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Lettera a un compagno che non c’è

di Giuseppe
Aragno

Non ci vediamo spesso come capitava una volta, caro compagno, ma so che non hai alzato bandiera bianca. Forse perché la distanza funziona da specchio deformante, a volte ho l’impressione che la presenza nelle lotte sia diventata fine a se stessa, un obiettivo, più che lo strumento per provare a costruire percorsi stando assieme. Leggo ciò che scrivi e mi pare che il messaggio sia forte come sempre. Meno lucido, forse, ma nella confusione che ci circonda essere lucidi non è facile per nessuno. Quanto a me, non sono stato mai tra quelli che, contenti di aver avuto ragione, si vantano in giro dicendo che loro l’avevano detto ma nessuno li aveva ascoltati.
A che servirebbe vantarsi di aver lanciato l’allarme e cosa cambierebbe? È vero, sì, che io sentivo arrivare l’onda nera che ci ha travolti, ma è vero anche che non si trattava di pessimismo dovuto all’età. Quello non c’entrava, anche se ne eri così convinto, che ti facevo pena. Gli anni passano per tutti, ti si leggeva negli occhi, e anche tu purtroppo ti vai ricogliendo. L’età non c’entrava e se sbagliavo era perché mi attendevo un moderno fascismo, ma si trattava invece di una trasformazione epocale, di una sconfitta culturale che ci trovava inermi e impreparati.
Purtroppo non abbiamo mai provato a capire le ragioni del crollo sovietico, la scelta berlingueriana di cercare il dialogo con l’ala pensante della DC, la crescente crisi dei sindacati, e i mille incalzanti segnali che ci chiedevano di riflettere. Noi li liquidavamo ricorrendo a parole che non spiegano nulla: il tradimento, l’opportunismo dei riformisti e cose così, che ci venivano in mente perché da tempo abbiamo trasformato in verità di fede testi e teorie che non erano bastati a salvarci da un’autentica Waterloo.
Da tempo, purtroppo, la sinistra laica si è trasformata in un apparato di chierici e di predicatori, sempre meno ascoltati, sempre più in ritardo sui modi e sui tempi propri dello tsunami che ci ha praticamente cancellati dalla realtà che nasceva e si radicava a ogni i livello nella vita politica e in quella sociale, dominate dal capitalismo finanziario. Avevo poco di cui vantarmi. Certo un’intuizione pareva avermi guidato, ma non avevo le forze, l’età e le conoscenze per trasformarla in analisi e ricavarne una dottrina, una teoria.
Potrei cercare alibi, giustificare i miei limiti nascondendomi dietro la crisi dei nostri movimenti; una crisi che non aiutava la riflessione e non esitava alla scomunica. Sarebbe stato comodo, ma non avrebbe modificato di una virgola la situazione. Anche se fossi stato ascoltato, non avrei dato un contributo significativo. È vero, purtroppo: per l’età, per la salute e per la condanna all’isolamento, non riesco a essere presente come vorrei e – peggio ancora – devo confessare che l’adesione incondizionata al progetto di chi si sta liberando dal peso di scelte ideologiche che sono fuori dalla storia, non basta a rendermi concretamente utile.
La verità è che non si tratta solo di “presenza”. È che vorrei essere capace di contribuire con argomenti forti alla discussione, che è necessaria ma non si fa e da solo non sono in grado di affrontare il problema. Nel mio piccolo agisco, denuncio, combatto e mi riesce meglio quando da un terreno specifico – la tragedia palestinese, per esempio, riesco a spostare la lotta su un campo diverso, forse più generico e meno specifico: quello del campanello di allarme che mi pare provenga dai fatti atroci di Gaza, della Cisgiordania e dei molti fronti aperti da Israele col consenso degli USA e di buona parte dell’UE. Campanello di allarme e spia di una crisi di valori che mi sembra quasi non avere precedenti, del rischio che stiamo correndo di una sorta di “virus pandemico” che minacci l’umanità, intesa come civiltà e come popolazione del pianeta.
Come che sia, ci sono, con i miei limiti propositivi che mi costringono a mettermi a traino, come un soldato semplice che ha paura ma tiene la posizione nella trincea e parte all’attacco quando gli si dice di farlo. Aggiungo una piccola osservazione. Non definirei più “di sinistra” chi dagli anni Sessanta del secolo scorso ad oggi ha partecipato attivamente allo scempio da cui si difende, resistendo mirabilmente, il popolo palestinese.

Giuseppe Aragno

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