Il 28 marzo il Partito della sinistra svedese ha presentato, in un articolo sul quotidiano più venduto del paese, Dagens Nyheter, un ambizioso programma di contrasto ai cambiamenti climatici. Il punto di partenza, spiegano la leader del partito, Nooshi Dadgostar, e il responsabile dell’economia, Ali Esbati, è la constatazione che la Svezia si trova di fronte a sfide colossali: la guerra in Ucraina impone di riconsiderare la politica di sicurezza così come quella energetica; la pandemia ha svelato gravi carenze nel welfare; l’inadeguatezza degli interventi sul clima mette a repentaglio le stesse condizioni di vita dell’umanità.
Simili sfide possono essere affrontate solo con una strategia “offensiva” dello Stato, che tuttavia non è compatibile con i vincoli posti dalle politiche di bilancio in vigore. Da qui la proposta di introdurre una moratoria di dieci anni nell’obiettivo di avanzo primario, così da finanziare la transizione ecologica senza intaccare le spese già a bilancio per difesa e welfare (in quest’ordine, si noti). Più nel dettaglio, Dadgostar ed Esbati auspicano che a partire dal 2023 ci si attenga a un disavanzo dell’1% sul PIL in modo da liberare 700 miliardi di corone (più o meno 70 miliardi di euro) per costruire una società equa e amica del clima. La soluzione, infatti – proseguono i due dirigenti del partito – non può essere quella di intervenire sul prezzo dei combustibili fossili, in modo da far “gestire” al mercato la transizione ecologica; una terapia shock dei prezzi avrebbe effetti simili a quelli che la rincorsa sfrenata al neoliberalismo produsse in Russia negli anni Novanta, ossia una catastrofe sociale, con l’ascesa degli oligarchi e tutto quello che sappiamo.
L’evidenza degli ultimi decenni ci dice infatti – lo ha ricordato anche la Paris School of Economics in un rapporto inviato alla COP 26 – che, quando ci si affida ai prezzi, una quota sproporzionatamente alta dei costi della transizione ricade sulle spalle delle persone a basso reddito. La politica di contrasto al clima finisce così per acuire le disuguaglianze e alienare il consenso delle classi popolari alla necessaria transizione. Per il Partito della sinistra, la diminuzione delle disparità sociali non può che andare di pari passo con il contrasto ai cambiamenti climatici. Lo stato deve dunque fare leva su sovvenzioni e tasse per favorire l’adozione di fonti energetiche amiche del clima, aumentando al contempo gli investimenti in soluzioni che risultino economicamente sostenibili e socialmente allettanti.
Questo pacchetto di misure “di portata epocale” implica un’estesa responsabilità statale in tre settori: le infrastrutture; la produzione e distribuzione di energia elettrica; l’adattamento climatico delle abitazioni.
Sul primo punto, il Partito della sinistra propone il più cospicuo pacchetto di interventi dell’epoca moderna (un’espressione trionfalistica che è diventata un mantra, nella sua comunicazione), con 170 miliardi di corone per potenziare il sistema di trasporti esistente, provvedere alla manutenzione della rete stradale e costruire infrastrutture per il rifornimento delle auto elettriche che coprano tutto il paese. 290 miliardi di corone sono poi previsti specificamente per linee ferroviarie ad alta velocità [sic].
Per quanto riguarda il secondo punto, l’energia elettrica, oltre a premere per una razionalizzazione della rete esistente e prevedere incentivi per la produzione su scala comunale, Dadgostar ed Esbati enfatizzano il potenziale, almeno per il Nord della Svezia, dell’energia eolica (ben diversa è la posizione del Partito Rosso norvegese: https://transform-italia.it/rodt-come-costruire-un-partito-utile-e-fedele-ai-propri-ideali/).
Infine, la questione abitativa viene posta con la consapevolezza che la necessità di ristrutturare urgentemente o comunque a breve quasi 300.000 abitazioni (in un paese in cui l’edilizia popolare è molto più estesa che in Italia) deve diventare l’occasione – grazie a un investimento di 100 milioni di corone – per il loro adattamento climatico, senza aggravi sugli inquilini. Unitamente ai 30 miliardi destinati alla costruzione di nuove abitazioni improntate alla sostenibilità, questa misura dovrebbe portare a una significativa riduzione delle emissioni dannose imputabili al settore residenziale.
“Quando lo Stato si assume la responsabilità – quella politica come quella economica – si possono affrontare in modo efficiente ed equo anche gravi crisi”, scrivono Dadgostar ed Esbati, che insistono sulla sostenibilità finanziaria del programma: si prevede che il debito pubblico svedese si attesti al 35,4% del PIL nel 2022 (in Italia è intorno al 150%…), per poi flettere nel 2024 al 31,1%. Con il ridottissimo disavanzo di bilancio proposto, si arriverebbe al 39% del PIL nel 2032: rimarrebbe uno dei più bassi di tutta l’UE. Nello stesso tempo, il programma di investimenti garantirebbe più uguaglianza ma anche più produttività, riducendo la disoccupazione e contribuendo alla modernizzazione (elemento chiave dell’identità svedese) della società.
Al di là dei toni roboanti, vi sono diversi aspetti che sollevano delle perplessità. Proprio sul clima ci sono state tensioni, nell’ultimo congresso del partito (https://transform-italia.it/il-partito-della-sinistra-svedese-tra-ambizioni-di-governo-e-movimenti-sociali/): il gruppo dirigente raccolto intorno a Dadgostar era inizialmente restio ad assumere posizioni avanzate, nel timore di perdere l’appoggio di alcune categorie di lavoratori e lavoratrici. Per giunta, già prima della guerra era diventato chiaro che il partito aveva assunto la linea del nazionalismo energetico: una prospettiva non esattamente internazionalista, che esce rafforzata dalla proposta “epocale”, in cui non vi è alcuna traccia di alleanze transnazionali per difendere insieme ambiente e lavoro.
Va poi ricordato – e qui arriviamo al punctum dolens – che il Partito della sinistra ha votato a favore sia dell’invio di armi in Ucraina (dopo un nuovo scontro interno, molto duro, in cui Dadgostar ha minacciato di lasciare se non passava la sua linea) sia dell’aumento delle spese militari, con ulteriori scintille, niente affatto riassorbite, anzi, destinate a incidere crepe profonde.
Anziché ricorrere a giochi di prestigio con i numeri, sarebbe stato auspicabile (considerando l’influenza che di fatto il partito esercita sul governo socialdemocratico di minoranza di un paese neutrale – ancora per quanto?) un segnale forte contro il militarismo, che costituisce la negazione (sul piano etico, politico e anche finanziario) di qualsivoglia ecosocialismo femminista: ciò che pure il Partito della sinistra predica.
La svolta governista della nuova leadership mostra sempre più quanto sia alto il prezzo da pagare per una prospettiva tutta interna alla logica della conquista del potere statale, che rischia di vanificare la preziosa sinergia con i movimenti sociali costruita in questi anni.
Monica Quirico