo americano”, di Bush e dei suoi successori, che afferma la necessità per gli USA di comandare il mondo. La verità è che il capitalismo globale a guida USA non ha più margini egemonici, cioè non può risolvere nessuno dei problemi aperti di fronte all’umanità associata, e anzi li aggrava tutti (a cominciare dalla crisi ecologica che distrugge il pianeta e dalla crisi sociale, di disoccupazione e fame), e dunque il dominio del capitale si manifesta ora in forma – per così dire – pura e assoluta: in forma di guerra. L’Occidente capitalistico in crisi ha dichiarato guerra al mondo, e la terza guerra mondiale, sia pure a scacchiera, è cominciata ed è in pieno svolgimento.
D’altronde il capitale finanziario non ha più alcun compromesso da fare con il lavoro salariato e per questo ha soppresso ogni patto socialdemocratico col lavoro, e come a livello internazionale per tenere fermo un insostenibile comando uni-polare è stata soppressa ogni mediazione della politica fra gli stati del mondo (a cominciare dall’umiliazione dell’ONU), così anche nei nostri Paesi è soppressa di fatto la democrazia, è marginalizzato e criminalizzato il conflitto di classe: si proibiscono gli scioperi, si manganellano gli studenti e le studentesse, si promettono anni di carcere per i blocchi stradali o le scritte sui muri, si aggredisce la Costituzione.
Nel mondo questa fine dell’egemonia del capitale e il suo trasformarsi in dominio assoluto prende dunque la forma della guerra, anzi delle guerre, che devono essere e sono sempre più numerose, sempre più sanguinose, sempre più interminabili, giacché (come è stato apertamente teorizzato negli USA) sono proprio queste guerre che garantiscono meglio i profitti del capitale finanziario, delle industrie di armi e dell’apparato industriale-militare e che consentono il totale controllo degli USA sull’Europa serva della Von der Leyen.
Questo nesso essenziale che lega la guerra al capitalismo in crisi è ciò che mette all’ordine del giorno il problema della fuoruscita dal capitalismo, per noi la prospettiva del comunismo.
Anche perché quello che succede rende del tutto attuale e presente la prospettiva della guerra atomica, cioè della fine della presenza umana sulla terra, e non a caso di uso della bomba atomica ha parlato apertamente Zelensky così come, qualche giorno fa, lo ha fatto un ministro israeliano che ha proposto di usarla su Gaza.
6. Ci resta da considerare il più odioso degli argomenti, a cui non vogliamo sottrarci in alcun modo: l’accusa di antisemitismo.
Certo, per tutti noi è la più abietta e insopportabile delle accuse quella che ci proviene da gente che rivendica, fin dal suo simbolo, la continuità con i fascisti di Salò e che intitola strade e piazze al redattore della “Difesa della razza”. Noi comunisti e comuniste siamo gli eredi diretti di chi i nazifascisti li combatté, e li sconfisse, con le armi in pugno; ma senza dover risalire alla Resistenza, pure la nostra generazione ha affrontato anche fisicamente i fascisti che inneggiavano a Hitler e Mussolini, combattendo in loro l’antisemitismo che costoro professavano apertamente. Dunque non c’è chi non veda cosa proviamo noi oggi nel vedere quelle stesse facce, quegli stessi nomi (nel frattempo assurti al Governo e al sottogoverno del Paese) darci lezioni a proposito dell’antisemitismo.
Ma, ciò detto, dobbiamo sapere che “il ventre della bestia è ancora fecondo” (come diceva Brecht), e che l’antisemitismo, questa secolare e diffusa malattia dell’Occidente cristiano, è sempre latente come un virus mortale. Oggi esso è rafforzato dalla guerra e dalla mancanza di quelle distinzioni che poc’anzi rivendicavamo, la distinzione fra ebrei e israeliani, fra israeliani e governo Netanyahu, fra il popolo e i potenti, fra le classi, etc.
Contro questo virus noi non possediamo il vaccino, ma possediamo almeno i test per individuare chi ne è affetto e lo diffonde. Ad esempio, dire (come ha detto la Meloni) che la pandemia del Covid è stata procurata per arricchirsi da una congiura internazionale dell'”usuraio” Soros (e si noti la qualifica di “usuraio”!) è un segno certo di antisemitismo, che evoca la narrazione fascista del complotto demo-pluto-giudaico; questa stessa narrazione tossica e falsa vive però anche in chiunque accomuni in un’unica categoria, unita da chissà quali misteriosi legami, Noam Chomsky, Umberto Terracini, il nostro partigiano di Via Rasella Mario Fiorentini, il negoziante ebreo sotto casa e il banchiere Rothschild (ma – si noti – escludendo dalla critica tutti gli altri banchieri più o meno cristiani).
Come disse Bebel, “L’antisemitismo è il socialismo degli imbecilli”, e allora dobbiamo domandarci: esistono degli imbecilli anche nelle nostre fila, nel movimento, nello nostro stesso Partito? La domanda è necessaria e la risposta non può essere banale.
Questo dunque è un fronte di battaglia politico-culturale di lotta all’antisemitismo che Rifondazione Comunista ha aperto con decisione, e ringrazio il compagno Acerbo che ha tradotto e riproposto nel suo blog un importante e documentato articolo sul problema dell’antisemitismo in rapporto alla III Internazionale (John Rose, I bolscevichi e l’antisemitismo1.
Ho imparato leggendo quell’articolo che, su proposta del bolscevico Evgeny Preobrazenskij, al Primo Congresso dei Soviet nel giugno 1917 fu approvata all’unanimità, da oltre un migliaio di delegati in rappresentanza di milioni di operai, contadini e soldati, una mozione che incaricava “tutti i soviet locali (…) a svolgere un implacabile lavoro di propaganda e istruzione tra le masse al fine di combattere la persecuzione antiebraica”. Ma la mozione anche avvertiva del “grande pericolo” rappresentato dalla “tendenza dell’antisemitismo a mascherarsi sotto slogan radicali”.
Studiamo quell’articolo, facciamolo circolare, facciamo nostra quella mozione dei Soviet, sapendo che la conoscenza è sempre l’antidoto più efficace contro ogni forma di razzismo.
7. Non spetta certo a noi indicare la via delle soluzioni, ciò che compete in primo luogo ai compagni e alle compagne che vivono l’oppressione e la guerra.
Qui ci limitiamo a ribadire il minimo su cui occorre convergere tutti e subito: immediato cessate il fuoco; apertura di una vera trattativa di pace; liberazione degli ostaggi, quelli israeliani in mano ad Hamas e quelli palestinesi in carcere in Israele, a cominciare dalla liberazione del compagno Barghouti; cessazione immediata degli insediamenti in Cisgiordania e loro progressivo smantellamento, fine delle violenze dei coloni.
Prevalgano le umane ragioni che impediscono di uccidere i bambini e le bambine!
Raul Mordenti
Questo testo è da considerarsi un preprint. la versione definitiva sarà pubblicata dalla rivista Su la testa! nel prossimo numero (2024) dedicato alla Palestina.
- Recensione a Brendan McGeever, Antisemitism and the Russian Revolution, Cambridge University Press (2019), £. 22,99, dalla rivista International Socialism“, cfr. https://www.maurizioacerbo.it/blogs/?p=5778.[↩]
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