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Il giorno quattordici del mese primaverile di Nisan

di Giancarlo
Scotoni

In questi giorni un tribunale britannico sta decidendo se concedere agli Stati Uniti l’estradizione di Julien Assange, il giornalista australiano co-fondatore di Wikileaks.

Nella vicenda si dispongono e si sommano una serie di elementi che non è improprio chiamare epocali perché sono avvenuti o riguardano delle profonde trasformazioni nel nostro modo di concepire e di rapportarci con la verità, e forse anche nella struttura stessa della verità. E se un diciottenne di oggi nulla sa di Wikileaks e di Assange le cose non cambiano per questo.

Per anni fu possibile immaginare il percorso verso la verità come parte di un processo di liberazione. L’analisi marxista svelava la realtà (la verità) dei rapporti tra le classi, la critica pratica al capitalismo svelava la possibilità dei processi di liberazione, le fasi della lotta, il suo dispiegarsi e il suo approfondirsi erano anche un percorso di conoscenza, di affermazione di verità teorico-pratica; e anche la scienza “borghese” si è nutrita per secoli di una lotta dura contro la tradizione, l’oscurantismo, tanto che –almeno nella vulgata- scienziato e progressista sono stati termini che spesso si sono ritrovati assieme.

Anche se si tratta di argomentazioni ben al di qua del rigore scientifico, è indubbio che nella cultura delle generazioni della seconda metà del novecento c’è una forte tendenza a appassionarsi per il tema della conquista e della difesa della verità e i nessi tra verità e giustizia e potere sono molto forti.

In questa narrazione, tutta la storia delle civililtà può essere raccontata come una costellazione di martiri della verità, spesso nella forma di martiri della libertà di identità di genere, di pensiero, di convinzione, di religione…

E ci furono –ci sono- tutte le battaglie clandestine, interne a gruppi o dentro alla coscienza individuale, in cui le battaglie per la verità o per la sua negazione si confondono con i termini della necessità dell’esercizio del potere. Sono esperienze comuni a tutti, sia a livello di gruppo che di classe, che di individuo: i processi alle streghe e i campi di sterminio, le fosse di Kathyn e l’irruzione di inconfessabili desideri nella psiche… tutto questo materiale tipico della nostra specie gioca il proprio peso eversivo e repressivo abbaiando alla verità.

La figura di Ponzio Pilato assurge alla dimensione universale di un momento della lotta per il riconoscimento della pienezza umana della dimensione etica della verità ed è l’accento della comparsa della verità quello che ci fa correre un brivido leggendo questo passo del Maestro e Margherita “Al mattino presto del giorno quattordici del mese primaverile di Nisan, avvolto in un mantello bianco foderato di rosso, con una strascicata andatura da cavaliere, nel porticato tra le due ali del palazzo di Erode il Grande entrò il procuratore della Giudea Ponzio Pilato.“

Non è che quel panorama sia scomparso: c’erano –ci sono- a disposizione innumerevoli materiali, esperienze, tecniche che fanno ancora riferimento a quel contesto. La letteratura è ancora viva e anche la cultura di massa continua a offrire montagne di luoghi tuttora efficaci. Romanzi, film, fumetti, situazioni… anche oggi molte chiamate alle armi passano per di là, per quei sentieri. E intere retoriche si nutrono di racconti tendenziosi e talvolta mendaci, di fotografie equivoche, di divise scambiate, di pozzi minerari vuoti che diventano foibe stracolme… Miliardi di persone quotidianamente proseguono il loro braccio di ferro con le verità della loro esistenza.

Con tutto ciò una nuova epoca si impone nel campo della ricerca delle verità come attività scientifica sia nello scambio tra verità e menzogna che sostiene la relazione di governo e di lealtà civica. Alla base sembra esserci accanto a geniali intuizioni scientifiche l’esplosione del trattamento automatico delle informazioni, che è un termine riduttivo se si considera la potenza creatrice di quelle tecnologie.

Da un lato siamo stati in grado di riprodurre gli istanti iniziali dell’Universo e di leggerne la struttura con una potenza conoscitiva precisione tale poterci porre la questione se la scienza umana non stia regalando senso alla Natura. Dall’altro la creazione di inimmaginabili flussi informativi ridisegna la relazione tra chi produce e chi consuma informazione.

In tutto questo la vecchia menzogna sembra prosperare.

Quando l’Occidente coalizzato argomentò la sua nuova guerra sulla base dell’esistenza di armi di distruzione di massa, moltissimi furono convinti della falsità di quelle accuse e della menzogna di quelle prove. Quella convinzione era motivata, argomentata e veritiera come fu poi dimostrato… nel 2009 fu istituita dal laburista Brown una Commissione di inchiesta e sette anni dopo fu reso pubblico il rapporto Chilcot in 12 volumi sull’intervento del Regno Unito durante la guerra in Iraq. La menzogna e la mala fede si erano così a buon diritto trasformate in errori di valutazioni, leggerezze, sbagli.

Ma la circolazione dei dati e delle informazioni, la strutturazione dei rapporti umani che dovevano assicurarne la trasmissione e la segretezza, le tecniche di gestione della menzogna -insomma- avevano già mostrato delle debolezze, sebbene non certificate, illegali, perseguibili e, all’improvviso, su internet, davanti agli occhi del mondo sono apparse le immagini in bianco/nero al negativo di alcuni veicoli ripresi dall’alto e di un gruppo di persone. Nelle orecchie le voci dei piloti, del mitragliere, del controllo a terra. Gente che si sposta, due furgoni, un tubo. L’elicottero gira e gira inavvertito sui bersagli. Lentamente si fa strada la verità desiderata che le persone siano nemici, che il tubo sia un’arma. Il dramma si dipana in tempo reale sotto gli occhi di tutti. L’orrore si impone fino alla conclusione tecnologica e mortale. Poche ore dopo tutto si rivela come il farsi di una menzogna catastrofica: quel tubo era un teleobiettivo e quei morti erano innocenti.

Questa irruzione della verità avvenne grazie a Chelsea Manning che inviò il file a Wikileaks. Assange non viene perseguito solo per questo: rischia una condanna a 175 anni per avere contribuito a pubblicare documenti militari USA relativi alle guerre in Afghanistan e Iraq e una raccolta di cablogrammi del Dipartimento di Stato. Questi ‘War Diaries’ hanno provato sull’unghia che il governo USA ha mentito all’opinione pubblica sulle sue attività e ha commesso crimini di guerra.

Queste righe non vengono però proposte per raccontare la storia tortuosa, complessa e sospetta delle imputazioni a Assange, anche se riteniamo Julien Assange innocente dei reati che gli vengono ascritti e vittima di un meccanismo punitivo, antigiuridico e inumano e anche se invitiamo nuovamente coloro che già non lo hanno fatto a prendere posizione per difenderlo.

Scriviamo queste righe per dire come ci sembra che la possibilità che sia condannato finirebbe per assolvere noi tutti dalla responsabilità di quegli orrori e ci condannerebbe a una complicità che dobbiamo respingere con tutte le forze.

Occorre difendere Assange, occorre accettare di combattere ancora e ancora la battaglia di Pilato nella speranza di vincerla.

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