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Il sionismo israeliano sempre più a destra

di Franco
Ferrari

Dopo ripetuti tentativi falliti che hanno creato un pesante stallo nella politica israeliana, il leader del partito Likud, Benjamin Netanyahu, riuscirà a tornare alla guida del Governo nonostante sulla sua testa pendano diversi procedimenti giudiziari.
Le elezioni gli consentono di disporre di 64 seggi su 120 alla Knesset, anche se in termini di voti il vantaggio del blocco di destra e di estrema destra su tutti i partiti anti-Netanyahu è stato di soli 30.000 voti. Decisivo per gli equilibri di forza finali il fatto che due partiti, il Meretz e il Balad, siano rimasti al di sotto della soglia di sbarramento del 3,25%. Sono così risultati dispersi quasi 300.000 voti che avrebbero potuto riportare ancora il parlamento in equilibrio.
Ora Netanyahu deve comporre un governo che tenga conto dell’ulteriore slittamento a destra del campo sionista che domina la politica israeliana. Il vero vincitore delle elezioni è il Partito Sionista Religioso che raccoglie quanto di peggio possa offrire la politica israeliana: razzisti, suprematisti ebraici, fanatici religiosi e anche un partito la cui agenda consiste nel combattere le richieste della comunità LGBT. L’unico eletto di questa formazione, il Noam, ha minacciato di collocarsi all’opposizione, ma Netanyahu ha immediatamente provveduto ha incontrarne i capi e a rassicurarli sulla possibilità di far parte a pieno titolo del futuro governo.
La prossima coalizione sarà quindi composta dal tradizionale partito della destra, il Likud che si richiama al cosiddetto sionismo revisionista di Vladimir “Ze’ev” Jabotinski, ammiratore di Mussolini e del fascismo italiano, i vari raggruppamenti fondamentalisti religiosi che, oltre a condizionare tutta la vita sociale israeliana, monetizzano varie forme di sostegno in cambio del loro appoggio, fino alla destra apertamente razzista, sempre più forte.

Si parla da qualche anno di un processo di “fascistizzazione” in atto nella società e nella politica israeliana. Termine che però rischia di venire usato ormai con eccessiva facilità e scarso rigore analitico. Sicuramente si è determinato un profondo spostamento a destra che ha ragioni sociali, ideologiche, politiche e risente del rafforzarsi al livello globale delle correnti nazional-conservatrici con significativi elementi di autoritarismo e di tendenziale riduzione degli spazi democratici. Correnti che sono riuscite ad interpretare meglio della sinistra antiliberista una risposta alla crisi dell’egemonia del capitalismo liberale che aveva guidato il processo di globalizzazione, dopo la caduta dell’Unione Sovietica.
L’ultradestra israeliana è riuscita ad inserirsi progressivamente nelle contraddizioni del sionismo un tempo maggioritario incarnato dal Partito Laburista e dal MAPAM, una formazione, quest’ultima, che si definiva sionista e marxista (in qualche caso e per alcuni anni anche marxista-leninista e filosovietica). Prima la destra ha cavalcato il malcontento della componente sefardita (termine indicante gli ebrei “orientali”, per i quali si preferisce ora il termine mizrahim) contro quella askhenazita, proveniente dall’Europa centro-orientale. Il Likud ha utilizzato argomentazioni populiste, secondo una strategia ampiamente utilizzata dalla destra in molti paesi, per contrapporsi ad una sinistra considerata elitaria e lontana dagli interessi dei ceti popolari. Accusa per altro non del tutto infondata. Il che non impedisce alla stessa destra di essere nello stesso tempo strettamente collegata ai grandi interessi economico-finanziari del paese.

Le elezioni del 1° novembre hanno sancito la situazione disastrosa in cui si trova la sinistra sionista israeliana, giunta al punto più basso della propria storia. I laburisti hanno raccolto meno del 4% dei voti, corrispondenti a 4 seggi. La crisi di identità è profonda e i legami sociali tradizionali si sono in gran parte logorati o sono del tutto scomparsi a seguito del mutamento di composizione della società israeliana. Il partito è diviso tra coloro che cercano di ridarsi un profilo sociale più definito e chi ritiene invece che esso debba spostarsi ancora più al centro. La leader laburista Merav Michaeli ha attribuito il pessimo risultato alla strategia del “voto utile” utilizzata dal primo ministro uscente Lapid, per drenare voti a sinistra a favore della sua formazione centrista. L’esito del voto ha dimostrato che chi ha seguito questo appello ha ottenuto l’effetto contrario, favorendo il successo di Netanyahu. La leader laburista aveva respinto la proposta di presentare una lista comune col Meretz, che forse avrebbe cambiato gli equilibri finali alla Knesset.
Il Meretz ha una lunga storia che risale al già citato Mapam. Partito strettamente collegato al movimento dei kibbutzim, ha subìto la crisi economica e ideologica di queste aziende collettive che si proponevano di essere l’avanguardia del sionismo progressista. Nel tempo, unificandosi con altre forze, ha perso la sua dimensione classista, diventando espressione del ceto medio sensibile alle tematiche ambientali e dei diritti civili. Ha anche raccolto gran parte del cosiddetto “campo della pace”, sostenitore di una qualche forma di accordo con i palestinesi e della proposta di convivenza di due stati indipendenti sul territorio di Palestina. Ora il “campo della pace” in Israele è praticamente scomparso e la stessa idea della formazione di uno Stato palestinese, che doveva essere la conclusione del processo avviato a Oslo, è cancellata dalla estensione delle colonie ebraiche nei territori occupati e dalla oppressione militare messa in atto da Israele nei confronti dei cittadini dell’ipotetico nuovo Stato. Tutto ciò con l’avallo e la complicità del mondo “occidentale”.

A sinistra resta presente alla Knesset il movimento Hadash, di cui il Partito Comunista Israeliano costituisce la componente principale. Con 175.000 voti e 5 seggi ha sopravanzato lo stesso partito laburista. Hadash ha formato una delle tre liste nelle quali si è suddiviso il campo degli elettori arabi, dopo il fallimento dell’esperienza della lista unica che pure aveva ottenuto buoni risultati. Il partito Ra’am è collegato alla componente moderata del movimento islamista e ha scelto come strategia l’inserimento nel sistema politico israeliano nel tentativo di ottenere qualche concessione che migliorasse le condizioni di vita della minoranza araba. Per questo ha accettato di far parte della maggioranza di governo alternativa a Netanyahu, senza per altro ottenere risultati significativi. Ciò nonostante si è affermata come la prima lista araba, ottenendo anch’essa 5 seggi.

Sull’altro fronte si è collocato il partito nazionalista Balad che si è ritirato dall’alleanza con Hadash e Ta’al (un altro partito arabo, di orientamento laico moderato) un’ora prima della scadenza della presentazione delle liste. Ha raccolto meno del 3% perdendo l’unico seggio che aveva ottenuto, in coalizione, nelle precedenti elezioni. Sostiene che, per gli arabi che vivono in Israele, non vi sia alcuna differenza tra la destra e la coalizione centrista alternativa a Netanyahu e il suo obiettivo fondamentale è far diventare Israele un paese di tutti i suoi cittadini, e non più definito come la Nazione dei soli ebrei. Balad ottiene i suoi migliori risultati in centri come Lod, che sono stati epicentro di scontri tra la minoranza araba e i suprematisti ebrei. Il voto locale si è infatti polarizzato tra le due comunità rafforzando notevolmente anche i “Sionisti religiosi”, un segnale importante su un possibile ulteriore degrado della convivenza interna alla società israeliana.

Di fronte al crescere delle tendenze di destra oltranziste, razziste, clericali e così via che ormai tendono ad egemonizzare la società israeliana, di cui pagheranno il prezzo in primo luogo i palestinesi dei territori occupati, ma non solo, la sinistra sembra incapace di una reazione adeguata. Il sionismo è nato come ideologia borghese che poneva il problema di dare una risposta definitiva all’antisemitismo, percorrendo la strada della formazione di uno stato ebraico analogamente a quanto avvenuto con le formazioni nazionali europee dell’800. Per effetto della seconda guerra mondiale l’egemonia all’interno del sionismo è stata conquistata dalle componenti che si collocavano a sinistra e si riconoscevano come parte dello schieramento antifascista ed anche, con non poche contraddizione, del movimento anticolonialista.

L’evoluzione storica, gli errori commessi dalle leadership laburiste e, in una qualche misura, la contraddizione insanabile tra una vocazione progressista e universalista dichiarata dalla sinistra israeliana e un sionismo sempre più egemonizzato dai sostenitori di un sovranismo etnico, suprematista e a sfondo religioso, hanno portato all’esaurimento l’esperienza della sinistra in Israele.

Un contributo all’alternativa può venire dalla sinistra non sionista che è però estremamente minoritaria tra la maggioranza ebraica e cerca di difendere le sue posizioni tradizionali nella minoranza araba. Al momento, nonostante i generosi tentativi, non sembra in grado di invertire i processi di “tribalizzazione” e regressione, se non ancora “fascistizzazione”, della società israeliana.

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