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Guerra, economia, politica … e crisi climatica

di Roberto
Rosso

Guerra, economia, politica l’una è la continuazione dell’altra con altri mezzi, nei rapporti sociali dominanti. Nell’attuale congiuntura diverse crisi intrecciate sui rispettivi terreni si intrecciano, si alimentano reciprocamente, laddove l’orizzonte, oltre il quale i fenomeni, le dinamiche dei processi in corso sono sostanzialmente imprevedibili, anche per i soggetti che detengono il potere ai più alti livelli. Le dinamiche regionali e globali sono sempre più determinate dal progredire del cambiamento climatico e della devastazione degli ecosistemi; la pandemia -a sua volta determinante nel determinare gli accadimenti degli ultimi tre anni, le rotture nel ciclo economiche, nelle catene di approvvigionamento e nelle filiere produttive- è il prodotto del collasso, della frantumazione degli ecosistemi.

Il progredire del cambiamento climatico, l’aggravarsi delle conseguenze del riscaldamento globale non trova azioni di contrasto efficaci a livello globale; il fallimento delle COP26 e COP27, per citare le ultime due, prepara un orizzonte di cambiamenti catastrofici sui prossimi decenni, nei quali si proiettano in maniera diversificata le diverse strategie nazionali e regionali per rallentare il riscaldamento globale, dal 2030 al 2060 a seconda delle strategie nazionali. Se un accordo globale efficace non è all’orizzonte, in compenso il contesto determinato dal cambiamento climatico diventa un fattore sempre più importante nelle strategie militari e di competizione globale. Il cambiamento climatico, nelle dimensioni che conosciamo e che possiamo tranquillamento proiettare nelle sue dinamiche alla fine di questo decennio, appare del tutto inevitabile per cui si tratta di capire quale vantaggio competitivo si può ricavare nella capacità di adattamento ed in una certa misura di proiettarne le conseguenze sulle potenze avversarie; come dislocare i rapporti di forza nelle diverse regioni del globo.

Ricavare un vantaggio competitivo d processi devastanti, rimanda ad una logica che viene denominata ‘guerra ibrida’, in fondo nulla di nuovo se non nell’approfondirsi delle conseguenze dell’antropizzazione sull’insieme del sistema climatico ed ecologico, della complessità delle conoscenze, e delle tecnologie messe al lavoro, delle capacità distruttive dei dispositivi bellici  e non da ultimo lo sviluppo demografico; processi il cui evolversi si è dispiegato sotto il segno della crescita delle diseguaglianze.  La scelta di passare alla guerra vera e propria costituisce sempre un salto di qualità nel quadro delle tensioni dagli esiti imprevedibili; le guerre a loro volta ovviamente non sono tutte uguali riflettono differenze regionali e  diseguaglianze dei soggetti coinvolti, dove questi ultimi non sono solo entità nazionali ben definite con i loro eserciti, ma anche formazioni più o meno irregolari, dove l’identità ideologica e politica si intreccia con lo sfruttamento di risorse locali: è la cronaca degli ultimi decenni di un processo che si è venuto accelerando in questo secolo dove l’anno 2001 costituisce l’ovvio punto di svolta.

Al cuore del dibattito sul cambiamento climatico sta la cosiddetta ‘transizione energetica’ che riguarda le fonti della produzione energetica e ed il tasso di consumo energetico nelle filiere produttive e nella riproduzione sociale, assieme alla devastazione delle filiere agroalimentari e degli equilibri idrici regionali. I rapporti geopolitici, nel loro intreccio di cooperazione, competizione e guerra questi aspetti sono centrali come hanno dimostrato in questi mesi le conseguenze dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Il salto di qualità indotto dalla deflagrazione della guerra, ha messo in crisi il precario rapporto di forze, gli equilibri economici e strategico-militari tra Europa e Russia, in particolare il modello tedesco che alimentava l’espansione delle sue filiere produttive nell’Europa centro-orientale con la fornitura di materie prime energetiche a basso costo da parte della Russia, mentre assieme alle filiere produttive si espandeva l’insediamento della NATO nella stessa Europa centro-orientale.

Questi bruschi cambiamenti hanno impattato, soprattutto sul piano energetico in Europa, la mappa delle fonti di approvvigionamento con relativi sussulti sui prezzi, inadeguatezza evidente della Commissione Europea a gestire questa svolta drammatica e inevitabilmente cambiamenti di rotta nella strategia di decarbonizzazione delle economie.  Il dato è leggibile a livello globale dove ad esempio Cina1 e India2, che nelle rispettive prese di posizione e strategie non sposano in toto la strategia del governo russo, tuttavia fanno della filiera energetica – la fornitura di gas e petrolio da parte della Russia- un fattore di rafforzamento delle rispettive relazioni con la Russia.

Gli effetti del riscaldamento globale impattano fortemente tutti i paesi del ‘sud del mondo ’ -nella sua accezione geografica ed economica- i quali vi hanno contribuito in maniera risibile e la situazione non può che peggiorare inducendo crisi strutturali negli assetti economici, sociali ed istituzionali; gli effetti della crisi climatica si aggiungono ed esaltano lo scambio diseguale tra le diverse regioni del globo. La COP27 si è conclusa, prolungando allo scopo i lavori, con l’avvio di una sorta di istruttoria per finanziare la cosiddetta operazione ‘loss and damage’ con la quale i paesi più sviluppati dovrebbero risarcire almeno in parte i paesi del sud più colpiti. Una operazione che rimanda ad un futuro, non si sa quanto prossimo, la sua concretizzazione, mentre gli effetti catastrofici non fanno che acuirsi.  Le vicende di questi anni a cominciare dalla pandemia per arrivare alla crisi climatica ed energetica di mostrano come le regioni più sviluppate del globo investano su sé stesse, come dimostra il piano Biden ed il NextGeneretionEu contro gli effetti della pandemia. Peraltro nel contesto europeo la Germania sembra fare cavaliere solo, programmando contemporaneamente lo stanziamento di 200 miliardi di euro per la riconversione economica a fronte della crisi degli approvvigionamenti energetici e 100 miliardi di investimenti militari. La Germania con le risorse a sua disposizione si proietta negli scenari che sono il prodotto di processi incombenti di medio e lungo periodo -come il cambiamento climatico e la trasformazione tecnologica digitale- e rotture del presente che dissolvono gli scenari precedenti; il nesso è strettissimo tra i due percorsi l’uno non va senza l’altro; quello della riconversione energetica e produttiva dei prossimi anni  con il dotarsi di tecnologie, filiere produttivi e dispositivi militari adeguati ad affrontare una condizione di guerra aperta nel contesto europeo e di confronto globale. La scelta tedesca va di pari passo con l’inconcludenza della Commissione Europea nel definire una strategia comune europea per l’approvvigionamento energetico ed anche nel contesto della NATO si pone l’obiettivo di una sostanziale autonomia

La logica competitiva, la gara per la conquista dei mercati di sbocco per le merci -prodotti, servizi, infrastrutture- è dominate rispetto alla necessità di produrre una strategia globale, comune condivisa per affrontare il cambiamento climatico, ogni paese tra quelli capaci di competere sul piano produttivo, finanziario e militare -complessivamente strategico- si dà i propri tempi.

Per quella che è la struttura delle economie delle singole nazioni e nel suo complesso, non ci sono i margini per perseguire parallelamente il rafforzamento della potenza militare e la costruzione della transizione ecologica; la Germania, messa di fronte al crollo del contesto su cui ha fondato il proprio modello di  sviluppo negli ultimi decenni, ha scelto di giocare su ambedue i tavoli, ma con una traiettoria tutta sua, costruendo il proprio scafo in un mare in tempesta, senza che sia possibile individuare con certezza una rotta per i prossimi anni.

Una riflessione in proposito, nella situazione francese è fatta nello scritto Armed Forces and Climate Change in a Time of High-Intensity: Reflections on Engagement in “Environmental” Operations – Groupe d’études géopolitiques3, nel quale ad esempio si sottolinea la necessità dell’intervento della forze armate in situazioni di crisi interna -regolato dal quadro normativo nazionale- indotte da cambiamento climatico, come è stato anche per la pandemia, e l’impiego delle stesse forze in scenari di scontro militari o comunque di presidio di situazioni di crisi in giro per il mondo; impegno tradizionale le forze francesi in Africa, oltre che nella proiezione globale della NATO. SI afferma infatti che “Nel frattempo, il triplice imperativo di ridurre l’impronta ecologica degli apparati militari, contribuire alla gestione delle crisi ambientali a sostegno delle autorità civili, e mantenere l’efficacia operativa contro un nemico che può essere “sullo stesso livello”, richiede scelte politiche in un contesto di tempi molto brevi che avranno per un lungo periodo di tempo effetti su un ambiente strategico difficile da prevedere.

In generale si modifica il senso del termine ‘sicurezza’ col quale si descrive un sistema di relazioni sempre più complesso. Se ne fa una analisi nel testo della Fondazione Friedrich Erbert CLIMATE SECURITY AND EUROPE What are the direct and indirect consequences of climate change?4

La sicurezza è quindi quella delle popolazioni, delle città delle infrastrutture e deve considerare gli effetti del cambiamento climatico sule migrazioni ed in conflitti geopolitici. Lo scritto analizza in particolare le dinamiche che nascono dallo scioglimento dei ghiacci artici, dove l’aumento delle temperature è più alto della media globale, con l’aprirsi di nuove rotte e possibilità di esplorazioni minerarie.

Nella elaborazione delle istituzioni  europee il cambiamento climatico viene giustamente visto come un fattore che opera su molteplici dimensioni e come tale va trattato, sia nelle sue conseguenze interne all’Unione che a livello internazionale5

Nel 2021, lo European External Action Service (EEAS) pubblicò il Concept for an Integrated Approach on Climate Change and Security (European External Action Service 2021) e il Climate Change and Defence Roadmap (European External Action Service 2020), a cui diede un contributo fondamentale la Direzione Generale Defense Industries and Space, creata recentemente nel 2020.

Il SIPRI (STOCKHOLM INTERNATIONAL PEACE RESEARCH INSTITUTE) che si definisce ‘The independent resource on global security’ noto per la pubblicazione annuale di un rapporto che, con cadenza annuale, documenta lo stato degli armamenti, del disarmo e della sicurezza internazionale6 ha prodotto un report ADVANCING EUROPEAN UNION ACTION TO ADDRESS CLIMATE-RELATED SECURITY 7 una analisi puntuale di come l’Unione affronta i rischi per la sicurezza europea prodotti dal cambiamento climatico attraverso il complesso sistema istituzionale ed operativo. Un secondo report analizza in vece le strategie ed i comportamenti dei singoli membri dell’Unione8. Il quadro appare assai complesso con una varietà di indirizzi, si evince un ruolo particolare della Francia nel definire la dimensione militare dei rischi derivanti dal cambiamento climatico9. In buona sostanza le conseguenze prodotte dal cambiamento climatico riguardano le dinamiche dei conflitti interni ed esterni, le rottura catastrofiche degli assetti ambientali e sociali e infine diventano parte della struttura, delle dinamiche e delle strategie dei dispositivi militari, attraverso la capacità delle tecnologie digitali di integrare componenti, flussi energetici e informativi dei singoli dispositivi, garantendone secondo necessità il comportamento autonomo o la strategia di rete; come si usa dire il dispositivo militare complessivo deve essere sempre più resiliente rispetto agli effetti del cambiamento climatico.

Abbiamo dato una idea del nesso tra cambiamento climatico, politiche di sicurezza e strategie militari in Europa, negli Stati Uniti, prima potenza militare, economica e finanziaria del mondo, possiamo presumere che il nesso sia ancora più stretto e profondo. L’esercito USA si è dotato di una Army Climate Strategy (ACS) che riguarda innanzitutto il funzionamento degli apparati militari10 Rispetto allo scenario globale si pone attenzione agli eventi catastrofici che richiedono un soccorso umanitario, alla riduzione della disponibilità di risorse che provocano competizione nelle popolazioni locali, sino al crollo i interi assetti sociali, economici, politici ed istituzionali che generano instabilità e conflitti armati di lungo periodo. 11. La trasformazione in corso punta alla costruzione di unità autonome dal punto di vista energetico e digitale12. In buona sostanza la transizione energetica e digitale dell’esercito lo dovrebbe predisporre a agire nelle condizioni più diverse, riducendo le necessità energetiche delle infrastrutture e garantendo flessibilità fondata assieme sul coordinamento e l’autonomia operative di unità a diversi livelli. L’esercito, l’apparato militare nel suo insieme può usufruire delle tecnologie energetiche, digitali e dei materiali man mano che esse si rendono disponibili essendo esso stesso un centro propulsore di questo sviluppo tecnologico. Infine per la realizzazione di questa trasformazione comincia ad essere messa in campo una attività di formazione di chi dovrà gestire la transizione, riconoscendone di volta in volta le particolarità della sua applicazione.

Vale la pena confrontare questo processo con l’inconcludenza delle COP, la grande potenza si attrezza a confrontarsi col resto del mondo nelle condizioni, nei vincoli operativi e negli scenari creati dal cambiamento climatico.

Tutto questo riguardava l’esercito degli Stati Uniti, il dipartimento della difesa (DOD) ha prodotto il 1° settembre 2021 il ‘Climate Adaptation Plan’, è stato poi prodotto un ‘Climate Adaptation Plan’ 2022 Progress Report’. Significativa è nel report del 2021 lo spazio dedicato alla Climate Intelligence13, l’analisi complessiva dei fattori di cambiamento climatico dovrà essere incorporata in una nuova visione degli ambienti operativi con scadenza nel 2035. Dal punto di vista decisionale sul piano strategico, tattico ed operativo, il cambiamento climatico diventerà parte dei concetti e della dottrina militare. Il contesto generale per questo adeguamento della struttura, della dottrina e delle strategie militari è l’ordine presidenziale EO 13990, Protecting Public Health and the Environment and Restoring Science to Tackle the Climate Crisis.

Il dipartimento della difesa e tutta la struttura militare degli USA deve promuovere ed attingere ad ogni conoscenza sul cambiamento climatico, sulle tecniche di adattamento e mitigazione14, ciò implica uno straordinario sforzo di formazione e condivisione di conoscenza15.

Un confronto di come la più grande potenza proietta la trasformazione dell’intero suo apparato militare e strategico, quindi al fine di perpetuare la propria superiorità strategica, con le strategie con cui le classi dirigenti del nostro paese affrontano il cambiamento climatico, la difesa di quello ‘sfasciume pendulo’ che è il territorio nazionale da eventi metereologici sempre più disastrosi e cambiamenti radicali nel clima, ebbene questo confronto è desolante.

L’apertura della guerra in Ucraina con l’invasione del suo territorio da parte della Federazione Russa nel febbraio 2022 ha imposto, come abbiamo visto, dei repentini cambiamenti nelle strategie energetiche di gran parte dei paesi europei, la reazione a questo stato di cose qualcuno l’ha definita ecologia di guerra16 vale a dire l’inquadramento delle soluzioni ‘ecologiche’ nelle tattiche del confronto militare.

Il pensiero ecologico o per meglio dire l’ecologia politica deve situare la propria riflessione, la propria critica la propria capacità di visione e di mobilitazione nel terrificante contesto concreto in cui ci tocca di vivere, dove le scelte del come e quando operare una transizione energetica ed ecologica diventa parte del confronto tra grandi potenze, in gioco di alleanze multiple ed intrecciate. È più o meno quanto si afferma sinteticamente nell’ articolo ‘Le tournant réaliste de l’écologie politique’ ovvero ‘Pourquoi les écologistes doivent apprendre à parler le langage de la géopolitique’.

La guerra su territorio ucraino, che condensa anni, decenni di confronto e dispiega effetti a livello globale è visto comunque come un punto di svolta nelle strategie di affrontamento del cambiamento climatico per i vincoli che via via essa impone. Se il cambiamento climatico produce effetti devastanti sui sistemi sociali, sulle strutture fisiche, ambientali ed economiche che li sorreggono, la guerra moderna ha sempre più sviluppato analoghe capacità di devastazione delle strutture fondamentali di riproduzione delle società. Una modalità specifica ben diversa da quelle con cui in antico si cancellava la traccia di intere città, se ne annientava e disperdeva la popolazione. Se il culmine è stato toccato con l’uso dell’arma nucleare, in realtà un crescendo ha segnato le capacità distruttive degli agglomerati urbani, del tessuto dell’antropizzazione dei territori, principalmente col bombardamento dall’aria: da Guernica a Coventry, da Dresda a Tokio, dove anche senza l’arma nucleare si è bruciata una intera città17.  Nella guerra del Viet Nam con l’uso dell’agente Orange defoliante, del Napalm l’esercito Usa ha tentato di rendere impossibile la vita nei territori in cui si muoveva la guerriglia assieme alle popolazioni locali, mentre i B52 bombardavano massicciamente le città del Viet Nam del Nord. Nel nuovo secolo abbiamo già visto la devastazione del tessuto di intere nazioni che hanno portato all’esodo di milioni di loro abitanti.

La strategia russa in Ucraina, a fronte delle difficoltà incontrate e delle sconfitte subite nello scontro diretto, consiste nella distruzione di tutte le infrastrutture che garantiscono la sopravvivenza della popolazione, delle città in particolare, mirando alla produzione e distribuzione dell’energia elettrica, agli acquedotti ed alla rete ferroviaria su cui principalmente si muovono persone, merci civili e militari. Le conseguenze di questa distruzione sono particolarmente gravi con la stagione fredda. Le possibilità di vita di milioni di persone sono minate alla base, in una rincorsa tra distruzione e ripristino, quest’ultimo sempre più difficile. Sta passando alla storia la capacità dell’organizzazione di gestione del sistema ferroviario ucraino di ripristinare le linee di collegamento. Se sulla guerra in Ucraina affluiscono le risorse del fronte NATO, la scelta della federazione Russa, di fronte alle difficoltà sul terreno squisitamente militare, è quella di rendere inabitabile, quantomeno nella lunga stagione fredda, la vita per una gran parte della popolazione ucraina; una sorta di catastrofe climatica procurata. Per inciso il consumo di armamenti nel confronto diretto è talmente intenso da svuotare gli arsenali dei paesi della NATO

 

Il nesso tra cambiamento climatico e guerra (sans phrase) si colloca nel contesto di tutti i processi di trasformazione della formazione sociale globale, nell’intreccio di tutti i suoi processi di crisi, dove la crisi rimanda a rotture che inducono a trasformazioni più o meno lunghe, dove questi processi di crisi di cui il cambiamento climatico è -detto impropriamente- il grande contenitore; si colloca nella circolarità tra guerra, politica ed economia con un complesso di rimandi sempre più intricato. Ogni progetto di liberazione deve confrontarsi con questo intricato intreccio, senza possibilità alcuna di trovare scorciatoie. Forse per questo il semplice implorare o perorare la pace, come la fine del riscaldamento globale, appare una sorta di fatica di Sisifo.

Roberto Rosso

  1. https://www.reuters.com/business/energy/chinas-xi-looks-strengthen-energy-ties-with-russia-2022-11-29/  https://www.lavoce.info/archives/93457/russia-e-cina-alleate-per-forza/ https://euractiv.it/section/energia/news/gazprom-fornira-il-gas-alla-cina-per-trentanni-attraverso-un-nuovo-gasdotto/  []
  2. https://www.aljazeera.com/news/2022/11/8/india-to-continue-buying-oil-from-russia-as-ties-deepen []
  3. https://geopolitique.eu/en/articles/armed-forces-and-climate-change-in-a-time-of-high-intensity-reflections-on-engagement-in-environmental-operations/  []
  4. Security risks stemming from devastating forest fires, heat waves and rising sea levels are on the rise. They threaten people, cities, infrastructures and industries. This paper summarizes the state of research on these and other direct consequences of climate change for security in Europe. It examines possible indirect effects of climate change on migration, conflicts and the geopolitical

    dynamics in the Arctic.[]

  5.   Nel 2008, Javier Solana, poi Segretario generale del Consiglio dell’Unione europea e Alto rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza comune Politica, pubblicato il rapporto “Climate Change and International Security”, in cui ha descritto il cambiamento climatico come un “moltiplicatore di minacce”. Questo concetto presuppone che il cambiamento climatico amplifica le tendenze e le tensioni esistenti e minaccia di travolgere Stati fragili (Commissione europea 2008). Nel 2011, l’UE ha lanciato la sua Climate Diplomacy Initiative, che ha portato nel Climate Diplomacy Action Plan della Commissione europea Piano nel 2015, che è stato rafforzato nel 2018 (Commissione Europea 2018). Il Green Deal europeo, proposto dalla Commissione europea alla fine del 2019, reiterati avvertimenti degli impatti climatici come moltiplicatore di minacce e annunciato rafforzare la cooperazione internazionale volta a rafforzare la resilienza agli impatti ambientali e climatici per prevenire i conflitti, fame e sfollamento.[]
  6. https://magazine.cisp.unipi.it/sipri-yearbook-2022-armamenti-e-disarmo-a-livello-mondiale/  https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/per-le-spese-militari-nel-mondo-uninquietante-crescita-senza-fin-18127c8e28594768a9e5c619bb660e90 []
  7. https://www.sipri.org/publications/2022/other-publications/advancing-european-union-action-address-climate-related-security-risks  []
  8. https://www.sipri.org/publications/2022/mapping-european-union-member-states-responses-climate-related-security-risks []
  9. Second, operational efficiency is a red line in defence. Poland and France appear aligned in ensuring that climate-related goals do not impinge on the operational effectiveness of their armed forces.33 France’s emphasis on climate security in the defence realm has been transferred to the EU level. Since 2007, France has been coordinating the Energy Operational Function (EOF) project within the EU’s Permanent Structured Cooperation (PESCO). The EOF aims to jointly develop new systems of energy supply for deployed joint operations and soldier-connected devices and equipment, and to ensure ‘that the energy issue is taken into account’ in the conception of combat systems and the implementation of support operations, ‘including in the framework of operational planning’.34 France also participates in the European Defence Agency’s Consultation Forum on Sustainable Energy in the Defence and Security Sector and initiated the Defence Infrastructure Service’s ENSSURE project on decarbonizing energy needs while preserving operational capacity. []
  10. Guided by the ACS, the Army will build on its current progress in areas such as vehicle fuel efficiency and electrification, operational power generation, battery storage, land management, procurement, supply chain resilience, and workforce development. The Army will continue to reduce consumption of energy and other natural resources to improve operational readiness and modernization while adapting to and mitigating current and future climate threats. []
  11. This situation presents opposing challenges, but both conditions will increase competition for scarce resources and demand for humanitarian aid and disaster response. The Army will face simultaneous readiness challenges as units contend with limited access at flooded bases, alongside increased water scarcity and land degradation in other areas. The secondary impacts of climate hazards could be even more dangerous. Chief among them is an increased risk of armed conflict in places where established social orders and populations are disrupted. The risk will rise even more where climate effects compound social instability reduce access to basic necessities, undermine fragile governments and economies, damage vital infrastructure, and lower agricultural production. ))

    Il documento articolato in diverse ‘Line of effort? (LOE) mostra come sia in corso tutto l’apparato dell’esercito USA una revisione per adattarlo ai vincoli di una transizione energetica, verso la neutralità delle emissioni nel 2050 per quanto riguarda i fornitori. È stato messo in campo il cosiddetto Army Climate Assessment Tool (ACAT)(( The Army is already considering climate resilience in master planning, natural resource planning, range management, and installation energy and water planning. The Army is also proactively implementing advanced planning tools, beginning with the Army Climate Assessment Tool (ACAT). Due to this tool’s demonstrated ability to improve resilience, DoD has adopted and scaled ACAT as the Defense Climate Assessment Tool and is using it to prioritize highly exposed installations across DoD[]

  12. Tactical self-sufficiency supports independent, distributed, and echeloned maneuver, which will be essential in future contested environments. Reducing energy requirements and overall demands on Army distribution networks are two broad approaches that contribute to tactical self-sufficiency.  (…) Contingency bases are non-enduring locations that support specific military operations and missions. The life-cycle process for planning, designing, constructing, operating, managing, transitioning, and closing such locations is known as “contingency basing.” Contingency basing delivers forward, protected presence—a vital element of nearly every mission. (…) To ensure protection and sustainment during Multi- Domain Operations (MDO), future contingency basing must employ the latest capabilities informed by the best available planning tools. As systems become more complicated, the Army increasingly relies on automated and computer-enabled planning[]
  13. Climate Intelligence: Incorporate climate change factors into all threat assessments and updates that serve as input when developing a shared understanding of the operational environment (e.g., Joint Operating Environment 2035) via deliberate review and revision of current contingency and operational plans. Update the modeling, simulation, and

    wargaming capabilities to reflect climate change and specifically the Climate Risk Analysis developed per section 103 (c) of EO 14008. Update relevant decision/planning support tools. []

  14.   Develop and implement methods and approaches to update climate vulnerability assessments on a continuing basis to

    reflect new knowledge.[]

  15. While the Department does possess significant climate change-related expertise, such expertise is often confined to

    discrete technical functions or organizations. The intent is to broaden this knowledge over time, across the entire DOD workforce []

  16. La naissance de l’écologie de guerre https://legrandcontinent.eu/fr/2022/03/18/la-naissance-de-lecologie-de-guerre/ []
  17. https://en.wikipedia.org/wiki/Bombing_of_Tokyo  https://comune-info.net/70-anni-dopo-puo-accadere-tokyo/  N.B 672.000 furono il bilancio complessivo dei bombardamenti sulle città giapponesi []
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