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Grazie Stefano

di Giancarlo
Scotoni

Stefano Marchesi, comunista trentino, amico fraterno, è morto per malattia venerdì 31 gennaio.

Era nato politicamente nel ’68, in un movimento che per molti aspetti fu particolare rispetto a quello delle altre città italiane. Nella piccola realtà di Trento, la sinistra democristiana di Bruno Kessler aveva voluto far nascere la prima facoltà di sociologia in Italia come espressione di un riformismo moderno e tecnocratico poiché la figura del sociologo era funzionale ai processi di industrializzazione a alta densità di lavoro vivo, di operai e operaie e di tecnici. Codesto corso di studi aveva richiamato –ancor prima della equipollenza del titolo di studio con quello delle altre facoltà universitarie– studenti e studentesse da tutta la nazione, dalla Sicilia alla Lombardia alla Venezia Giulia e assieme anche le riflessioni critiche che in questo processo di trasformazione della società italiana avevano avuto modo di svilupparsi. In un tessuto cittadino a maggioranza tradizionalista, in cui accanto a importanti movimenti cattolici come i focolarini affioravano tutt’ora le strutture discorsive della controriforma (era normale rintracciare nei colloqui con la gente esempi purissimi di falso sillogismo), la protesta anti-autoritaria, pacifista, terzomondista, liberatoria di questo gruppo di esterni e alieni prese caratteri dirompenti e consentì per lunghi mesi la possibilità di immaginare una “politica del movimento” che in termini originali andava oltre i limiti del movimento studentesco. Il dibattito che le esperienze di lotta andavano maturando si trovò a essere particolarmente influenzato da quello tedesco della SdS 1 oltre che dagli scritti della scuola di Francoforte, di Marcuse, di Wilhelm Reich. Chi scrive immagina che l’acuta intelligenza di Stefano, all’epoca liceale, si sia nutrita della sostanza di questi accenti teorici e che lui abbia sviluppato –come altri trentini coetanei- una visione e una sensibilità che certo non ricalcavano pedissequamente lo slogan castrista “primera la lucha, despues la conciencia” ma che si confrontavano con l’interiorizzazione del punto di vista rivoluzionario e la realizzazione nella pratica di comportamenti e scelte già alternativi nella misura in cui la contraddizione sembrava manifestarsi contemporaneamente alla possibilità di liberazione.

Dal momento in cui la politica del movimento fu resa impossibile -tra l’altro- da una base sociale insufficiente e dall’esaurimento della sua prima diretta spinta trasformatrice, i percorsi dei compagni e delle compagne si divaricarono. Stefano, come me, per un periodo attraversò la militanza in un piccolo partito internazionalista che a lui fornì solide basi teoriche ma che non poteva non essere lontano dal piano sia dello scontro sociale che della politica intesa come efficace presenza di un punto di vista di classe nelle contraddizioni della realtà. Era talmente lontano dal settarismo che era solito dire, lui divoratore di volumi di poesie, che l’unico libro fondamentale era “Il capitale”, con ciò sottintendendo che dopo la definizione scientifica dello sfruttamento il resto spettava creativamente al dipanarsi nella storia dell’azione e –appena essa fosse possibile- dell’azione organizzata.

In questa tensione tra il bisogno di esercitare comunismo, solidarietà, antagonismo, alterità e coscienza lucida dei limiti dell’azione individuale, della necessità di valutare i rapporti di forza, chi scrive trova la cifra della parabola esistenziale di Stefano e di molti altri e altre che nacquero nella loro giustezza umana dall’esperienza di liberazione dovuta alla rottura dei rapporti sociali e culturali a cui si erano trovati di fronte in gioventù.

Gli anni successivi al ’77 e alla repressione delle sue istanze, tra cui oggi prioritariamente va detta l’estensione della soggettività proletaria a strati sociali diversi da quelli tradizionalmente individuati nella classe operaia, lo videro -saldo nei suoi principi e comportamenti- impegnato professionalmente come geologo in Italia, in Africa, in Medio oriente. Questa coerenza nella continuità possibile è un’altro aspetto della sua vita che non si può tacere.

Era già iniziato il profondo sodalizio con Michelle Vuillermin, geologa anch’ella, con cui condivise l’assoluto impegno per l’educazione dei figli Andrea e Paolo: una “educazione” che ancora una volta assumeva tutti i rischi e i prezzi connessi al cercare di premetterle un “contro”. Stefano e Miki come professionisti, genitori, cittadini non smisero mai di essere compagni: furono sempre esempio di comportamento, di scelte, di priorità, di prese di posizione e talvolta -nella realtà di provincia e nella loro coerenza- di scandalo, mai di esibizione.

In anni in cui l’aggettivo “alternativo” fu spesso declassato fino a indicare un orientamento di gusti, Stefano e Miki nella cerchia della loro socialità e non solo diventarono dei precisi riferimenti alternativi rispetto alla miserie delle relazioni imposte dal trend dominante. E con tranquillità consapevole ne pagarono il prezzo in termini di “successo”.

Durante il movimento dei movimenti Stefano tornò a investire le proprie qualità umane su un terreno di impegno organizzato in Rifondazione Comunista di cui divenne segretario. Ne uscì sugli esiti del congresso di Chianciano del 2008 e, con i figli ormai grandi e la possibilità di rallentare l’attività professionale, mantenne il calore e la dimensione della militanza con i giovani del centro sociale Bruno per i quali rappresentò uno snodo con la generazione precedente e una figura di assoluto riferimento. Al Bruno Stefano trasformò in attività collettiva e momento di aggregazione anche un’altra attività verso cui era particolarmente versato e cioè la cucina, momento di cura, di esplorazione e di creatività.

Quotidianamente e quasi per hobby ricordava con dei post su facebook date e ricorrenze che potevano spaziare dalle partite di calcio “storiche” agli avvenimenti più cruciali o più curiosi. Ogni settimana ce ne inviava una selezione che andava a alimentare la sezione “la macchina del tempo” del sito. Se la si riguarda vi si trovano tanti riferimenti alla lotta di liberazione e all’antifascismo accanto a eventi dimenticati o al compleanno o al ricordo di compagne e compagni di Rifondazione. Questo è il momento per ringraziarlo collettivamente.

Per la sua vita di comunista non ci sono ringraziamenti, c’è solo l’espressione di dolore per la sua perdita.

 

Giancarlo Scotoni

  1. fino all’assunzione della parola d’ordine dell’università critica e della “lunga marcia attraverso le istituzioni” di Rudi Dutsche che a Trento era diventata la “lunga marcia attraverso e contro le istituzioni”[]
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