editoriali

Immoralità suprematista

di Stefano
Galieni

Anche una consonante può fare la differenza. Il ministro dell’agricoltura Lollobrigida ha infatti evocato la minaccia, che si profilerebbe per l’Italia di una “sostituzione etnica”, causata dall’arrivo “incontrollato” di persone provenienti da altri continenti (cfr clandestini). Ovviamente la soluzione per evitare una carenza nel mercato del lavoro c’è “si utilizzi il lavoro femminile e si garantisca l’aumento della natalità”. Inutili i commenti. Nei fatti, quello che inconsciamente evidenzia e di cui è uno dei tanti portatori il ministro, è il tentativo, neanche celato di provvedere nel Paese ad una sostituzione “etica”. Si sovverte il sistema di valori basilari di ogni contesto umano e sociale e si fa divenire la sopraffazione suprematista un normale esercizio di dominio. Da etnico a etico, basta togliere una consonante. Chissà se al ministro (sicuramente frainteso sic), sia dal sen fuggita una rimembranza delle teorie complottiste legate al cosiddetto “Piano Kalergi”, versione 2.0 dei Protocolli dei savi di Sion. Vale la pena ricordare – a chi plaude alla svolta europeista dell’attuale governo – che Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi, cittadino austriaco, nato in Giappone, poi sfuggito al nazismo dopo l’annessione, pubblicò nel 1923 un libro, “Paneuropa”, in cui prefigurava un continente unito, pluriculturale e multietnico, come base per mantenere la pace in Europa. Un antinazionalista idealista che Hitler definì amorevolmente “un bastardo”, i cui nobili propositi poco riuscirono ad influire nel mondo intellettuale fra le due guerre. Quanto basta per fornire a tal Gerd Honsik, neonazista e negazionista austriaco che con il suo libro del 2005 ha sostanzialmente inventato il “Piano Kalergi”. Honsik mise insieme diversi scritti di Kalergi, condì il tutto con una temporanea appartenenza del suddetto ad una loggia massonica, interpretò in maniera a dir poco disinvolta il linguaggio degli anni 20 dell’aristocratico connazionale per costruire il mito della sostituzione etnica. In “Addio Europa”, il neonazi tanto amato soprattutto da Matteo Salvini e sodali, ma il cui raggio d’azione si è espanso anche in FdI, i soliti fantomatici “poteri forti” hanno pianificato, (Kalergi docet), la sostituzione dell’ “indomabile razza ariana”, con un melting pot afro asiatico, più controllabile e asservito alla finanza mondiale. Honsik, morto in Ungheria nell’aprile 2018 è stato uno dei più famosi ideologi del neonazismo, condannato per i suoi scritti negazionisti e di incitamento all’odio razziale aveva trovato facile rifugio in un Paese il cui governo non è certo lontano da simili posizioni politiche. Un altro raffinato propugnatore del pericolo derivante da una presunta sostituzione etnica è Renaud Camus (nulla a che fare con Albert), saggista e romanziere, un tempo esponente della sinistra sovranista francese, (un Fusaro ante litteram), ospite spesso a Casa Pound e apparentemente più raffinato. Secondo costui “l’immigrazione “massiccia” e una fertilità più pronunciata nelle popolazioni d’origine extra-europea nel tempo determineranno la scomparsa della “razza bianca” europea – e l’imposizione di culture e di una religione “imperialista” – l’islam – estranee al continente”. Partendo dalla preoccupazione per il proprio Paese Camus afferma che “Questa sostituzione avverrebbe in tre tempi: l’alterazione, la dissoluzione dell’identità francese e la sua distruzione attorno al 2030”. Anche lui ha avuto condanne per antisemitismo e pur non legandosi alle logiche cospiratorie alla Honsik raccoglie un consenso da non sottovalutare. Tornando al nostro ministro dell’Agricoltura, il nesso fra tema della scarsa natalità italiana e sostituzione etnica sembrano risentire dell’influenza dell’intellettuale francese.

Ma non sono due intellettuali d’élite a determinare il successo di simile narrazione. La semplificazione delle loro teorie è divenuta discorso da bar che si è diffuso facilmente. Basti pensare che la percezione del numero e del peso delle migrazioni nel continente è alterata in maniera difficilmente razionalizzabile. Nonostante lo schermo televisivo mostri un’Italia da “mulino bianco” (il colore non è casuale), e la vita sociale si sia ristretta in ambiti sempre più atomizzati, basta prendere un autobus, recarsi ad una stazione ferroviaria, luogo di incontro comune, e si incontrano cittadini e cittadine che evidentemente provengono da altri paesi. Da noi non esistono ancora, come a Londra, le divisioni etniche nei quartieri, ma ci sono aree, soprattutto nelle città, anche in ragione del prezzo degli alloggi, in cui è concentrato chi ha meno risorse. Queste sono spesso persone con back ground migratorio. Ergo “le nostre città sono invase dagli stranieri”. Si aggiunga la presenza di alunne/i stranieri nelle scuole (fatto spesso vissuto positivamente), la presenza di numerose attività commerciali gestite da “stranieri”, l’uso maggiore del mezzo pubblico per muoversi rispetto agli autoctoni, il nesso che i mezzi di informazione riescono a stabilire attraverso immagini e servizi, fra chi sbarca in Italia, in fuga da guerre, persecuzioni, crisi ecc.., e quanto detto precedentemente, fa si che nel pensiero comune l’idea che “ci stanno occupando il Paese” prevalga. Parliamo di persone percepite, a volte in maniera patologica, contemporaneamente come minaccia e come forza lavoro a basso costo, legate a fatti di cronaca nera e, allo stesso tempo, ricattabili al punto da lavorare in condizioni inaccettabili per gli autoctoni. Secondo molti “italiani” in base ad una ricerca dell’Istituto Cattaneo che forse oggi darebbe dati peggiori, la percentuale di persone straniere extraeuropee percepita era, alla fine del 2017 del 25%, (il dato reale era il 7%). In sintesi, una parte di Paese alla minaccia della sostituzione etnica, ci crede realmente. Se poi lo spazio informativo è pervaso da fomentatori d’odio del calibro di Magdi Cristiano Allam, Claudio Messora, (direttore della emittente televisiva “no vax”, Byoblu), nonché di leader populisti in tutte le salse, il messaggio arriva e si diffonde rapidamente. Il nostro Lollobrigida sembra parlare al senso comune (un senso in nome di cui, si sono commessi nella storia i peggiori crimini), poco importa che sul sito della Presidenza del Consiglio appaia un’esplicita condanna alle teorie riguardanti l’inesistente “piano Kalergi”, in quanto frutto di “pregiudizi antisemiti”. Evidentemente il Presidente Meloni dialoga poco di questi temi col cognato.

Ma il lessico del governo è ricco di questi scivoloni linguistici che coprono un impianto culturale ben dichiarato. Come è possibile che un ministro dell’Interno, parliamo di Matteo Piantedosi, arrivi a definire le persone salvate da un naufragio, “carico residuale”? E come è accettabile che ai piani alti del ministero della Cultura possa sedere il sig. Emanuele Merlino? Gli errori dei padri non dovrebbero ricadere sui figli anche se il suddetto, capo della Segreteria tecnica dell’attuale ministro Gennaro Sangiuliano, è figlio di quel Mario Merlino, di Avanguardia Nazionale, già infiltrato nei gruppi anarchici durante la Strategia della tensione, uno dei protagonisti più oscuri del periodo. Dal padre il figlio sembra aver preso la caparbietà e l’eclettismo. Tra le sue pubblicazioni una graphic novel “Foiba Rossa”, pubblicata da una delle case editrici dell’universo di Casa Pound e incentrato sulla tragica vicenda di Norma Cossetto, ragazza infoibata dopo l’8 settembre, divenuta per la destra simbolo dei crimini dei partigiani italiani e jugoslavi. Al di là delle perplessità sulla ricostruzione della vicenda e delle ricostruzioni false e strumentali di quella complessa fase storica, oggi Merlino Jr è in un posto chiave del ministero che dovrà occuparsi della desecretazione delle carte relative a Gladio, alla P2 e alle vicende in cui il padre è stato coinvolto. Intanto parla di “contro egemonia”, che deve imporsi sulla sinistra, in nome della nazione, termine tanto abusato e dell’italianità, ci risiamo. L’utilizzo spropositato di termini come “nazione”, “sovranità”, “patria”, costituiscono l’ipertesto meloniano. Nonostante il Paese (perché non utilizzare tale termine) si mostri sempre più prono agli interessi statunitensi, si esalta in ogni dove il culto nazionalista che è elemento strutturale della manifesta volontà di conflitto. La “nazione” si realizza aumentando le spese in armamenti, finanziando la guerra in Ucraina come i dittatori dei paesi da cui non si vorrebbe uscissero più richiedenti asilo. Questa è la difesa dell’Italia offerta dal governo che apertamente si rivolge ai paesi rivieraschi e, come avvenuto nel recente viaggio in Etiopia, con un linguaggio coloniale e con interventi che fanno sognare ad alcuni la proverbiale “quarta sponda”. Come se non bastasse, in un calembour di trovate tragicomiche, laddove si ha avuto la spudoratezza di chiamare un ministero, “delle Imprese e del Made in Italy”, un collega di partito, il vicepresidente del Senato, Fabio Rampelli dichiara guerra all’utilizzo dei termini in lingua straniera, soprattutto in inglese, (ah la “perfida Albione”), un progetto di legge contro l’eccesso di forestierismo.  L’articolo uno della proposta recita che «La Repubblica garantisce l’uso della lingua italiana in tutti i rapporti tra la pubblica amministrazione e il cittadino nonché in ogni sede giurisdizionale». A seguire si afferma, che «la lingua italiana è obbligatoria per la promozione e la fruizione di beni e servizi pubblici sul territorio nazionale» e che «Chiunque ricopre cariche all’interno delle istituzioni italiane, della pubblica amministrazione, di società a maggioranza pubblica e di fondazioni è tenuto alla conoscenza e alla padronanza scritta e orale della lingua italiana». Pensando a suoi colleghi di maggioranza che anni addietro inneggiavano all’utilizzo dei dialetti (lingue) come strumento di difesa della purezza e dell’identità, viene abbastanza da ridere. In un altro articolo si propone che «negli istituti scolastici di ogni ordine e grado e nelle università pubbliche italiane “le offerte formative non specificamente rivolte all’apprendimento delle lingue straniere devono essere in lingua italiana». Definire antieconomica la proposta è il minimo. Soprattutto negli atenei nostrani da tempo si offrono corsi di laurea e lezioni, almeno in inglese, per attrarre giovani da altri paesi data la scarsità di studenti. Stupenda poi, il comico genovese Maurizio Crozza ne ha tratto spunto per esilaranti monologhi, l’articolo 8 del testo secondo cui la violazione degli obblighi di cui alla presente legge comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 5.000 euro a 100.000 euro». Dovremmo quindi, per gli amanti del jazz riprendere a chiamare come nel ventennio Benny Goodman “Beniamino Buonuomo” e Luis Armstrong, “Luigi Braccioforte”?  E come faremo con la terminologia in uso nell’informatica totalmente pensata e prodotta in inglese? Al di là dei deliri autarchici che sono unicamente strumento di propaganda e non ignorando il fatto che gli anglicismi hanno riempito, spesso solo per vezzo, il nostro vocabolario comune, anche questo è un tassello che fa parte di un mosaico utile a comporre un nuovo / vecchio contesto culturale. Autoritarismo, tradizione, rimpianto per epoche d’oro mai esistite, costruzione di un’identità artificiale utile unicamente ad una logica di dominio quella sì interclassista e omologante.

Gli esempi accennati, ma ce ne sarebbero molti altri, testimoniano una fragilità sistemica politica e culturale. Si affronta la complessità del presente rifugiandosi in un passato astorico e privo di realtà, utile solo ad ingannare ma, in quanto tale, in grado di giustificare nuovi crimini. Si pensi ai morti derivanti dalle leggi che bloccano i soccorsi in mare che trovano consenso grazie alla minaccia della “sostituzione etnica”. Dipende anche da una sinistra capace di non tenersi sulla difensiva ma di ribaltare l’agenda culturale e politica, la possibilità di far fallire questo misero progetto. Le identità artificiali – ci hanno provato anche i padani pochi anni fa e il dio Eridano è già finito in cantina – non reggono e non funzionano. Non dimentichiamo che la stessa dichiarazione dell’Impero, sempre durante il ventennio, per rinnovare i fasti di Roma, è stata effimera, in 5 anni, tutto si è dissolto. Ma sta a noi contribuire a ritessere le fila per un paese Plurale composto da culture che si contaminano e che vivono in perenne condizione di modifica. Un lavoro immenso forse, ma è qui che alberga la politica che guarda al domani.

 

Stefano Galieni

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1 Commento. Nuovo commento

  • Marcello Pesarini
    19/04/2023 21:47

    Benissimo. Una chiave di lettura europea e non italiana, giusto per contrapporci a questi pericolosissimi figuri, potrebbe essere sconfiggere una peculiarità molto italiana. Abbiamo, temo, subito più di altri, per la nostra esterofilia di bassa lega, niente a che vedere col meeting pot, lo smembramento delle lotte, perso il senso di unità e causa effetto fra ambientalismo, anticapitalismo, antirazzismo, diritti sociali. Basti pensare a come la progettualità del movimento migrante dei primi anni 2000 si sia dispersa, e senza un tessuto di lotte e proposte anche il movimento per la pace è stato poco di massa, poco quotidiano, poco operaio

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