Sere fa, avendo saputo in ritardo degli ultimi sviluppi della fiction purtroppo vera iniziata ufficialmente il 24 febbraio 2022, che ci sta costando migliaia di morti e una devastazione ambientale di cui ci accorgeremo come sempre in ritardo, sono andato a letto confuso e alle 4 mi sono svegliato convinto che stessi sottovalutando un passaggio nodale della Storia.
In effetti, a detta dei mezzi di informazione occidentali, le truppe mercenarie chiamate Wagner del comandante Prigožin , stavano compiendo la loro Marcia della giustizia (!?) ed erano giunti a 200 chilometri da Mosca, uccidendo decine, forse, di soldati oppositori, fedeli all’esercito regolare russo ma incontrandone molti che si scansavano e li applaudivano.
Vado sul Manifesto online e leggo una ricostruzione molto convincente e circostanziata sull’accordo che vede protagonista quel bel tomo di Lukašėnka, dittatore che usa ancora la falce e martello come simbolo in Bielorussia, il quale avrebbe convinto Prigožin a fermarsi per evitare spargimento di sangue fraterno.
Ora diventerà irreperibile, sembra che Putin se ne voglia dimenticare e non andarlo a cercare per punirlo. Fin qui, con un po’ d’ironia cinica, le ultime caselle di un assurdo mosaico che, appunto perché l’abbiamo potuto seguire filtrato dai mezzi di informazione occidentale, cercando faticosamente un po’ di controinformazione, al punto al quale siamo giunti ci mostra i paesi occidentali e gli USA che dovranno continuare a finanziare l’Ucraina del presidente che, volenti o nolenti, hanno nominato loro, ed al quale permettono di entrare nelle nostre case ormai anche per l’inaugurazione dello Zecchino d’oro.
Forse hanno sbagliato i conti anche loro, oppure una guerra più lunga sarà redditizia sia per la ricostruzione sia per l’indebolimento della Russia e dell’Ucraina. Quest’ultima non sarebbe utile rafforzarla troppo perché potrebbe avere la pretesa di giocare un ruolo importante e attrattivo nella zona.
Ora, prima ancora di sostenere qualche buona ragione delle popolazioni russofone del Donbas e non solo, peraltro già espresse meglio e più compiutamente da tant*, vorrei fare delle considerazioni sulla nostra debolezza come pacifisti e, se si può, comunisti o comunque marxisti.
Perché mai il nostro ruolo è stato così ridotto di fronte a una guerra assurda, fratricida e televisiva?
Ci sono ragioni più profonde del logico sgomento di fronte a un conflitto così vicino, così coperto dall’informazione da rendere difficile il ruolo di chi aveva saputo incamminarsi nella ex Jugoslavia dilaniata, e lo ha fatto anche in Ucraina, spesso sono stati gli stessi compagn*.
Parlo con ammirazione di carovane pacifiste ma anche di carovane di orchestrali dirette a suonare a Sarajevo, in mezzo ad eserciti ed a bombardamenti. Ci sono ragioni che vanno al di là dell’indebolimento sempre maggiore della sinistra e di tutte le realtà alternative, diverse dal sistema dei partiti sempre meno votati.
Io provo a trovarle, con rincrescimento e senza puntare il dito accusatore. Scorrendo molti documenti, che alle volte, inizialmente mi ero trovato a condividere anche se a fatica, e poi ho dovuto abbandonare, e scorrendo la stampa di sinistra e democratica e critica non ho trovato quasi mai l’interrogarsi sulla presenza, al di là della disinformazione orchestrata da Putin e dal suo apparato, al di là della repressione dei pacifisti russi che si opponevano all’invasione, comunque in torto strategicamente e tatticamente, di un residuo senso di appartenenza a ciò che restava di quella che era stata l’Unione Sovietica nella popolazione che comunque ama il suo territorio.
Ho usato le parole che potrebbero essere equivocate e non appartengo a nessuna formazione nostalgica di quello che fu. Sono sempre ferme le critiche all’URSS superpotenza, alle purghe staliniane, ai fallimenti economici della scelta del socialismo in uno stato solo.
Non sono andati avanti le inchieste sui comportamenti delle popolazioni che facciamo fatica a comprendere, perché non appartengono alla raffigurazione delle democrazie occidentali.
Ma non posso pensare che, nella vicenda di Prigožin, ci siano stati solo giochi di pupi e pupari. Questo atteggiamento sofisticato, chic, di chi misura la vita negli ex paesi socialisti con sufficienza, alle volte informandosi non sufficientemente, come fanno sull’Iran, sull’Afghanistan, sull’Iraq, tutti paesi abitati da patrioti che allo stesso sono ribelli ai loro regimi.
Non si può misurare tutto col metro di chi contesta il potere in paesi in buona parte democratici come quelli europei, senza provare le privazioni dei nostri fratelli nel Medio Oriente, ad esempio, senza conoscere la loro vera forza di resistenza, la loro fantasia, la loro dignità.
Avere messo in soffitta la fatica quotidiana e la necessità di usare la spada per tagliare le corde che ci legano, non ci porterà molto avanti.
Forse il popolo ha il suo peso come popolo anche se non è sempre classe, ed in qualche modo lo esercita, più che non in Occidente, dove il rapporto causa-effetto sembra sparito.
Quando cadde il Muro di Berlino, nel 1989, Valentino Parlato, da comunista critico, dichiarò: “Sento una grande puzza di guerra”. Pochi anni dopo questa profezia si avverò con gli attacchi all’Iraq nel 1991.
Il Manifesto di oggi compie le stesse riflessioni? Vede la NATO come un attore destabilizzante?
Sì, ma non vede un pensiero alternativo coraggioso, come non lo vediamo noi ex popolo della sinistra, meglio popolo più dubbioso. Ne vediamo tanti spezzoni, ed avalliamo, non tatticamente, ma strategicamente, sempre di più la necessità di aggregare forze che accettano sempre più il capitalismo in contrapposizione a quelle che vogliono rendere sempre più crudele il capitalismo. Vediamo, purtroppo, che senza una capacità di ascolto e studio delle nostre necessità, non solo non capiamo a fondo gli immigrati che continueranno a fuggire da paesi sempre meno abitati ed abitabili, ma neanche gli aspetti delle rivolte del vicino Oriente.
Nessun popolo ama la dittatura tal quale, ma come disse Gabriel Garcia Marquez, noi europei ed occidentali siamo un po’ troppo ammalati di democrazia borghese, estendibile ovviamente a tutto il mondo.
Forse, dico forse, anche il pacifismo si è intellettualizzato e staccato dalle ragioni degli ultimi.
No alle armi vuole dire no ai sistemi basati sulle armi, sullo sfruttamento dei paesi pronti ad acquistarle da noi. Un mio amico iraniano mi faceva osservare con molta chiarezza la distanza fra i rischi corsi dagli artisti contrari al regime durante il fascismo e quello corso ora in Italia come in tutto il mondo occidentale, e ho avuto modo di assistere ad opere teatrali nate in Iran di qualità altissima, ed altrettanto per quello che riguarda la letteratura. Vale per l’Iran perché una rivoluzione così femminista ma anche così di generazione è un riferimento importante, ed incontrare gli iraniani che vivono in Europa è utilissimo, senza bisogno di cercare solo quelli che riteniamo simili a noi.
Mi viene un dubbio: in tanti, stampa compresa, abbiamo buttato via con l’acqua sporca anche il bambino? Per tornare a sentirci partecipi, e anche orgogliosi di ciò che vogliamo, noi bambini di oggi non dobbiamo limitarci a sentirci non all’altezza della situazione.
Sarebbe meglio tornare a giocare con l’acqua sporca, e non averne paura.
Marcello Pesarini