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Il cosiddetto “taglio delle tasse” del governo Draghi

di Massimo
Sabbatini

…e due o tre cose da ricordare sul prelievo fiscale

Nelle ultime settimane i media hanno suonato la grancassa sul “taglio delle tasse” del governo Draghi, dando a intendere che tutti i lavoratori godranno di una riduzione del carico fiscale. Trattandosi di propaganda, è corretto precisare conti alla mano chi effettivamente pagherà meno tasse e chi no. Partiamo dalle aliquote IRPEF attualmente in vigore dalla loro ultima rimodulazione risalente al 2007:

Scaglione Reddito da euro Fino a euro Aliquota
1 8.174,00 (no tax area) 15.000 23,00%
2 15.000,01 28.000 27,00%
3 28.000,01 55.000 38,00%
4 55.000,01 75.000 41,00%
5 Oltre 75.000   43,00%
Nota: ricordiamo che dal 1º luglio 2020 è in vigore anche il cosiddetto bonus irpef, ovvero una riduzione del prelievo fiscale di 100 euro netti al mese per i lavoratori dipendenti dei primi due scaglioni inferiori, cioè fino a 28mila euro di reddito (si tratta dell’ex bonus Renzi che aveva un importo di 80 euro).

Con la riforma del governo guidato da Mario Draghi, le nuove aliquote Irpef 2022 passeranno dagli attuali 5 scaglioni a 4, secondo la seguente tabella:

Scaglione Reddito da euro Fino a euro Aliquota
1 8.174,00 (no tax area) 15.000 23,00%
2 15.000,01 28.000 25,00%
3 28.000,01 55.000 35,00%
5 Oltre 55.000   43,00%

Confrontando le due tabelle si può osservare:

  • per i redditi del primo scaglione nulla cambia;
  • per i redditi del secondo scaglione ci sarà un piccolo risparmio pari al 2% del reddito superiore a 15000 euro fino a 28.000 euro: nel caso migliore, dunque (cioè con reddito lordo pari a 28000 euro), il risparmio sarà di 260 euro (il 2% di 8.000, cioè di 28.000-15.000);
  • per i redditi del terzo scaglione il risparmio sarà incrementale in proporzione diretta al reddito: p. es. reddito lordo 40000, risparmio 260 + 360 (cioè il 3% di 12.000) = 620; reddito lordo 50.000, risparmio 260 + 660 (cioè il 3% di 22.000) = 920;
  • i redditi del quarto scaglione godranno della riduzione dei due precedenti e nulla di più.

In sostanza:

  • i redditi più bassi non guadagnano nulla;
  • i redditi medio bassi guadagnano poco;
  • i redditi medio alti ottengono qualche concreto e sensibile diminuzione del prelievo;
  • i redditi più alti ottengono la stessa diminuzione del prelievo dei redditi medio alti.

Il taglio delle tasse dunque non va a favore di tutti in modo uguale, ma va soprattutto a favore dei percettori di redditi medio alti: il massimo di risparmio fiscale lo avrà chi percepisce un lordo di 55.000 euro, con una riduzione del prelievo IRPEF di ben 970 euro in un anno. Per fornire un esempio, un collaboratore scolastico risparmierà poche decine di euro, un insegnante 2/300 euro, il loro dirigente scolastico 7/900. Non c’è bisogno di una laurea in economia per capire che proprio chi potrebbe essere aiutato da una effettiva riduzione del prelievo fiscale non vedrà nulla o quasi.

Silenziata la trombetta dei telegiornali, vogliamo cogliere l’occasione per allargare il discorso oltre e prima del governo Draghi, perché la rimodulazione delle aliquote IRPEF in favore dei percettori dei redditi più alti è un fenomeno di lunga data, che si è affermato con il trionfo della teoria economica neoliberista a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso.

L’art. 53 della Costituzione della Repubblica italiana così prescrive: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Esso è l’architrave del patto sociale che unisce gli italiani in una comunità statale. In effetti, quando l’IRPEF entrò in vigore nel 1974, la progressione era basata su ben 32 aliquote crescenti in funzione del reddito: la prima – sui redditi più bassi – era del 10%, l’ultima – sui redditi oltre 500 milioni di lire l’anno – era del 72%.

Nel 1983 le aliquote da 32 passarono a 9, la prima dal 10% passò al 18% e l’ultima dal 72% passò al 65%: in sostanza, oltre a un taglio drastico del numero delle aliquote, si operò già nel 1983 nel senso di una riduzione di quelle destinate ai redditi più alti, e un incremento di quelle destinate ai redditi più bassi.

Nel 1989 le aliquote si ridussero a 7, con l’ultima, sui redditi oltre 300 milioni di lire, che scese ancora, abbassandosi al 50%: insomma, già negli anni ’80, cioè anche prima del trentennio del trionfo neoliberista, i più ricchi avevano visto una riduzione di 22 punti percentuali dell’aliquota superiore.

La successiva rimodulazione delle aliquote entrò in vigore nel 2004 (redditi 2003), quando erano presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi e ministro delle finanze Giulio Tremonti, con la riduzione delle aliquote a 5. Vediamo la tabella completa:

Scaglione Reddito da euro Fino a euro Aliquota
1 1 10.329 18,00%
2 10.329,01 15.493 24,00%
3 15.493,01 30.987 32,00%
4 30.987,01 69.721 39,00%
5 Oltre 69.721   45,00%

Nel 2008 (redditi 2007) le aliquote furono nuovamente modificate (presidente del Consiglio dei Ministri Romano Prodi, ministro dell’economia Tommaso Padoa Schioppa):

Scaglione Reddito da euro Fino a euro Aliquota
1 1 15.000 23,00%
2 15.000,01 28.000 27,00%
3 28.000,01 55.000 38,00%
4 55.000,01 75.000 41,00%
5 Oltre 75.000   43,00%

Si commenta da sé: lo strisciante ma costante incremento dell’aliquota inferiore e la sensibile e costante riduzione dell’aliquota superiore hanno nel tempo operato una forte riduzione della progressività: nel 1974 la distanza tra aliquota inferiore e superiore era di 62 punti percentuali, nel 1983 era di 47, nel 2004 era di 27, nel 2008 di 20! Oggi un ricco contribuisce alla fiscalità generale con un’aliquota che è solo il 20% maggiore di quella di un lavoratore a basso reddito.

Se formalmente la lettera della Costituzione è ancora rispettata, nei fatti ne è stato tradito lo spirito, con una  pesantissima riduzione della progressività.

A fronte di questa diminuzione di progressività della tassazione diretta, c’è stata una crescita costante della tassazione indiretta. L’imposta indiretta più importante è l’IVA, l’imposta sul valore aggiunto che colpisce tutti i beni e servizi acquistati dai cittadini. Vediamo come è cambiata negli anni l’aliquota principale di questa imposta:

1973 12%
1977 14%
1980 15%
1982 18%
1988 19%
1997 20%
2011 21%
2013 22%

L’aliquota dell’IVA è fissa, cioè “uguale” per tutti. Ma questa imposta non è affatto “uguale” per tutti, anzi, è decisamente iniqua e regressiva: le accise sul carburante che fanno costare la benzina 1,70 euro al litro e il gasolio 1,60 non pesano allo stesso modo su chi percepisce 1.500 euro al mese e su chi invece ha una disponibilità di 5.000 o 10.000 euro: per il primo una spesa in carburante di 200 euro al mese significa  il 14% dello stipendio, per il secondo la stessa spesa significa il 4%, per il terzo il 2%: colpire allo stesso modo percettori di redditi bassi e percettori di redditi alti e altissimi non è affatto equo, è invece proprio il trionfo dell’iniquità.


Partito della Rifondazione Comunista, Circolo “Burocchi-Berlinguer” Municipio 9, Roma

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