Il 1° settembre si voterà nei lander dell’ex Germania orientale Turingia e Sassonia. Due realtà caratterizzate da orientamenti politici contrastanti. Il 22 settembre toccherà al Brandeburgo, un altro land dell’ex DDR, essere chiamato al voto.
La Turingia è l’unico land con un Ministro-Presidente della Linke, Bodo Ramelow, alla guida di una coalizione di minoranza di cui fanno parte anche socialdemocratici e verdi. I tre partiti disponevano di 42 seggi nel Landtag uscente sugli 88 totali. In mancanza della maggioranza assoluta hanno dovuto contare sulla tolleranza della CDU che disponeva di 21 seggi. L’unica coalizione alternativa era possibile solo con l’inclusione del partito di estrema destra AfD che contava 22 seggi. Dopo qualche oscillazione e soprattutto per l’influenza del partito nazionale, i democristiani locali hanno abbandonato ogni ipotesi di alleanza a destra.
Stando ai sondaggi il panorama politico della Turingia uscirà profondamente trasformato dalle scelte degli elettori. L’AfD dovrebbe diventare il primo partito col 30% dei voti, in crescita di quasi 7 punti sul 2019, confermando l’ottimo risultato delle europee di giugno. Il secondo partito dovrebbe essere la CDU col 21% mentre la Linke subirebbe un pesante ridimensionamento ottenendo tra il 13 e il 16% dei voti (gli ultimi sondaggi di INSA e Forse danno questa variabile). In calo l’SPD che si collocherebbe tra il 6 e il 7%, mentre per i Verdi, dati tra il 3 e 4%, sembra profilarsi l’esclusione dal parlamento regionale. Fuori dal Landtag resterebbero anche i liberali. Il vero exploit è quello previsto per l’Alleanza Sahra Wagenknecht (BSW), fuoriuscita dalla Linke, che si attesterebbe tra il 18 e il 19%, in crescita anche rispetto all’ottimo 15% ottenuto nelle elezioni europee.
Impossibile la riedizione del governo rosso-rosso-verde che, per altro, il leader locale dell’SPD Georg Maier ha già dato per defunto. Se i sondaggi saranno confermati sarà impossibile formare un governo che non includa o abbia almeno la tolleranza dell’AfD o della BSW. Mentre nei confronti dell’AfD che nell’est tedesco ha una leadership collocata sulle posizioni più estremiste all’interno del partito, sembra per ora restare in piedi la politica di contenimento, più incerta la posizione dei maggiori partiti verso il movimento di Sahra Wagenknecht. Il leader socialdemocratico della Turingia non ha del tutto escluso l’alleanza pur accusando il nuovo partito di essere “filo-russo”. Anche nella CDU si è aperto un dibattito che ha visto scendere in campo Armin Laschet, per breve tempo presidente del partito prima di dimettersi e lasciare il passo a Friedrich Merz, collocato alla sua destra. Secondo quando riferisce il quotidiano Tagesspiegel, Laschet ha aperto alla possibilità di trattare, almeno a livello locale, con la formazione politica della Wagenknecht.
La stessa BSW ha lasciato aperto la porta a varie opzioni anche se sembra esclusa l’ipotesi di una alleanza con l’AfD, benché alcuni esponenti locali non abbiano negato la possibilità di condividere specifiche proposte che vengano dall’ultradestra.
In Sassonia, che ha un orientamento elettorale più conservatore, il Ministro-Presidente uscente è il democristiano Michael Kretschmer alleato a socialdemocratici e verdi. Anche qui le tendenze indicate dai sondaggi non sono molto diverse da quelle della Turingia. Stabile la CDU tra il 29 e il 33%, in crescita l’AfD che compete per la posizione di primo partito con dati che la collocano tra il 30 e il 32. Per la Linke i due maggiori istituti di sondaggio prevedono tra il 3 e il 5% e sarebbe quindi a rischio esclusione. Al limite della soglia di sbarramento sono anche socialdemocratici e verdi che oscillano tra il 5 e il 6%. Certamente esclusi i liberali che non erano riusciti ad eleggere nemmeno 5 anni fa. La BSW di Sahra Wagenknecht è collocata tra il 13 e il 15%, risultato che consoliderebbe il 12,6% ottenuto alle europee.
Spostamenti percentuali anche di pochi punti saranno decisivi per consentire una riedizione della coalizione uscente CDU-SPD-Verdi. Nell’ipotesi migliore questi partiti raggiungerebbero il 45% dei voti, mentre le due forze di opposizione sommate potrebbero arrivare al 47%. La BSW diventerebbe pertanto un interlocutore indispensabile sei vuole escludere l’estrema destra dal governo regionale.
Non molto diverse le indicazioni che danno i sondaggi relativi al Brandeburgo che voterà tre domeniche dopo. Anche questo land è governato da una coalizione a tre, SPD-CDU-Verdi, ma in questo caso i socialdemocratici sono il primo partito e loro è il Ministro-Presidente uscente.
L’AfD diventerebbe la prima formazione col 23-24%, mentre dietro, con un consenso che si aggira tra il 16 e il 18% sarebbero SPD, CDU e BSW. I Verdi, in calo, riuscirebbe comunque a confermare la propria presenza nel parlamentino regionale col 7%. La Linke anche qui oscilla tra il 4 e il 5% quindi dovrà lottare per non restare esclusa. Fuori dovrebbero rimanere i liberali ma anche una lista civica di centro-destra che nel 2019 era riuscita ad eleggere. In questo caso sembra più facile riconfermare la coalizione uscente ma molto dipenderà dall’ingresso o meno della Linke che potrebbe diventare determinante.
Come ha scritto il sito della Deutsche Welle nei giorni scorsi, molti tedeschi dell’est sono scettici sul sostegno tedesco all’Ucraina e la decisione di ospitare missili Usa. Una scelta questa confermata a maggioranza dal direttivo dell’SPD. Ufficialmente questi missili, che possono colpire la Russia, non caricheranno ordigni atomici, ma potrebbero farlo senza difficoltà e la logica dell’escalation militare seguita in Ucraina, dove ciò che non era possibile ieri diventa possibile oggi o lo sarà domani, permette di non dare troppo credito a queste rassicurazioni.
La Germania ha svolto un ruolo di primo piano nel fornire armi e sostegno economico a Kiev con 23 miliardi di euro, seconda solo agli Stati Uniti. Inoltre ha sostenuto politicamente e con armamenti la politica di genocidio condotta dall’esercito israeliano a Gaza, al punto da perseguire ogni tentativo di mobilitazione a favore dei diritti dei palestinesi al proprio interno.
Il governo tedesco, per volontà del ministro liberale delle finanze Christian Lindner ha annunciato un blocco a nuovi fondi in favore dell’Ucraina nel 2025 per ragioni di politiche di bilancio che richiederanno un taglio della spesa. Per Lindner gli aiuti a Kiev nella guerra con la Russia dovranno essere trovati a livello europeo o utilizzando il patrimonio della Banca nazionale russa congelato. Una soluzione quest’ultima, finora perseguita dall’UE con prudenza perché presuppone una grave violazione del diritto internazionale che potrebbe avere conseguenze imprevedibili. La scelta del ministro delle Finanze ha aperto un’altra crepa all’interno della coalizione semaforo, con i Verdi fortemente critici ad un eventuale blocco dei finanziamenti all’Ucraina. Il 2025 sarà l’anno delle nuove elezioni federali pertanto molto potrà essere rimesso in discussione dal prossimo governo.
La politica estera è diventata un tema chiave delle elezioni regionali, secondo la Deutsche Welle, benché la materia sia di competenza del governo federale. I partiti in crescita all’est, tra loro diversi per provenienza e connotazione ideologica, l’AfD e la BSW, si sono opposti al massiccio sostegno militare all’Ucraina e sono favorevoli all’avvio di negoziati con la Russia. Hanno anche criticato le sanzioni che hanno messo in difficoltà tutto il sistema economico tedesco che fa registrare preoccupanti scricchiolii. Il modello di sviluppo economico perseguito negli anni della Merkel prevedeva bassi costi dell’energia e una forte struttura industriale orientata alle esportazioni e tutto ciò ora è rimesso in discussione dalla crisi della globalizzazione della nuova guerra fredda.
Sahra Wagencknecht ha dichiarato che “le elezioni all’est saranno anche un referendum su pace e guerra”. Se la BSW punta soprattutto sulla sensibilità pacifista ancora forte nella Germania orientale, l’AfD argomenta la critica alle politiche federali soprattutto per le loro negative ricadute economiche. Il co-presidente del partito di estrema destra ha dichiarato che la Germania deve innanzitutto considerare i propri interessi: “stiamo pagando prezzi esorbitanti per l’energia, l’inflazione è salita alle stelle, come risultato delle sanzioni. Tutto questo deve finire”.
Anche alcuni politici locali di CDU e SPD hanno cercato di prendere le distanze dalle scelte militariste compiute a Berlino. Il primo ministro democristiano della Sassonia, Michael Kretschmer, ha chiesto una riduzione dell’aiuto militare all’Ucraina e un più importate sforzo diplomatico che attivi alleanze con la Cina e l’India. Posizioni simili sono venute anche dal Ministro-Presidente socialdemocratico del Brandeburgo Dietmar Woidke. Prese di distanza che hanno evidentemente una funzione elettorale ma indicano anche che la spinta dal basso contro la guerra, anche se per motivazioni diverse, è comunque molto forte e non può essere ignorata, localmente, dai partiti dell’establishment.
Il tema della guerra e del riarmo tedesco all’interno di una UE sempre più militarizzata sarà un elemento del dibattito che porterà la Linke al congresso di metà ottobre. Il partito è in forte crisi per le sconfitte elettorali subite nell’ultimo periodo, sia a livello federale con le europee di giugno, sia in molte elezioni regionali. La Linke è nata dall’unificazione della PDS che aveva un forte seguito e radicamento nell’ex Germania orientale con militanti sindacali e dissidenti della socialdemocrazia all’ovest. Il partito si è via via orientato su una prospettiva di sostegno ai movimenti cosiddetti postmaterialisti ed è stato attraversato da profonde divisioni che gli hanno impedito di assumere posizioni chiare sulla guerra in Ucraina e su Gaza. Si è trovato così ad essere identificato come uno dei partiti del sistema piuttosto che come forza critica ed alternativa.
La componente più apertamente ostile alla guerra, subito accusata dai media e dal sistema politico di essere “putiniana” e in pratica di svolgere la funzione di quinta colonna russa, è uscita dal partito con la scissione guidata da Sahra Wagenknecht. La Linke rivendica posizioni di sinistra sulla questione migranti e sul cambiamento climatico, accusando (non del tutto a torto) la BSW di aver accettato posizioni politiche che concedono troppo all’estrema destra.
Heinz Bierbaum ha rilevato criticamente, in un intervento sul sito della Fondazione Rosa Luxemburg di cui è presidente, “che mettere la questione della pace in secondo piano si è rivelato un grave errore strategico, giustificato dal fatto che sia il partito che l’opinione pubblica sono divisi sull’argomento”. Per Bierbaum “è necessario concordare sul fatto che guerre come quella in Ucraina non possono essere concluse con la forza militare ma solo attraverso il negoziato. Attualmente stiamo vivendo una sorta di militarismo che permea l’intera società, inclusa la cultura. Die Linke deve opporsi fermamente e visibilmente a questa tendenza”. Va detto che una parte della sinistra radicale europea non solo non si oppone “fermamente e visibilmente” a questa deriva ma sostiene apertamente l’interventismo militare della Nato nel conflitto con la Russia.
I co-presidenti della Linke, Janine Wissler e Martin Schirdewan, hanno annunciato che non cercheranno la rielezione al prossimo congresso di ottobre. Al momento sono emerse le candidature di Ines Schwerdtner e Jan van Aken, quest’ultimo responsabile del partito sul tema della pace propugna una più netta posizione antimilitarista e antiguerra ed è considerato molto popolare, secondo il quotidiano “Neues Deutschland”. Ines Schwerdtner, ex sindacalista ed ex direttrice dell’edizione tedesca di Jacobin, ha aderito alla Linke nel 2023 per candidarsi alle elezioni europee. Collocata in posizione favorevole non è stata eletta per il pessimo risultato ottenuto dal partito. Entro l’8 settembre potranno presentarsi altri aspiranti alla leadership.
Per ora le dichiarazioni dei due potenziali leader rimangono abbastanza generiche. Per loro ci sarà il problema di non facile soluzione di tenere insieme un partito diviso e contemporaneamente delineare posizioni più nette e comprensibili all’opinione pubblica e all’elettorato che ha abbandonato il partito negli ultimi anni.
Come ha rilevato Raul Zelik, dirigente della Linke, sulla Neues Deutschland i dibattiti strategici del partito tendono a ripetere le stesse posizioni. “Alcuni vogliono orientarsi ancora di più verso la partecipazione governativa, anche se i sondaggi ci collocano al tre per cento, altri credono che sia necessario ricatturare le regioni orientali, i terzi predicano una politica di accompagnamento ai movimenti che spesso non esistono per niente”. Se di qualcosa può essere accusata la Linke – continua Zelik – è di reagire troppo lentamente alle crisi: “il partito aderisce ancora all’idea di una versione di sinistra del “New Deal Verde”, anche se i corrispondenti movimenti di riforma in Gran Bretagna, Usa, Grecia e Spagna sono stati da tempo sconfitti e il termine stesso è stato appropriato dalla tecnocrazia neoliberale dell’UE. Due anni dopo l’inizio della guerra russo-ucraina, non c’è ancora un’idea consistente su come opporsi alla militarizzazione della Germania e all’entusiasmo per il patriottismo ucraino, avendo allo stesso tempo una posizione netta contro il putinismo. O su Israele/Palestina: benché l’estensione genocida della guerra israeliana a Gaza non possa più essere negata e la repressione contro le proteste anti-guerra in Germania sia scandalosa, il partito sta nascondendo la questione per paura dei conflitti interni”. “Più veloce, più pungente e anche più ribelle” è quello che, secondo l’autore, la Linke dovrebbe diventare al di là di chi la guiderà.
Franco Ferrari
1 Commento. Nuovo commento
Grazie Franco, ottimo lavoro anche se sconfortante.