editoriali

I Mondiali tra Gramsci, Soriano e Kusturica

di Roberto
Musacchio

Ha scritto Gianni Minà che è stato un mondiale sbagliato, in un mondo sbagliato, con un vincitore giusto.

Le scene finali della premiazione hanno confermato il caleidoscopio di questo evento paradigmatico dei tempi. L’emiro che veste Messi, il gesto fallico del portiere argentino, le invocazioni di Maradona, i fuochi sullo stadio futuribile.

Gli stadi costati moltissimi morti, lavoratori modernamente schiavi, su cui aleggiano tutti gli interessi che “uniscono” i dominanti di tutti i tipi per un grande evento che ne celebra il connubio.
Si può mettere in arte il calcio, e Osvaldo Soriano ci riusciva meravigliosamente. Si può dialogare artisticamente con Maradona, come fa Kusturica. Ma io sentirei il bisogno di leggere cose scriverebbe Gramsci di questo gigantesca rappresentazione della narrazione capitalistica di oggi.
Se il calcio è una palla che gira, questa palla è stata presa a calci da tutti i dominanti della Terra di fronte al gigantesco pubblico dei dominati. Che ha riempito stadi e TV. Social media e piazze.
Inseguendo pezzi di narrazione. Naturalmente c’è chi ha boicottato. Ma una tale dimostrazione della odierna sceneggiatura capitalistica necessità comunque di quaderni dai nostri carceri.
Per segnare il giro dei soldi, tantissimi, di tutti i tipi e per tutti i dominanti. I petrodollari, le quote enormi di appalti toccati agli europei, le mazzette di euro tenute nelle case come si fosse ancora negli anni dei soliti ignoti.

Le influenze. Le immagini costruite. Il sacro e il profano. Il Marocco con la bandiera Palestinese ma non certo con quella Saharawi, anche qui dominanti che cercano di influire gestendo popoli.
Maradona che da santo del calcio viene fatto santo tout court in una religiosità pagana moltiplicata da media e social.
Gli emiri nei sultanati che addobbano di splendore kitch il deserto di diritti e vecchie e nuove schiavitù. Il presidente francese che segue le bleu sedendo tra i sultani. È mancato il discorso di Zelensky che pure forse ci ambiva. Ma questo evento postmoderno non è come le Olimpiadi che fermavano la guerra. Oggi la guerra continua ma, questa volta, lo spazio non è per chi la fa ma per chi la domina.
Nel mondo in guerra, gli affari prosperano. Da tempo hanno imparato a farne tanti per quanti sono i giri di una palla su un campo, cioè infiniti. Come infiniti sono i sogni di chi sin da bambino dà calci a palloni anche i più scamuffi su tutti i campi, anche quelli minati dalle guerre. E infiniti sono i sogni di chi guarda, spera di vincere almeno quella partita perché quella della vita è
troppo difficile e sempre più spesso, per sempre più uomini e donne, è persa.

Calcio, oppio dei popoli? Non credo ce la possiamo cavare così. Vorrei leggere un Gramsci di oggi fare vivere nei suoi quaderni dal carcere globale in cui siamo un po’ tutti rinchiusi le riflessioni minuziose, spietate ma anche attente, di ogni pezzo di potere, di ogni pezzo di sogno, di ogni pezzo di sguaiatezza di questo caleidoscopio che è diventato il capitalismo globale con il potere a guardare mentre fa girare sempre più vorticosamente i milioni di pezzi in fondo al tubo.

di Roberto Musacchio

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